Antonio Gramsci, Sotto la mole ( )

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1 L'«attualità» ci fa vivere davvero il passato, la psicologia degli uomini del passato. E ci chiarisce le idee, e ci obbliga a trasformare il vocabolario. Lasciamo cadere la parola «tiranno»: sostituiamola con quella di «stupido»: faremo del passato storia contemporanea Antonio Gramsci, Sotto la mole ( )

2 Un ringraziamento speciale va alla Prof.ssa Anna Maria Belardinelli, per l'indispensabile aiuto e la preziosa collaborazione. Una sentita riconoscenza al Prof. Bernhard Zimmermann, per la disponibilità mostrata durante il mio soggiorno a Freiburg. Dedico questo lavoro a tutte quelle persone che, con la loro presenza, vicina e lontana, ne hanno reso possibile la realizzazione: A mamma e papà, la mia luce. Ai miei nonni, il mio ricordo più dolce, la cui presenza invisibile non smette di colorare la mia vita. A Giovanni, Chiara, Rossella, Roberto e Francesco, i miei amici più cari, il mio sostegno insostituibile. A Salvatore, Matteo e a tutti i miei compagni, la mia forza. A tutti coloro che, ogni giorno, continuano a lottare, perché il razzismo, l'ingiustizia di classe e lo sfruttamento abbiano fine. 1

3 INTRODUZIONE 2

4 1. Cratino e il suo teatro I grammatici alessandrini designano con il nome di archaia la commedia attica che va dall'istituzione degli agoni comici (486 a.c.) alla morte di Aristofane (385 a.c.). La biblioteca di Alessandria conservava ben 365 commedie di quel periodo che rappresentavano, però, soltanto una selezione rispetto alla produzione complessiva, poiché è stato calcolato che tra il 486 e il 385 furono rappresentate circa seicento commedie 1. Di questa imponente produzione resta ben poco: le undici commedie di Aristofane, tramandate per intero dai codici bizantini, e un'impressionante quantità di frammenti di diversa ampiezza, alcuni di un solo verso, altri molto lunghi. La nostra conoscenza dell'archaia, quindi, è estremamente ridotta e si basa quasi del tutto sulle opere conservate di Aristofane. Questa situazione ha, purtroppo, determinato per molto tempo, negli studi moderni, la tendenza ad identificare tutta la produzione comica attica con l'esperienza del solo Aristofane, quale rappresentante supremo del genere comico, superiore per qualità e importanza a tutti gli altri commediografi di cui si ha traccia. La pubblicazione dei vari volumi di Kassel e Austin (PCG Berlin-New York 1983-) ha, invece, favorito negli ultimi decenni un aumento crescente dell'interesse per i testi frammentari, nonché un graduale abbandono, da parte degli studiosi, di quella lettura 'aristofanocentrica', per molti aspetti dominante. Si tramandano, del resto, i nomi di circa cinquanta commediografi del periodo dell'archàia, alcuni dei quali certamente personalità poetiche di grande prestigio, se solo si pensa alla celebre triade con cui Orazio apre il quarto componimento del primo libro delle sue Satire: Eupolis atque Cratinus Aristophanesque poetae. Molti frammenti, poi, testimoniano abbondantemente che il corpus aristofaneo non può essere considerato come emblematico di tutta la commedia attica di quinto secolo, perché essa si sviluppa fin dall'inizio in una miriade di stili e forme differenti. 1 Cfr. Mastromarco 2003 p

5 La produzione comica di Cratino, come si vedrà in questo studio, con le sue specifiche peculiarità e la sua evidente originalità, non fa che contribuire a rinsaldare questa linea esegetica. La carriera teatrale di Cratino, immediato predecessore di Aristofane, va posta tra gli anni cinquanta del quinto secolo, quando il poeta riporta la sua prima vittoria, secondo una testimonianza epigrafica 2, e gli anni venti, sulla base del fatto che nella Pace (421) è considerato già morto, almeno da un punto di vista artistico 3. Il suo valore e la sua fama presso i contemporanei sono testimoniati proprio da Aristofane nella parabasi dei Cavalieri, in cui si rimproverano gli Ateniesi di non prendersi cura del commediografo, ormai vecchio e dedito al vino, che, invece, per l'elevata qualità della sua arte, per lo straordinario slancio poetico delle sue parole, cantate anche nei simposi, e per le numerose vittorie riportate, meriterebbe di essere mantenuto a spese pubbliche, di bere nel Pritaneo e sedere ben pasciuto a teatro presso la statua di Dioniso 4. Aristofane, quindi, pur invitando lo scomodo rivale, barcollante e sempre ubriaco, a porre fine alla sua carriera ormai conclusa, non può non riconoscere e sottolineare l'originalità e la ricchezza della sua arte, una travolgente forza della natura, un fiume in piena in grado di sradicare e trascinare con sé querce, platani e 2 Cfr. IG II² L'iscrizione riporta una lista di comici vincitori alle Dionisie e inserisce il nome di Cratino subito dopo Eufronio, il vincitore del 458 (cfr. Olson 2007 p. 408). La notizia, però, non è sicura, perché, secondo un'altra testimonianza, la prima vittoria del commediografo ateniese va posta dopo la cinquantottesima Olimpiade, cioè negli anni 440/ /436: Anon. De com. (Proleg. de com. 3) p. 8 Koster: Κρατῖνος Ἀθηναῖος νικᾶι μετὰ τὴν πε ὀλυμπιάδα. 3 Ar. Pax vv : Ἑρ. Τί δαί; Κρατῖνος ὁ σοφός ἐστιν; Τρ. Ἀπέθανεν / ὅθ οἱ Λάκωνες ἐνέβαλον. Ἑρ. Τί παθών; Τρ. Ὅ τι; / ὡρακιάσας οὐ γὰρ ἐξηνέσχετο / ἰδὼν πίθον καταγνύμενον οἴνου πλέων. Trigeo sostiene che Cratino sia morto con un colpo secco al tempo dell'ultima invasione spartana dell'attica, avvenuta nella primavera del 425 (cfr. Th ); questa notizia, però, è falsa, perché il commediografo è sicuramente ancora vivo nel 423, quando, com'è noto, riporta il primo premio con la Damigiana nell'agone dionisiaco in cui le Nuvole di Aristofane conquistano soltanto il terzo posto. Aristofane, quindi, in questo passo della Pace, allude, forse, scherzosamente solo alla morte artistica del rivale (cfr. Mastromarco 1983 pp n. 73). 4 Ar. Eq. vv : εἶτα Κρατίνου μεμνημένος, ὃς πολλῷ ῥεύσας ποτ ἐπαίνῳ / διὰ τῶν ἀφελῶν πεδίων ἔρρει, καὶ τῆς στάσεως παρασύρων / ἐφόρει τὰς δρῦς καὶ τὰς πλατάνους καὶ τοὺς ἐχθροὺς προθελύμνους / ᾆσαι δ οὐκ ἦν ἐν συμποσίῳ πλὴν Δωροῖ συκοπέδιλε, / καὶ τέκτονες εὐπαλάμων ὕμνων οὕτως ἤνθησεν ἐκεῖνος. / νυνὶ δ ὑμνεῖς αὐτὸν ὁρῶντες παραληροῦντ οὐκ ἐλεεῖτε, / ἐκπιπτουσῶν τῶν ἐλέκτρων καὶ τοῦ τόνου οὐκετ ἐνόντος / τῶν θ ἁρμονιῶν διαχασκουσῶν ἀλλὰ γέρων ὢν περιέρρει, / ὥσπερ Κοννᾶς, στέφανον μὲν ἔχων αὖον, δίψῃ δ ἀπολωλώς, / ὅν χρῆν διὰ τὰς προτέρας νίκας πίνειν ἐν τῷ πρυτανείῳ, / καὶ μὴ ληρεῖν, ἀλλὰ θεᾶσθαι λιπαρὸν παρὰ τῷ Διονύσῳ. Aristofane nomina più volte Cratino nelle sue commedie: Ach. vv ; ; Eq. v. 400; Pax vv ; Ra. v

6 avversari. Nonostante la grande notorietà ai suoi tempi, oggi, purtroppo, non è possibile leggere nessuna commedia di Cratino per intero, ma di lui si conserva un corpus di frammenti molto consistente, più di cinquecento, a riprova, comunque, della sua notevole vitalità scenica. Nell'ambito degli studi letterari moderni, se si escludono le diverse edizioni dei frammenti comici e i numerosi articoli, via via citati nel corso di questo lavoro, che sono incentrati su singoli aspetti linguistici, metrici o tematici e mancano, quindi, di uno sguardo d'insieme sul modo di fare teatro di Cratino, le uniche monografie interamente dedicate all'opera di questo autore sono tre: il lavoro di Pieters (1946), che è un vero e proprio studio letterario su Cratino e sui legami del suo teatro con la realtà politico-sociale del tempo; la dissertazione di dottorato di Luppe (1963), indubbiamente interessante per l'acume filologico che lo studioso dà prova di possedere, ma quasi esclusivamente focalizzata su interpretazioni testuali ed emendamenti e priva di approfondimento su questioni più specificamente letterarie e drammatiche; e, da ultimo, la più aggiornata monografia di Bakola (2009), in cui la studiosa inglese tenta sì di fornire una visione complessiva della commedia cratinea, evidenziandone le riprese mitologiche, i legami con la tragedia ed il meccanismo satirico, ma, come spesso accade in questi casi, nel tentativo di essere esauriente su tutte le tematiche, finisce per essere evasiva e superficiale su numerose questioni. Di fronte ad un corpus frammentario così vasto è, infatti, a mio avviso, difficile riuscire a sviscerare tutte le peculiari caratteristiche linguistiche, metriche, politiche, letterarie e strutturali che contraddistinguono l'opera del commediografo ateniese. Per questa ragione, si è deciso in tal sede di prendere in analisi cinque commedie e di puntare l'attenzione su un singolo aspetto che, sulla base del materiale conservato, è parso il più significativo e quello maggiormente distintivo, vale a dire la satira politica e la funzione che essa si pone nell'ambito 5

7 del sistema politico-sociale dell'atene del tempo, cioè la democrazia periclea. L'elemento che più di altri caratterizza la commedia attica antica è lo stretto legame con l'attualità politica e sociale della πόλις ateniese, mediante una fittissima trama di riferimenti ad avvenimenti, personaggi ed istituzioni del tempo e, soprattutto, con il ricorso all'onomastì komodeîn, l'attacco mosso in tutta libertà contro i personaggi negativi più in vista della città 5. L'onomastì komodeîn, che trova il suo antecedente letterario nella giambografia arcaica, in particolare in Archiloco e Ipponatte, diviene ben presto lo strumento primario attraverso cui i commediografi esplicano il loro impegno politico e, nell'atene del quinto secolo, assume un'importanza particolare per via delle sue potenzialità eversive e della capacità di mettere a rischio la stabilità del quadro istituzionale della città, soprattutto nei contesti storico-politici più difficili 6. L'autore della Costituzione degli Ateniesi pseudo-senofontea non esita a ricordare che il regime democratico esercitava pressanti forme di condizionamento politico nei riguardi del teatro comico e non permetteva che sulla scena si parlasse male del popolo o lo si ponesse in una luce negativa; solo i cittadini più influenti, e dunque i nobili e i ricchi, potevano essere messi alla 5 Cfr. Hor. Sat Cfr. Mastromarco 2003 pp Dell'onomastì komodeîn è stata fornita anche una lettura in chiave carnevalesca : la commedia attica antica, legata al culto di Dioniso e inserita nel contesto gioioso della festa, rappresenterebbe un'evasione temporanea dalle norme che regolano la vita quotidiana e, mettendo in ridicolo i personaggi più in vista della città, offrirebbe al suo pubblico un momentaneo sollievo dalla pressione dell'autorità; in quest'ottica, il teatro comico non si ispirerebbe a un serio impegno sociale, ma, per mezzo dello scherno e dell'invettiva personale, intenderebbe affermare il motivo del «mondo alla rovescia», il giocoso rovesciamento della realtà quotidiana, istituendo, sia pure per il breve spazio temporale della festa, un ordine regolato da rapporti gerarchici radicalmente differenti da quelli vigenti nella società contemporanea (Mastromarco 2003 pp ). Nello specifico, sull'onomastì komodeîn si vedano anche Gomme 1938 pp ; Zimmermann 1983 pp ; Halliwell 1984 pp. 6-20; Rösler-Zimmermann 1991; Degani 1993 pp. 1-49; il volume di Ercolani (a cura di) 2002, con particolare riguardo al suo interno agli articoli di M. Napolitano, Onomastì komodeîn e strategie argomentative in Aristofane (a proposito di Ar. Ach ) pp ; C. Mann, Aristophanes, Kleon und eine angebliche Zäsur in der Geschichte Athens, pp ; A.H. Sommerstein, Die Komödie und das Unsagbare, pp ; I. Stark, Athenische Politiker und Strategen als Feiglinge, Betrüger und Klaffärsche. Die Warnung vor politischer Devianz und das Spiel mit den Namen prominenter Zeitgenossen, pp ; A. Bierl, Viel Spott, viel Ehr! - Die Ambivalenz des onomastì komodeîn im festlichen und generischen Kontext, pp ; G. Mastromarco, Onomastì komodeîn e spoudaiogeloion, pp ; T. Gelzer, Spott auf Personen des öffentlichen Lebens mit den Mitteln der traditionellen Formen der alten Komödie, pp ; e, da ultimo, Zimmermann 2010 pp In generale, per una bibliografia dettagliata e aggiornata sulla commedia antica si rimanda a Zimmermann 2010 pp

8 berlina, mai i poveri e i democratici, a meno che questi ultimi non risultassero in qualche modo pericolosi, perché decisi a contare più del popolo (2.18). Tali osservazioni si rivelano estremamente significative, se si volge lo sguardo alla produzione comica di Cratino, riconosciuto da Aristofane, nella parabasi dei Cavalieri sopra citata, quale massimo esponente del filone comico 'impegnato' e 'politico'. Il commediografo ateniese, infatti, ben consapevole della capacità, propria della commedia, di influenzare l'opinione pubblica, si serve dell'onomastì komodeîn in termini di vera e propria lotta politica, quale mezzo indispensabile per colpire Pericle, il paladino della democrazia ateniese, ed il suo governo, sia per via diretta che indiretta, con la parodia mitologica. Il materiale conservato, se pure non permetta nella maggior parte dei casi la ricostruzione dell'intreccio comico, testimonia più volte il ricorso, da parte di Cratino, a racconti mitologici, opportunamente variati e ricaricati di un chiaro significato politico, quale pretesto per portare violenti attacchi contro il noto statista. Esemplari, sotto questo aspetto, sono senza dubbio la Nemesi e il Dionisalessandro, due commedie rappresentate in concomitanza dello scoppio della guerra del Peloponneso, rispettivamente nel 431 e nel 430 circa (vd. infra). La Nemesi sfrutta la saga mitica della dea violentata da Zeus e madre di Elena, ma dietro la figura del re degli dèi, definito ξένιος e καραιός (fr. 118 K.-A.), è possibile riconoscere Pericle, a cui si contesta l'atteggiamento superbo e l'eccessivo potere. La ragione dell'accostamento del mito di Nemesi alla politica del primo cittadino ateniese risiede, forse, come argomentato in seguito, nel fatto che il sostantivo νέμεσις funge nel quinto secolo da sinonimo di φθόνος e designa l'indignazione e la giusta punizione di qualunque atto di ὕβρις, la stessa di cui evidentemente si macchia il noto statista, scatenando di lì a qualche mese il conflitto bellico, al fine di rafforzare l'impero ateniese. 7

9 Il Dionisalessandro, invece, è il solo dramma di Cratino di cui è ricostruibile la trama, almeno in linea generale, grazie alla presenza della hypothesis (vd. infra). Nella commedia il gioco delle parti è intricato e tutto l'impianto si regge sulla parodia del noto mito di Paride ed Elena: il protagonista è, infatti, un personaggio ibrido, Dionisalessandro, ossia Dioniso che, nelle vesti di Paride-Alessandro, pronuncia il giudizio delle tre dee, assegna il premio di bellezza ad Afrodite, rapisce Elena e scatena la guerra di Troia; come si evince dalla parte finale dell'argumentum, però, dietro il dio del teatro, vile, codardo e responsabile della guerra troiana, si cela Pericle, che, causa diretta del conflitto peloponnesiaco, viene assimilato ad una divinità per vanità ed arroganza e posto accanto ad Elena, ipostasi della guerra nell'immaginario collettivo greco e, forse, in questo caso specifico, assimilabile ad Aspasia, la nota cortigiana di Mileto, bersaglio polemico ad Atene, in quanto meteca e legata allo statista da vincoli amorosi. Quando il Dionisalessandro viene rappresentato (Lenee del 430; vd. infra), la guerra è scoppiata da meno di un anno e lo statista si è reso ben presto impopolare con il suo piano strategico di difesa a oltranza, malgrado le devastazioni dell'attica operate dall'esercito spartano; la tattica difensiva, infatti, oltre a provocare gravi disagi psicologici, costringendo la maggior parte della popolazione rurale a riversarsi in città, ne causa anche di materiali, per via del sovraffollamento e del manifestarsi della peste 7. In un simile contesto, allora, la rappresentazione di Pericle sotto le spoglie di un vile Dioniso travestito da Paride e il riferimento a tematiche di così scottante attualità, sia pure svolte in chiave comica, non possono non coinvolgere emotivamente gli 7 La condizione contadina e l'avversione alla guerra saranno, alcuni anni più tardi, com'è noto, anche il tema centrale di due commedie di Aristofane, gli Acarnesi (Dionisie 425) e la Pace (Dionisie 421). Nella prima, infatti, il protagonista è un vecchio contadino inurbato, Diceopoli, che da subito esprime il suo impegno antibellicista e, desideroso della fine della guerra, stipula una pace privata con gli Spartani, per poi dover affrontare l'ostilità, in un primo momento, del coro di bellicosi Acarnesi e, dopo, di Lamaco, una grottesca figura di militare e un maniaco di guerra. Anche nella Pace, l'eroe comico è un contadino, Trigeo, che, stanco del conflitto, raggiunge in volo, in groppo ad uno scarabeo, le dimore degli dèi e, al fine di procurare la pace per tutti i Greci, libera la dea Pace dalla prigionia, a cui Polemo l'ha costretta; dopo la parabasi, Trigeo fa ritorno sulla terra e può finalmente affermare di essere riuscito a realizzare quel desiderio espresso da Diceopoli quattro anni prima, quello, cioè, di porre fine alla guerra e di poter riprendere la pacifica e spensierata vita dei campi (vv ). Si veda sulla questione Mastromarco 2003 pp ;

10 spettatori e rafforzare, in qualche modo, il sentimento impopolare nei riguardi della politica periclea. La parola comica, infatti, strettamente legata alla composita realtà dell'atene del quinto secolo, può facilmente sviluppare nell'opinione pubblica presente a teatro posizioni politiche di dissenso nei riguardi dell'establishment cittadino. A riprova di ciò, va sottolineato che Cratino, negli anni quaranta del quinto secolo, verosimilmente nel 443, porta in scena le Fuggitive (vd. infra), un dramma in cui si utilizza il materiale della saga di Teseo, e Pericle, dietro la maschera del mitico re di Atene, è duramente attaccato per i suoi progetti imperialisti, nello specifico, per la fondazione della colonia panellenica di Turi, realizzata qualche mese prima. Evidentemente la satira politica cratinea riesce ad avere non poca influenza sul corpo civico, se qualche anno dopo Pericle ritiene opportuno ricorrere al decreto di Morichide 8, contro l'offesa recata in commedia a persone indicate per nome, decreto che, se anche limita la libertà di espressione dei commediografi per un periodo relativamente breve (tra il 440/39 e il 437/36), viene di fatto varato per mettere a tacere l'opposizione interna e per impedire che gli attacchi dei comici nei suoi riguardi, in particolare quelli di Cratino, il suo massimo avversario a teatro, abbiano ripercussioni politiche di un certo peso. Anche le Tracie, messe in scena con una certa probabilità lo stesso anno del Dionisalessandro, alle Dionisie del 430 (vd. infra), si presentano come una commedia a tutti gli effetti anti-periclea e questa volta lo stratega è eguagliato a Zeus in maniera ridicola, con una testa enorme e sproporzionata, e viene preso di mira per aver introdotto ad Atene il culto straniero di Bendis, quasi certamente una manovra politica seguita all'alleanza bellica con il re tracio Sitalce, all'inizio del Cfr. schol. Ar. Ach. v. 67 Wilson; sulla questione si veda anche Schmid 1946 pp

11 È, però, con i Chironi 9 che, a mio avviso, Cratino riesce maggiormente a svelare la reale essenza del potere di Pericle ad Atene, solo a parole una democrazia, nei fatti una tirannide; emblematico, in tal senso, è il fr. 258 K.-A. in cui lo statista non solo compare come Zeus, figlio di Στάσις e Κρόνος, ma è designato, soprattutto, quale μέγιστον τύραννον 10, quasi un novello Pisistrato, al cui fianco siede Era/Aspasia, la prostituta figlia di Καταπυγοσύνη (fr. 259 K.-A.). L'immagine che Cratino offre del noto uomo politico è, allora, quella di un tiranno superbo, arrogante, guerrafondaio, primo responsabile della guerra del Peloponneso, della cui conduzione non è capace per viltà e codardia; e il suo governo, simbolo del sistema democratico per il mondo antico e per tutto il pensiero occidentale, assume sulla scena ateniese del quinto secolo, proprio al tempo della sua massima espressione, la connotazione e i tratti di un regime autocratico. Questa rappresentazione comica è estremamente significativa e merita un approfondimento specifico. L'attribuzione a Pericle della qualifica di tiranno, infatti, se da un lato, come si vedrà, procede parallela alla nascita ed allo sviluppo della figura ideologica del tiranno, quale personaggio ricorrente nel teatro tragico, ossessivamente presente anche nei dibattiti politici e nelle dispute filosofiche del tempo, dall'altro sembra palesare una contraddizione intrinseca, dal momento che essa si inserisce di fatto in quella linea ideologica 9 Sulla base del materiale conservato, non è possibile stabilire una datazione precisa per la messa in scena di questa commedia; sulla questione vd. infra. 10 Anche nei Pluti di Cratino, una commedia che qui non è stata presa in esame, sembra si possa individuare una possibile allusione alla tirannide di Pericle. Nel frammento papiraceo (fr. 171 K.-A.), che restituisce alcuni brani del dramma, il coro, in dialogo con un personaggio che la lacunosità del testo non permette di identificare, si autopresenta; i coreuti dichiarano di appartenere alla stirpe dei Titani e di chiamarsi, un tempo, Pluti (fr : Τιτᾶνες μὲν γενεάν ἐσμ[εν / Πλοῦτοι δ ἐκαλούμεθ ὅτ [ἦρχε Κρόνος); gli stessi più avanti dicono di essere giunti (ad Atene) alla ricerca di un vecchio fratello, non meglio identificabile, ora che la τυραννίς è finita e il popolo ha potere (fr : ὡς δὲ τυραννίδος ἀρχὴ λ[έλυται / δῆμος δὲ κρατεῖ, / δεῦρ ἐσύθημεν πρὸς ο. [ / αὐτοκασίγνητόν τε παλαιὸν / ζητοῦντε[ς] κεἰ σαθρὸν ἤδη). Luppe 1967b p. 68 ravvisa nella caduta della tirannide e nell'ascesa del demos, che favorisce la liberazione dalla schiavitù e permette l'arrivo in città dei Pluti, un'allusione alla fine della strategia di Pericle e, dunque, alla fine del suo potere tirannico, avvenuta nell'estate/inverno del 430. Se così fosse, la rappresentazione della commedia andrebbe fissata al 429, datazione accolta da Kassel-Austin, anche sulla base di un passo di Ateneo, in cui i Pluti di Cratino sono classificati, insieme alle Bestie di Cratete e agli Anfizioni di Teleclide, come un dramma attinente al tema della vita beata nell'età dell'oro (6 p. 267 E). In generale, sui Pluti si rimanda a Goossens 1935 pp ; 1943 pp ; 1946 pp ; Sodano pp ; 1961 pp ; Luppe 1967b pp ; Schwarze 1971 pp ; ; Carrière 1979 pp ; e, da ultima, Bakola 2009 pp ;

12 antitirannica ed antipisistratica degli Alcmeonidi, che ha il suo inizio con Clistene e la sua continuazione proprio con Pericle, alcmeonide per parte di madre. Pericle, icona indiscussa della politica democratica e della lotta contro ogni forma di tirannide, diviene egli stesso tiranno sulla scena comica. Si tratta davvero di una contraddizione? 2. Il tiranno tragico Il termine τύραννος e le forme ad esso correlate sono state a lungo oggetto di numerosi studi che, giunti spesso a posizioni divergenti, rendono difficile la definizione precisa del significato. Senza dubbio, il sostantivo ha inizialmente un valore del tutto neutrale e funge da sinonimo di βασιλεύς, per indicare il sovrano legittimo; successivamente, esso acquisisce anche una valenza negativa e va a designare il dittatore illegittimo, l'usurpatore, colui il quale, non appena ne ha la possibilità, si impadronisce con la forza e la violenza di un potere che non gli appartiene. Stabilire con esattezza il momento in cui si è verificato questo slittamento semantico non è, però, cosa facile, tant'è che la maggior parte degli studiosi, che si sono occupati della questione, si divide fra chi fissa il cambiamento al sesto secolo e chi, invece, lo posticipa al quarto, a partire da Platone ed Aristotele 11. Il vocabolo e i suoi derivati, indoeuropei, ma di origine oscura e sicuramente non greci, sono totalmente assenti in Omero, che fa uso solo di βασιλεύς o ἄναξ, ed entrano nella lingua greca a metà del settimo secolo 12. Il termine τυραννίς, infatti, compare per la prima volta in Archiloco, 11 Per una sintesi accurata degli studi sul termine τύραννος e per un'analisi dei passi in cui ricorre si rimanda a O Neil 1986 pp ; si veda, da ultimo, anche Parker 1998 pp Cfr. Parker 1998 pp

13 dove designa semplicemente il potere regale di Gige in Lidia, associato all'idea di ricchezza e lussuria, caratteristiche peculiari di quel regno orientale 13. A partire dal sesto secolo, però, è oggettivamente difficile negare che il sostantivo cominci ad acquisire una connotazione negativa, dal momento che Solone dichiara che avrebbe voluto avere il potere, accumulare una grande ricchezza ed essere τύραννος di Atene per un giorno, per poi essere scuoiato come un'otre e vedere annientata la sua famiglia 14 ; e in un altro passo il legislatore afferma chiaramente di non vergognarsi affatto di aver risparmiato la sua terra e di aver rigettato la τυραννίς e la violenza implacabile 15. È evidente che Solone, pur riconoscendo implicitamente i vantaggi e i benefici della τυραννίς, ne offre un'immagine negativa, la caratterizza as something which at first glance may seem desiderable, but in actuality rapidly leads to ruin e considera il tiranno someone who, when the opportunity presents itself, takes power which does not belong to him 16. Nel quinto secolo, l'alternanza per τύραννος di un valore puramente neutrale, come sinonimo di βασιλεύς, e di un'accezione negativa, come termine che designa l'autocrate, è molto forte. Nell'ambito della prosa, solo Tucidide opera una distinzione netta tra τυραννίς e βασιλεία 17, laddove Erodoto e l'oratoria le pongono sullo stesso piano 18. Se, poi, si volge lo sguardo alla tragedia attica, la situazione si fa ancora più complessa, dal momento che il sostantivo τύραννος e i suoi derivati, molto frequenti, designano, nella maggior parte dei casi, semplicemente il re e, 13 fr. 19W.: οὔ μοι τὰ Γύγεω τοῦ πολυχρύσου μέλει, / οὐδ εἷλε πώ με ζῆλος οὐδ ἀγαίομαι / θεῶν ἔργα, μεγάλης δ οὐκ ἐρέω τυραννίδος / ἀπόπροθεν γάρ ἐστιν ὀφθαλμῶν ἐμῶν. Cfr. anche Archil. fr. 23W. L'associazione della tirannide alla ricchezza e alla lussuria è molto comune nella letteratura greca, così come molto spesso τύραννος e derivati sono utilizzati in relazione ai regni orientali e barbari; sulla questione si veda il materiale raccolto da O Neil 1986 pp fr W.: ἤθελον γάρ κεν κρατήσας, πλοῦτον ἄφθονον λαβὼν, / καὶ τυραννεύσας Ἀθηνέων μοῦνον ἡμέρην μίαν, / ἀσκὸς ὕστερον δεδάρθαι κἀπιτετρίφθαι γένος. 15 fr. 32W: εἰ δὲ γῆς ἐφεισάμην / πατρίδος, τυραννίδος δὲ καὶ βίας ἀμειλίχου / οὐ καθηψάμην, μιάνας καὶ καταισχύνας κλέος, / οὐδὲν αἰδεῦμαι πλέον γὰρ ὧδε νικήσειν δοκέω / πάντας ἀνθρώπους. Per un'analisi dei due passi di Solone citati si veda De Martino-Vox , pp Parker 1998 p Cfr. Parker 1998 p. 64 n Cfr. Parker 1998 pp

14 in generale, il potere regale, ma, come si vedrà, principalmente in Sofocle ed Euripide, non mancano situazioni in cui queste parole assumono un'accezione negativa, soprattutto se riferite a personaggi che di fatto mostrano sulla scena i comportamenti propri di un tiranno con potere assoluto e agiscono come tali 19. Nella commedia di Aristofane, inoltre, nonostante τύραννος sia utilizzato più volte in maniera neutrale, in particolar modo in relazione al dominio di Zeus 20, è attestato anche l'uso di τυραννίς per indicare l'usurpazione illegale del potere; significativo in tal senso è il passo delle Vespe in cui si ironizza sul timore ossessivo che ad Atene si ha della tirannide 21. Parker 1998 pp , dunque, nel suo studio sull'evoluzione del concetto politico di τύραννος, sulla base della documentazione sopra riportata, arriva alla conclusione che l'attribuzione al sostantivo di un senso peggiorativo, che designa il detentore di un potere assoluto e illegittimo, ha dei confini geografici ben definiti: si tratta, a suo avviso, di una specificazione semantica che, a partire dal sesto secolo con Solone, si sviluppa e cresce nell'ambito ristretto del dialetto attico e trova la sua massima espressione in Tucidide, il primo autore che scrive esclusivamente in attico. Secondo lo studioso, questa singolare constatazione trova spiegazione nel fatto che soltanto nella regione dell'attica yawned a gap of many centuries betweeen the rise of the tiranny and the downfall of the kingship, so that the tyrants never pretended to be kings and were in fact perceived as being something radically different from the kings. The perceived political distinction manifested itself in a semantic distinction which, however, did not exist outside of the regional dialect of Attica 22. A partire dall'ipotesi di Parker, è possibile fare un ulteriore passo in avanti. La regione dell'attica 19 Per una documentazione accurata delle ricorrenze di τύραννος e affini in tragedia si veda O Neil 1986 pp ; Parker 1998 pp Cfr. Ar. Nu. 564; Av. 483; 1605; 1643; 1673; 1708; Pl vv ; cfr. anche Lys. vv Nello specifico, per il passo delle Vespe si veda, in questa sede, l'analisi condotta su di esso nel capitolo relativo ai Chironi. 22 Parker 1998 p

15 e, in particolare, Atene rappresentano, forse, il terreno di gioco più fertile in cui il termine τύραννος e i suoi derivati possono affermarsi in tutta la loro ambivalenza semantica e farsi portavoce di un significato negativo. Basta prendere in considerazione i presupposti di base che conducono alla nascita stessa della πόλις democratica, che ha in Clistene il suo ideatore. Essa, infatti, si costituisce, innanzitutto, quale sistema preventivo contro il pericolo della tirannide, dopo la disastrosa esperienza di Pisistrato e dei Pisistratidi. Uno degli obiettivi principali della riforma di Clistene è proprio quello di evitare in ogni modo lo sviluppo di qualunque forma di potere personale, centralizzato e autoritario dall'interno delle aristocrazie locali e dei gruppi nobiliari; prova ne è l'istituzione dell'ostracismo, la nota procedura volta a denunciare il timore che qualcuno possa aspirare ad un regime tirannico, divenuta solo in un secondo momento strumento di lotta fra orientamenti o partiti diversi 23. Ne deriva, allora, che anche nell'immaginario comune ateniese il tiranno diventa ben presto il maggiore nemico del popolo, la massima manifestazione del malvagio, in quanto negatore assoluto dell'ordine su cui si regge la πόλις, quell'ordine rappresentato dallo spazio politico e dal comune possesso della città. È l'ideologia stessa della πόλις a partorire la figura del tiranno, quale mito polemico, personificazione di tutto ciò che deve essere respinto dalla morale pubblica, cioè la perdita della libertà, la dismisura e l'empietà, perché la città ha bisogno della controimmagine del tiranno per affermarsi essa stessa 24. Se il ragionamento è giusto, il teatro attico rappresenta lo strumento culturale migliore per esprimere tutta l'ambiguità di un termine come τύραννος. Non bisogna, infatti, dimenticare che il 23 Cfr. Musti 1997 pp ; 1998 pp Lanza 1977 p. 13. Per essere più chiari, si può, in un certo senso, affermare che la πόλις ateniese nasce come reazione alla precedente esperienza della tirannide e, dunque, si basa su principi e valori assolutamente antitirannici, proprio come la Repubblica democratica italiana trova la sua ragion d'essere nel ripudio del fascismo e fa dell'antifascismo la sua carta costituzionale. 14

16 teatro ateniese del quinto secolo non è un'iniziativa privata, ma un'istituzione pubblica, un momento della vita associativa della πόλις, direttamente inserito nel calendario civile della città. Come tale, il tragediografo o il commediografo di turno non hanno bisogno di conquistarsi un pubblico per il loro spettacolo, perché esso è assicurato e istituzionalmente garantito, come lo è quello della processione della festa del paese 25. Il pubblico del teatro di Dioniso è tutta la città, senza alcuna selezione sociale e senza distinzione di ceto 26. In occasione delle Dionisie, inoltre, nella cavea del grande teatro si ritrovano anche i cittadini provenienti da tutti i demi dell'attica, oltre che un gran numero di stranieri, meteci e ospiti occasionali, legazioni di altre città, alleati giunti per discutere una causa o per versare i tributi. Tutta la vita pubblica ateniese dopo Clistene si muove in uno spazio politico e il teatro ne rappresenta la massima espressione: esso è costituzionalmente politico, perché è parte integrante dello spazio politico della città, coinvolge tutto il corpo civico, senza stratificazioni sociali, favorendone la ricomposizione in un'unità organica e armonica. E se il teatro è politico, in quanto vive nello spazio politico della città ed è espressione diretta della sua vita politica, esso si fa anche naturalmente strumento di celebrazione di tale spazio politico e del suo significato ideologico più profondo: l'identità dei cittadini, indipendentemente dal loro specifico ruolo sociale, in quanto appunto cittadini, e la fondamentale organicità che tutti li lega in quella struttura fisiologicamente coesa che è la polis. E la polis, le sue contraddizioni, i suoi pericoli, le sue crisi, i farmaci necessari per ricomporne l'unità, sono appunto i contenuti fondamentali delle opere teatrali ateniesi, delle tragedie come delle commedie 27. Ecco, allora, che se la tirannide nel quinto secolo rappresenta ad Atene il maggior pericolo per la πόλις e riflette la diffusa paura della perdita della libertà e della catastrofe del sistema, essa trova espressione anche sulla scena 25 Lanza 1977 p Sulla composizione del pubblico nel teatro attico si veda Pickard-Cambridge 1996 pp Lanza 1977 p

17 teatrale con l'emergere del personaggio del tiranno tragico, quale trasposizione drammatica di una figura sociale. Per quanto, come si è già detto, il termine τύραννος sia spesso usato in tragedia con valore del tutto neutrale, senza precise connotazioni politiche, c'è tuttavia da sottolineare che in alcuni casi questa parola viene messa in relazione a personaggi che, nei loro gesti e nelle loro azioni, assumono di fatto i tratti del tiranno in carne e ossa; e, a mio avviso, in questi casi è quantomeno probabile, se non proprio sicuro, che il ricorso a quel sostantivo, per via della sua forte carica ambivalente, non sia del tutto casuale e che la sua connotazione negativa venisse, in qualche modo, colta dagli spettatori seduti a teatro. Non resta che fornire alcuni esempi. Nell'Antigone di Sofocle, Creonte assume i connotati del personaggio tirannico fin dall'inizio, ancor prima del suo arrivo in scena, già nel dialogo iniziale tra le due sorelle (vv. 1-99): Antigone, nel mettere Ismene al corrente dei fatti, dapprima le riferisce che lo στρατηγός ha emanato un κήρυγμα per tutta la città (vv. 7-8) e, poi, le spiega che l'editto vieta la sepoltura di Polinice (vv ) e non esita a sottolineare con pesante sarcasmo l'intolleranza e l'atteggiamento oltraggioso e intransigente del buon Creonte (v. 31: τὸν ἀγαθὸν Κρέοντα), intenzionato a punire con la morte gli eventuali trasgressori (vv ). Risulta significativo il fatto che Antigone non attribuisce mai a Creonte lo status costituzionale di re, come altri fanno 28, ma, dopo averlo definito στρατηγός (v. 8), lo chiama sempre per nome (vv. 21; 31; 549) e, nel confronto diretto con lui, svela la reale essenza del suo potere, quando afferma che la τυραννίς gode di molti benefici, in particolare quello di fare e dire tutto ciò che vuole 29. Già Ismeme, però, nel prologo, rispondendo sbigottita all'invito della sorella a seppellire il corpo del fratello, incuranti del κήρυγμα, si sofferma sulla matrice autocratica del potere che le sovrasta, ricorre 28 Il coro si rivolge a Creonte con i termini βασιλεύς (v. 155) e ἄναξ (vv. 278; 724; 766; 1091; 1103; 1257); nel rivolgersi direttamente al sovrano, ἄναξ è il sostantivo che usa per ben due volte anche la guardia (vv. 223; 388) ed una sola volta Ismene (v. 563). Si veda nel merito Griffith 1999 p vv : ἀλλ ἡ τυραννὶς πολλά τ ἄλλ εὐδαμονεῖ / κἄξεστιν αὐτῇ δρᾶν λέγειν θ ἅ βούλεται. 16

18 proprio all'uso del termine τύραννος e insiste sullo scontro di genere, affermando il dominio incontrastato e incontrastabile del patriarcato: solo la morte spetta a chi trasgredisce l'autorità dei tiranni (v. 60: ψῆφον τυράννων) e, per di più, una donna non può lottare contro gli uomini, ma solo sottostare ed obbedire agli ordini dei più forti, alla volontà del potere maschile (vv ). Eppure Creonte, nella sua prima ῥῆσις (vv ), all'inizio del primo episodio, nel tentativo di giustificare il suo operato, espone il suo programma politico ed insiste nel presentare se stesso quale il buon sovrano, tutto proteso a garantire e mantenere la stabilità della sua città, attraverso l'esercizio costante della sua autorità; il suo discorso, incentrato sull'importanza per un buon governante di curare sempre l'interesse generale della patria, senza anteporre nessun affetto privato al bene pubblico, dal momento che solo la salvezza della patria è garanzia di benessere per tutti (vv ), non fa che rispecchiare il comune sentire democratico del tempo, nonché richiamare, in maniera quasi esplicita, il manifesto della democrazia ateniese, ossia l'epitafio attribuito a Pericle da Tucidide, in cui, com'è noto, è posta, quale principio fondamentale, proprio la subordinazione degli interessi familiari e privati a quelli della città 30. La forza tirannica del suo potere, accuratamente rinnegata nella presentazione del suo programma politico, si rende, invece, manifesta nella realizzazione pratica. Creonte è convinto di essere un buon sovrano, ma, di fatto, agisce da tiranno 31. Lo scontro di genere, già presente nelle parole di Ismene, torna a farsi sentire con più forza e prepotenza nel confronto diretto tra Creonte ed Antigone, di fronte all'ostinazione della ragazza, che non teme di rivendicare la sua azione come giusta (vv ) 32. Il sovrano non solo 30 Th ; cfr. anche ; in generale, sulla questione si veda Griffith 1999 pp ; Cfr. Citti p Steiner 1990 pp sostiene che nell'antigone di Sofocle si esprimono chiaramente le cinque opposizioni che rappresentano le costanti principali del conflitto presente nella condizione umana: uomo-donna; vecchiaiagiovinezza; società-individuo; vivi-morti; uomini-divinità. In particolare, lo studioso ritiene che ognuna di queste cinque categorie fondamentali venga realizzata in un solo atto di confronto, quello tra Antigone e Creonte (vv ), dal momento che Creonte e Antigone si scontrano come uomo e come donna. Creonte è un uomo maturo, anzi, quasi vecchio; Antigone rappresenta la verginità della giovinezza. La loro disputa finale è 17

19 replica con la minaccia di domare la fiera volontà di chi gli si oppone, ma è evidente che egli non reagisce alla ribellione di Antigone in nome della sua autorità legale o in nome delle leggi della città e dell'interesse comune, bensì affermando di non poter tollerare che una donna sfidi il suo comando (vv ); ella non potrà sfuggire ad una morte terribile, perché, se il successo le arriderà impunemente, non sarà più lui l'uomo, ma lei lo diventerà 33 e poi, conclude, finchè lui sarà vivo, non permetterà che una donna comandi 34. L'atteggiamento trasgressivo di Antigone va punito, perché lei non agisce solo per un uomo (Polinice), cioè nell'interesse di quest'ultimo, ma, poiché la sua azione è politica, è pubblicamente polemica, agisce come un uomo 35. Creonte riafferma questo punto di vista nel terzo episodio, nel dialogo con il figlio Emone (vv ), il momento in cui, forse meglio che altrove, si smaschera del tutto l'indole tirannica e l'inadeguatezza del personaggio. Creonte insiste sulla necessità di rinnegare la passione amorosa e non cedere mai al piacere che una donna può offrire (vv ); chi trasgredisce e viola le leggi non può ricevere la sua approvazione, perché a chiunque la città abbia affidato il potere si deve obbedire nelle piccole e grandi cose, in quelle giuste e non (vv ); non c'è sciagura più grande dell'ἀναρχία, a cui fa da contraltare la πειθαρχία (vv ), e, dunque, mai bisogna opporsi alle disposizioni dell'autorità, mai esser da meno di una donna, mai essere definiti suoi succubi 36. imperniata sulla natura della coesistenza tra visione privata e necessità pubblica, tra ego e comunità. Su Creonte pesano gli imperativi dell'immanenza, di chi vive nella πόλις; in Antigone tali imperativi si incontrano con la non meno esigente folla notturna dei morti. Nel dialogo tra Antigone e Creonte non viene pronunciata sillaba, non viene fatto gesto che non sia portatore della prossimità molteplice, forse della doppiezza degli dèi (Steiner 1990 p. 261). Per un'analisi accurata del dialogo tra Antigone e Creonte (vv ) si veda Griffith 1999 pp vv : ἦ νῦν ἐγὼ μὲν οὐκ ἀνήρ, αὕτη δ ἀνήρ, / εἰ ταῦτ ἀνατὶ τῇδε κείσεται κράτη. 34 v. 525: ἐμοῦ δὲ ζῶντος οὐκ ἄρξει γυνή. 35 Belardinelli 2010 p. 21 e n vv : οὕτως ἀμυντέ ἐστὶ τοῖς κοσμουμένοις, / κοὔτοι γυναικὸς οὐδαμῶς ἡσσητέα / κρεῖσσον γάρ, εἴπερ δεῖ, πρὸς ἀνδρὸς ἐκπεσεῖν, / κοὐκ ἄν γυναικῶν ἥσσονες καλοίμεθ ἄν. Creonte non può sopportare di essere vinto da una donna, perché coloro che enunciano, esercitano, seguono e così facendo preservano i principi dell'ordine sociale sono in armonia con le gerarchie fondamentali del mondo 18

20 La risposta di Emone, però, mette in luce tutti gli aspetti che svelano l'ambiguità ed il vuoto interiore del padre (vv ): il timore che il popolo ha di lui, per via del suo atteggiamento autoritario (vv ); la simpatia dei cittadini per Antigone e il serio rischio per Creonte di incorrere nel biasimo generale e di perdere consenso, con la condanna della ragazza (vv ); la stolta ostinazione nel credere di essere sempre nel giusto (vv ) e, soprattutto, come emerge nella sticomitia successiva, il rifiuto di una grande verità, in base alla quale nessuna città appartiene ad un solo uomo; soltanto chi governa in un deserto può credere che una città sia proprietà di chi comanda 37. Agli occhi del cieco Creonte, chiuso nell'affermazione della sua volontà indiscussa, le parole di Emone non possono che apparire quali frutto del ragionamento di un giovane, schiavo di una donna 38, e la sua decisione di uccidere Antigone viene ribadita in tutta la sua irreversibilità (vv ). Antigone, quindi, non incarna soltanto l'immagine di chi si oppone all'ordine costituito, ma il suo atto di ribellione si fa crimine ancora più efferato, perché a compierlo è una donna; la sua azione, in tal modo, assume i tratti di un oltraggio insopportabile, nei termini in cui essa rischia di intaccare il dominio del patriarcato, su cui si fonda non solo il potere di Creonte, nello specifico del dramma, ma, in generale, anche l'intero sistema della πόλις. Non va, del resto, dimenticato, che è proprio Pericle, nel celebre epitafio, a ricordare alle vedove dei caduti che la più grande virtù per una donna è che di lei si parli il meno possibile, la più grande virtù è l'anonimato (Th ). naturale. Nella misura in cui la femminilità incarna l'amorfo e l'anarchico notturno, la rivendicazione che fa una donna del suo predominio trascende in assoluto ogni contesa privata, particolare. Essa sfida la cosmologia razionale di cui una πόλις ben governata è l'emblema. Ne consegue che è infinitamente preferibile, perché più «naturale», più consono alle catastrofi di cui è vittima l'ordine cosmico e umano, «cadere, andare in rovina per mano di un uomo» (l'espressione di Creonte è omerica) che soccombere a una donna o essere visto cadere sotto la sua spinta (Steiner 1990 p. 267). In generale, sulla mascolinità dell'azione di Antigone si vedano Citti pp ; Steiner 1990 pp ; Belardinelli 2010 pp vv : ΑΙ. Πόλις γὰρ οὐκ ἔσθ ἥτις ἀνδρὸς ἐσθ ἑνός. / ΚΡ. Οὐ τοῦ κρατοῦντος ἡ πόλις νομίζεται; / ΑΙ. Καλῶς ἐρήμης γ ἄν σὺ γῆς ἄρχοις μόνος. 38 v. 746: ὧ μιαρὸν ἦθος καὶ γυναικὸς ὕστερον; v. 756: γυναικὸς ὢν δούλευμα, μὴ κώτιλλέ με. 19

21 L'atteggiamento inflessibile ed arrogante di Creonte viene fuori anche dalla crudeltà della pena inflitta alla giovane: la nipote, infatti, non viene semplicemente condannata a morte, ma a lei tocca di essere abbandonata in un luogo deserto, chiusa viva in una tomba sotterranea e là lasciata sola a decidere se continuare a vivere o morire (vv ) 39. Come sottolinea Belardinelli 2010 pp. 9-10, è significativo che in questo passo è utilizzato il sostantivo φορβῆ (v. 775) per indicare il cibo da somministrare ad Antigone durante la sua prigionia; il vocabolo, infatti, di ascendenza omerica, fa riferimento, nello specifico, al pasto di animali 40. Antigone, allora, è considerata e trattata alla stregua di un animale e diviene quindi una sorta di capro espiatorio per volontà di Creonte, secondo il quale la morte della figlia di Edipo dovrebbe rappresentare un monito per i cittadini di Tebe, al fine di evitare ulteriori atti di insubordinazione contro il suo governo 41. Creonte è, in definitiva, il tiranno della città, il padrone assoluto che legifera, impone i suoi comandi, mette a morte chi trasgredisce e stabilisce il confine tra bene e male, tra ciò che è giusto e ciò che non lo è, per il bene della patria; eppure, il suo dominio si rivela in fin dei conti illusorio, distruttivo e mai costruttivo, ed egli, nel negare la città, finisce per negare se stesso, in quanto micropolis che verifica nella propria coscienza la razionalità di un ordine pluralistico armonicamente connesso, la razionalità della polis 42. Nell'Edipo re, il personaggio di Edipo non si manifesta da subito nelle vesti di un tiranno, anzi nei primi versi del dramma egli si definisce κλεινός e come tale riconosciuto da tutti (v. 8), sovrano attento alle sofferenze del suo popolo, il cui cuore geme per la città schiacciata dalla 39 In realtà, il decreto di Creonte prevedeva all'inizio per il trasgressore la lapidazione (vv ); in seguito, dopo l'alterco con Emone, il sovrano stabilisce la commutazione della pena (vv ), per impedire che la città possa essere contaminata da una simile uccisione; cfr. sulla questione Belardinelli 2010 p. 2 n Questo sostantivo, oltre che nel passo in questione, ricorre anche nel Filottete per indicare, non a caso, il cibo dell'eroe sofocleo che, abbandonato sull'isola di Lemno, conduce una vita selvaggia, alla stregua di un animale (cfr. vv. 43; 162; 707; 711; 1107). Sul termine φορβῆ si veda Belardinelli 2010 pp n Belardinelli 2010 p Lanza 1977 p

22 pestilenza, e si mostra disposto a tutto pur di liberare la sua gente dal flagello che la opprime (vv ). La seconda parte della tragedia segna, invece, il passaggio dall'edipo buon sovrano all'edipo despota, che presenta i tratti tirannici più tipici: l'ira, la paura, la presunzione, il sospetto e l'empietà 43. Come sottolinea Rodighiero 2000 p. 19, una caratteristica tipica degli eroi sofoclei è rappresentata dal fatto che il loro punto di vista è destinato a evolversi e mutare con il procedere degli eventi, man mano che un destino si compie e si svela un inganno. E così Edipo in un primo momento, sicuro di sé e ignaro di quanto sta per accadere, si presenta politico, comprensivo e paterno 44, sofferente non soltanto per lui ma per l'intera comunità; non appena, però, il suo sistema di certezze viene messo in crisi e rischia di crollare, egli si fa tiranno intransigente. Il suo atteggiamento tirannico, che stravolge il personaggio, lo contrappone agli altri e lo trasforma in un dominatore solitario, schiavo della paura, è, dunque, dettato dalla 43 L'interpretazione tirannica dell'edipo re ha tratto il suo impulso a partire dai lavori di Vernant 1976 pp ; ; essa è stata accuratamente sviluppata da Lanza 1977 pp , ma è stata ripresa anche di recente da Cerri 1992 p. 322; Francis 1992 pp ; Ugolini 2000 pp Tale linea esegetica non è stata, però, da tutti condivisa e non ha mancato di sollevare polemiche a riguardo. Da ultimo, Condello 2009 pp , al quale, tra l'altro, si rimanda per l'accurata bibliografia sulla questione, imputa una simile lettura alla critica colpevolistica, che individua, appunto, nei tratti tirannici di Edipo la colpa tragica dell'eroe. Lo studioso, però, ritiene che essa sia estremamente riduttiva, a fronte della complessità e dell'irriducibilità della tragedia sofoclea, in cui egli, riprendendo l'equivalenza stabilita da Knox 1975 pp «Edipo è Atene» -, vede piuttosto il tentativo del tragediografo, tentativo destinato a restare in sospeso, di fornire una risposta storica dinanzi alla crisi storica della cultura ateniese, di un'atene che significa innanzitutto la cultura del razionalismo politico, etico, tecnico di marca latu sensu sofistica o periclea, della quale Sofocle sembra riconoscere a un tempo grandezza e insufficienza, eroismo e miseria (Condello 2009 p. 108); non a caso, a suo avviso, il ruolo di guida politica, lasciato vacante da Edipo alla fine del dramma, è assunto da un Creonte incapace di decisioni, in un irrisolto «conflitto fra due stili di leadership» che è l'esito ultimo, aperto e aporetico, della tragedia, dove il giudizio di Sofocle attraverso la complessa macchina testuale o ideologica dell'edipo re è destinato a restare splendidamente indeciso (Condello 2009 p. 109). Condello 2009 pp , inoltre, nell'affrontare la questione dell'attribuzione ad Edipo della qualifica di τύραννος, sostiene che essa sia del tutto irrilevante, dal momento che nelle quindici occorrenze di questo termine e dei suoi derivati vi è una netta prevalenza del valore neutro. Ammettendo anche che questo sia vero, sulla base di quanto scritto precedentemente su τύραννος e affini, c'è da aggiungere che lo stesso O Neil 1986 p. 34, fermamente convinto del fatto che non sia individuabile alcuna valenza negativa del termine in relazione ad Edipo, avanza, però, il dubbio che il pubblico ateniese possa aver percepito l'utilizzo di quelle parole come an ominous choise ; e, più di recente, Budelmann 2000 pp , pur riconoscendo che nessuno dei personaggi, che definisce τυραννίς il potere di Edipo, lo consideri un cattivo sovrano da destituire, nota tuttavia una singolare coincidenza nella tragedia: τύραννος e derivati start appearing at a time when Oedipus is a man who is more concerned with himself than with the large group, at a time when he sees himself as a ruler under threat, as an individual with an uncertain past and as much else, but not as a saviour (p. 219). A suo avviso, dunque, il ricorso a queste parole sottolinea inevitabilmente l'emergere di un atteggiamento egoistico in Edipo che, come tipico del tiranno, si mostra più attento al proprio vantaggio che al bene della comunità. 44 Rodighiero 2000 p

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