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La tragedia

Etimologia Il sostantivo τραγῳδία è da intendere come composto di τράγος (capro) e di ᾠδή (canto). Le interpretazioni più comuni suppongono il riferimento ad un rito agreste in cui uno o più persone si presentavano vestiti da capri oppure una gara in cui un capro costituiva il premio un rito in cui un capro veniva sacrificato..

Aristotele Aristotele collega nella Poetica la tragedia al ditirambo, canto corale dionisiaco e afferma un originale predominio dell elemento satiresco. Il fatto di poter conoscere essenzialmente solo i ditirambi di Bacchilide, vicini in un caso (Teseo) alla struttura di scena tragica, con dialogo fra coro ed attore, ma coevi allo sviluppo maturo del teatro tragico, ci impedisce di accertare realmente questa evoluzione. È comunque significativo ricordare il legame che Dioniso, a cui erano legate le competizioni tragiche, aveva con i capri e con i satiri, uomini dagli attributi in origine caprini (corna e zampe), anche se in età classica vengono iconograficamente identificati con i sileni, figure senza corna ma con una coda equina e senza elementi di capro. Una possibile ipotesi è quella di immaginare che l elemento satiresco si sia poi trasferito nel genere ibrido del dramma satiresco, impostato come una tragedia a partire da eventi mitici ma proposto in forma grottesca con l intervento di un coro di satiri.

Aristotele Poetica, 1453b Γενομένη δ' οὖν ἀπ' ἀρχῆς αὐτοσχεδιαστικῆς ( ) ἀπὸ τῶν ἐξαρχόντων τὸν διθύραμβον ( ) κατὰ μικρὸν ηὐξήθη προαγόντων ὅσον ἐγίγνετο φανερὸν αὐτῆς. ( ) ἐκ μικρῶν μύθων καὶ λέξεως γελοίας διὰ τὸ ἐκ σατυρικοῦ μεταβαλεῖν ὀψὲ ἀπεσεμνύνθη, τό τε μέτρον ἐκ τετραμέτρου ἰαμβεῖον ἐγένετο. Ed essendo nata dunque da un inizio improvvisativo ( ) da coloro che intonano il ditirambo ( ) un po' alla volta crebbe man mano che sviluppavano quanto di essa diveniva evidente. ( ) Da piccoli racconti mitologici e da uno stile scherzoso per il (fatto di) derivare dall elemento satiresco tardi diventò solenne, e il metro da tetrametro divenne giambo.

Friedrich Nietzsche Nel saggiodie Geburt der Tragödie aus dem Geiste der Musik (La nascita della tragediadallo spirito della Musica) del 1872 Nietzsche vede nella tragedial equilibrio perfetto fra due spiriti che si fronteggiano nella cultura greca: l Apollineo che esprime l idea dell ordine, dell equilibrio, dell armonia, dell autocontrollo, e il Dionisiaco che esprime gli istinti primordiali dell uomo, l impeto violento, l estasi folgorante. La crisi dello spirito tragico è legata al prevalere del razionalismo socratico, i cui segni sono evidenti nella produzione declinante di Euripide.

Freud In Totem und Tabu (1913), Siegmund Freud vede nella tragedia il ricordo ancestrale dell uccisione del capo dell orda primordiale da parte dei figli, che ne avrebbero divorato le carni per assumerne la forza; la sua figura sarebbe stata sostituita dal Totem, immagine dell animale sacro che una volta all anno veniva ucciso e divorato dal gruppo tribale. Il rito tragico sarebbe quindi la riproposizione di quel delitto primordiale trasfigurato nelle sofferenze del protagonista (l antenato ucciso) di fronte al coro (i figli uccisori).

Il πρῶτος εὑρετής Secondo una tradizione attestata in testi bizantini (Giovanni Diacono e il lessico Suda), ma fatta risalire a Solone, la prima rappresentazione tragica sarebbe stata opera di Arione di Metimna che viveva alla corte di Periandro di Corinto (fine VII-inizio VI sec.) e che aveva inventato anche il ditirambo. Altre tradizioni, registrate nel lessico Suda, attribuiscono a Epigene di Sicione le prime tragedie, ma le fonti più importanti riconoscono in Tespi il primo vero tragediografo, che vinse la prima competizione tragica ad Atene sotto Pisistrato fra il 536 e il 533 in occasione delle grandi Dionisie, le feste principali in onore di Dioniso..

Θέσπις, Ἰκαρίου, πόλεως Ἀττικῆς, τραγικὸς ι ἀπὸ τοῦ πρώτου γενομένου τραγῳδιοποιοῦ Ἐπιγένους τοῦ Σικυωνίου τιθέμενος, ὡς δέ τινες δεύτερος μετὰ Ἐπιγένην ἄλλοι δὲ αὐτὸν πρῶτον τραγικὸν γενέσθαι φασί. Καὶ πρῶτον μὲν χρίσας τὸ πρόσωπον ψιμυθίῳ ἐτραγῴδησεν, εἶτα ἀνδράχνῃ ἐσκέπασεν ἐν τῷ ἐπιδείκνυσθαι, καὶ μετὰ ταῦτα εἰσήνεγκε καὶ τὴν τῶν προσωπείων χρῆσιν ἐν μόνῃ ὀθόνῃ κατασκευάσας. Ἐδίδαξε δὲ ἐπὶ τῆς πρώτης καὶ ξ ὀλυμπιάδος. Μνημονεύεται δὲ τῶν δραμάτων αὐτοῦ Ἆθλα Πελίου ἢ Φόρβας, Ἱερεῖς, Ἠί θεοι, Πενθεύς. Tespi, di Icario, città attica, poeta tragico, XVI dopo il primo tragediografo Epigene di Sicione, ma come dicono alcuni secondo dopo Epigene; altri dicono che fu il primo tragediografo. E per primo essendosi tinto il volto con biacca recitò una tragedia, poi si coprì il volto con portulaca durante la rappresentazione Io. Diac. in Hermog. (Rabe, RhM 63 [1908] 150): τῆς δὲ τραγῳδίας πρῶτον δρᾶμα Ἀρίων ὁ Μηθυμναῖος εἰσήγαγεν, ὥσπερ Σόλων ἐν ταῖς ἐπιγραφομέναις Ἐλεγείαις ἐδίδαξε. Στράτων δὲ ὁ Λαμψακηνὸς δρᾶμά φησι Ἀθήνησι διδαχθῆναι ποιήσαντος Θέσπιδος. Sud. A 3886 (i 351 Adler): Ἀρίων, Μηθυμναῖος, λυρικός, Κυκλέως υἱός, γέγονε κατὰ τὴν λή Ὀλυμπιάδα [XXXVIII Olimpiade = 628].( ) λέγεται καὶ τραγικοῦ τρόπου εὑρετὴς γενέσθαι καὶ πρῶτος χορὸν στῆσαι καὶ διθύραμβον ᾆσαι καὶ ὀνομάσαι τὸ ᾀδόμενον ὑπὸ τοῦ χοροῦ καὶ Σατύρους εἰσενεγκεῖν ἔμμετρα λέγοντας

Erodoto Herodot. 5, 67: τά τε δὴ ἄλλα οἱ Σικυώνιοι ἐτίμων τὸν Ἄδρηστον καὶ δὴ πρὸς τὰ πάθεα αὐτοῦ τραγικοῖσι χοροῖσι ἐγέραιρον, τὸν μὲν Διόνυσον οὐ τιμῶντες, τὸν δὲ Ἄδρηστον. Κλεισθένης δὲ χοροὺς μὲν τῷ Διονύσῳ ἀπέδωκε, τὴν δὲ ἄλλην θυσίην Μελανίππῳ. Erodoto riferisce dell uso di cori tragici a Sicione, nel Peloponneso, per onorare le sventure dell eroe del ciclo tebano Adrasto, re di Argo e successivamente anche di Sicione. Il tiranno Clistene (inizio VI sec.), nemico di Argo, non potendo vietare il culto dell eroe, a seguito di una proibizione della Pizia, «restituì a Dioniso» i cori tragici e contrappose a quello di Adrasto il culto del suo nemico Melanippo. Che si trattasse di vere e proprie tragedie è cosa dubbia, anche se una fonte tarda ci parla di una disputa fra Atene e Sicione per la priorità.

Le feste Le Grandi Dionisie erano programmate fra il 10 ed il 14 circa del mese di Elafebolione (marzo-aprile) fondate dallo stesso tiranno che aveva promosso il culto del dio, innalzando un tempio ai piedi dell acropoli. Le feste prevedevano per tre giorni la gara fra tre poeti che presentavano ciascuno tre tragedie e un dramma satiresco, mentre nel quarto giorno si fronteggiavano cinque commedie di diversi autori. Secondo la tradizione si deve al legislatore Clistene (fine VI secolo a. C.) l introduzione nelle Dionisie anche una competizione di ditirambi che vedevano gareggiare i cori maschili e femminili delle dieci tribù. Dal 440 anche le feste Lenee, nel periodo invernale di Gamelione (gennaiofebbraio) prevedevano la presentazione di 5 commedie e 6 tragedie di 3 autori.

La competizione Le regole prevedevano che i poeti si presentassero all arconte eponimo con dei canti e forse un riassunto delle loro opere, tre tragedie e un dramma satiresco a testa; l arconte a suo giudizio concedeva il coro ai tre giudicati migliori incaricando un cittadino dotato di mezzi adeguati di sostenere questa liturgia (incarico pubblico). L organizzazione di uno spettacolo o χορηγία era una delle forme di liturgia più prestigiose ed includeva costo di scene, costumi, sala per le prove, coro, Χοροδιδάσκαλος e musici, mentre gli attori erano pagati dallo stato ed assegnati a sorte ai tre concorrenti.

Prima della competizione si svolgeva i Proagone, cerimonia ufficiale in cui si portava a conoscenza il pubblico del programma (dall età di Pericle si svolgeva nell Odeon accanto al teatro); i poeti e i coreghi si presentavano assieme agli artisti in vesti lussuose ed inghirlandati. Prima della gara la statua di Dioniso custodita nel tempio del teatro veniva portata in un tempio periferia, per la processione notturna che la riportava in teatro. Il primo giorno si svolgeva un corteo per le vie di Atene con danze e canti, a cui partecipavano cittadini in abito bianco, meteci in abito scarlatto, e i coreghi con vesti lussuose. Enormi falli venivano portati in processione, assieme agli animali per il sacrificio.

Il teatro poteva contenere oltre 17.000 spettatori, in genere a pagamento (due oboli), fatta eccezione per le autorità; potevano assistere non solo meteci ma anche stranieri e forse esserci anche donne. Prima della rappresentazione veniva sacrificato sull altare centrale del teatro un porcellino e si annunciavano le onorificenze pubbliche per cittadini o stranieri e sfilavano indossando armature donate dallo stato i figli di cittadini caduti in guerra per Atene. Dieci giudici, scelti a sorte uno per tribù, indicavano la classifica di preferenze fra i tre autori su una tavoletta. Sulla base di cinque di essere estratte a sorte si decideva la classifica finale. Il poeta e il corego vincenti venivano incoronati, al pari del migliore attore.

Gli attori Ogni tragedia aveva un numero molto ridotto di attori parlanti, inizialmente uno, forse sul modello del corifeo nel ditirambo. Ad Eschilo è attribuita l introduzione di un secondo attore, mentre Sofocle sarebbe stato il primo ad introdurne un terzo, poi adottato dallo stesso Eschilo. Ai tre attori potevano esserne aggiunte comparse mute (κωφά πρόσωπα, "personaggi sordi») Gli attori, rigorosamente maschi anche per parti femminili, potevano tuttavia sostenere più ruoli, eventualmente scambiandoseli, grazie anche all uso della maschera, realizzata in lino o piuttosto in sughero e ferro. L autore poteva recitare direttamente una parte attoriale. Gli attori del coro avevano maschere e costumi di diverso tipo ed erano caratterizzati in base a questi; essi dovevano danzare e cantare, accompagnati dall αὐλός. Fra essi si distingueva la figura del corifeo, che interloquiva direttamente con i personaggi del dramma.

Il coro Il coro era composto da dodici a quindici elementi con a capo il corifeo, che interagiva con gli attori, e si muoveva unendo il canto alla danza. Poteva rappresentare uomini o donne, ma anche semidei. Nella forma tragica il ruolo del coro è fondamentale per filtrare dinamicamente l acceso pathos degli eventi scenici e per renderli in qualche modo tollerabili al pubblico avviando una riflessione collettiva a cui tutti gli spettatori dovevano sentirsi chiamati

Gli spazi del teatro

Le parti della tragedia Πρόλογος: secondo Aristotele è "tutta la parte di tragedia che precede la parodo del coro. Questa parte, in versi recitativi (trimetri giambici o più raramente tetrametri trocaici), può essere costituita da un monologo o da un dialogo, ed ha la funzione di introdurre il dramma; in alcuni casi il personaggio o i personaggi che recitano il prologo non avranno più alcuna parte nella tragedia. Di solito nel teatro di Euripide il prologo è nella prima parte di tipo monologico, e ha la funzione di fissare le coordinate temporali e spaziali nelle quali si svilupperà la tragedia esponendone l'antefatto; in Eschilo e Sofocle invece il prologo ci introduce in medias res, in quanto coincide di solito con l'inizio dell'azione drammatica. Spesso Sofocle usava il prologo con valenza etopoietica, cioè per delineare le caratteristiche del protagonista. Πάροδος: è il primo canto, in versi lirici, che il coro esegue nel corso della tragedia, quando entra in scena attraverso dei corridoi laterali, chiamati πάροδοι. In tutte le tragedie di Eschilo e in buona parte di quelle di Sofocle è un canto che ha forma compiuta, e il rapporto dialogico tra corifeo e attori ha inizio nel primo episodio, dopo, cioè, la conclusione del canto; nelle ultime opere di Sofocle e in quelle di Euripide il coro instaura un dialogo con un personaggio sin dal primo intervento: l'estremizzazione di questo tipo di parodo si ha nella variante detta commatica, nella quale il coro dialoga con l'attore che risponde in versi lirici, instaurando un vero e proprio dialogo lirico (κομμός).

Ἐπεισόδιον: contengono le parti dialogate tra gli attori. Nel dialogo interviene anche il coro, di solito con brevi battute di commento affidate al corifeo. La recitazione vera e propria era in trimetri giambici, ma esisteva anche una forma di recitazione accompagnata dal suono del flauto detta παρακαταλογή (cfr il giambo). Il dialogo tragico si sviluppa attraverso alcune forme tipiche: la rhèsis, la sticomitia e la monodìa. Ῥῆσις: monologo di un personaggio. Di solito è tipica del messaggero, che entra per narrare eventi svolti fuori di scena, ma può trovarsi anche all'interno di parti dialogate, quando due personaggi si contrappongono in un agone dialettico. Talora è costituita da una narrazione di fatti di sangue, che non possono essere rappresentati sulla scena. Στιχομυϑία: battuta di un verso solo, quando il dialogo si fa più concitato. Ἀντιλαβή: divisione di un verso fra due personaggi. Μονῳδία: si ha quando un attore canta in metri lirici anziché recitare. Talvolta avviene un duetto tra il coro e l'attore (κομμός) oppure tra due attori (ἀμοιβαῖος).

Στάσιμοι, intermezzi destinati ai canti di tutto il coro, dove questo riflette sulla situazione che si sta sviluppando sulla scena, veicolando l interpretazione dal parte del pubblico. Il nome, legato alla radice στα- di ἵστημι è riferito alla collocazione già avvenuta del coro all interno dell orchestra, anche se doveva prevedere movimenti contrapposti nelle coppie strofiche (dette συζύγιαι) articolate ciascuna di una strofe e un'antistrofe, di corrispondenza perfetta per quanto riguarda la struttura metrica e il numero di versi. Nel corso del tempo la funzione del coro divenne sempre meno importante, tanto che in alcuni stasimi di Euripide si ha la sensazione che siano dei virtuosismi poetici senza reali collegamenti con la trama. Ἔξοδος: è la parte conclusiva della tragedia, che finisce con l'uscita di scena del coro. Spesso, soprattutto in Euripide, nell'esodo si fa uso del deus ex machina (ἀπὸ μηχανῆς θεός) ovvero un personaggio divino che viene calato sulla scena mediante una gru (per risolvere la situazione quando l'azione è tale che i personaggi non hanno più vie d'uscita).

Metro Le tragedie tendono ad usare regolarmente nelle parti recitative il trimetro giambico o, più raramente il tetrametro trocaico, presente soprattutto nei Persiani di Eschilo e nell Ifigenia in Auluide e nell Oreste di Euripide Mentre le parti cantate e i cori sono in strofe di versi lirici (generalmente articolati in strofe ed antistrofe ed epodo)

Lingua Le parti recitate delle tragedie sono in dialetto attico, mentre nelle parti corali domina un impasto di dialetto dorico, in omaggio alla tradizione corale del Peloponneso.

Il corpus tragico superstite Eschilo: 7 tragedie, fra cui l unica trilogia superstite (Orestea) e l unica tragedia pervenuta dedicata ad un evento di storia recente (I Persiani) Sofocle: 7 tragedie Euripide 18 tragedie (ma il Reso è spurio) e un dramma satiresco (Il Ciclope), l unico integralmente pervenuto Restano inoltre frammenti papiracei anche ampi e citazioni indirette di altre tragedie o drammi satireschi