LA SPECIFICITÀ' DEL LESSICO EPIGRAFICO E IL PESO DEL RITUALE NELLA RELIGIONE GRECA. Paola Lombardi



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LA SPECIFICITÀ' DEL LESSICO EPIGRAFICO E IL PESO DEL RITUALE NELLA RELIGIONE GRECA Paola Lombardi E' ormai elemento acquisito presso coloro che da diversi punti di vista indagano sulla 'religiosità' dei Greci 1, il superamento dell'impostazione che, enfatizzando i caratteri concettuali, portò alla formulazione di un'idea di 'fede' dei Greci 2. E' stato merito della scuola anglosassone rivedere tale impostazione (penso ai vari studi di J. Harrison), seppure con un eccessivo taglio antropologico, come è stato recentemente messo in luce 3. Di fatto, per chi esamina da vicino la documentazione relativa alle espressioni tangibili della religione greca (documentazione archeologica, fonti letterarie, ma soprattutto fonti epigrafiche) risultano evidenti due percorsi per così dire paralleli e distinti: da un lato la religione che permea di sé la vita della polis, con la sua molteplicità di divinità, con le sue certezze, pur in assenza di una impostazione dogmatica astratta e di principi di fede, che non conosce un 'clero' iniziato e istruito per divulgare tali principi, per fare proseliti, per così dire, e dall'altro lato una religiosità che esprime inquietudini e non certezze, che ha i suoi ministri iniziati, che segue dogmi, che cerca comunque in un'entità superiore aiuto e risposte alternative ai suoi problemi. La prima è la religione della polis, che non significa semplicemente pubblica, ma significa invece la religione basata sui θεσμοί patrii, che venera un Pantheon da tutti accettato, che crea coesione tra i membri della comunità, che è religione della polis anche quando il rituale viene proseguito, per così dire dal polites nelvoikos; così un'epigrafe di Cos, del II sec. a. Cr. 4, relativa ad onori per la coppia reale di Cappadocia Ariarathe IV e Antiochìs, menziona espressamente (1. 23 ss) i sacrifici e i voti che hoi polìtai devono compiere en tois idìois oikois, a completamento della damòsia thysìa [TI]. L'altra è la religiosità in cui, da un lato, largo spazio ha la speculazione filosofica, con la sua rivisitazione delle divinità tradizionali, e dall'altro si seguono i percorsi e i metodi Cf. in proposito le osservazioni recenti di F. GRAF, "Gli dèi greci e i loro santuari", in S. SETTO (ed.), / Greci 2*, Torino 1996, pp. 342 ss. U. VON WILAMOVITZ-MÓLLENDORF, Der Glaube der Hellenen. Berlin 1931-32. W.M. CALDER (ed.), The Cambridge Ritualists Reconsidered, Proc. First Oldfather Confer., (Urbana), Atlanta 1991. M. SEGRE (ed. G. Pugliese Carratelli), PP 27, 1972, pp. 182 ss. [ora ID. (redaz. a cura di D. Peppas Delmousou e M.A. Rizzo), Iscrizioni di Cos, Roma 1993, p. 14 s., ED 5], con le integrazioni successive di F. PIEJKO, PP 38, 1983, pp. 200-207, di cui si vedano le osservazioni relative al formulario. Non condivido invece le scelte di Piejko nel declinare il nome del re Ariarathe nella forma dorica della I declinazione. Proprio in ambito dorico infatti, a Rodi, il nome presenta la stessa forma ipotizzala da Segre cioè come un nome della IH: cf. VASSA KONTOR1NI, Inscriptions inédites relatives à l'histoire et aux cultes de Rhodes au lìème e( au jer s av j Q Rhode Island 1983, p. 19 s. "Epigrafia e storia delle religioni" (= SEL 20, 2003), pp. 33-38

34 Ρ. Lombardi propri della magia. Dell'una e dell'altra ci sono state offerte testimonianze interessanti e sono stati presi in considerazione tanti aspetti nel corso di questo incontro. Per Γ una e per l'altra, come si è visto, la documentazione epigrafica chiarisce molti aspetti ed è per noi fonte di informazioni dirette ma, soprattutto, indirette. Tra le prime penso, per esempio, al problema del rapporto devoto/divinità (rispetto, timore, aspettative, gratitudine); alla tipizzazione e categoria funzionale attribuita al dio (desumibile dagli epiteti ο dalla categoria dei dedicanti ο ancora dalla tipologia delle vittime riservate per i sacrifici); ο ancora al sostrato mitico del culto (deducibile attraverso, per esempio, l'accostamento tra divinità). Ancora tantissime informazioni dirette si potrebbero qui menzionare facendo ricorso alle iscrizioni greche riguardanti l'ambito 'sacro' in senso lato. Ma io vorrei piuttosto soffermarmi su un altro aspetto riguardo al quale il peso della fonte epigrafica è a mio avviso determinante, seppure per così dire, indiretto. Mi riferisco alle indicazioni che i documenti epigrafici contengono, in forma più esplicita a partire dal IV sec. a. Cr., ma deducibili anche per le età precedenti con il sostegno delle fonti letterarie ed archeologiche, circa il senso e le aspettative della collettività nei confronti della religione dei padri e i modi in cui la polis agiva per vedere realizzate tali aspettative. La maestosa rappresentazione dei momenti fondamentali dello svolgimento delle Panatenèe, nel fregio del Partenone, che le fonti letterarie ed epigrafiche ci aiutano a comprendere 5 ο i 26 paragrafi che costituiscono la Legge dei misteri di Andania, redatta agli inizi del I sec. a. Cr. in questa piccola località della Messenia, che intende regolamentare in modo ossessivo, fin nel più piccolo dettaglio, lo svolgimento dei Misteri di Demetra, della Magna Thea e dei Theoi Megalofi, sono per noi indicativi di una cosa: l'attenzione esasperata al rispetto del rituale, nella convinzione che soltanto per mezzo di esso fosse possibile condizionare gli eventi, e che la 'manifestazione tangibile del fatto religioso', che si trattasse delle procedure per un sacrificio ο del posto che ciascun partecipante alla festa doveva tenere durante la pompe ο ancora della scelta della vittima, costituisse l'elemento sostanziale della religione, e non formale 7. E per la chiarificazione di tale principio, che costituisce a mio avviso un codice importante per la comprensione della religione della polis, è fondamentale l'apporto del linguaggio del 'sacro' che le epigrafi contengono, un linguaggio in cui la parola mantiene un valore semantico per così dire 'netto', perfettamente aderente alla sua struttura e, soprattutto, profondamente concreto. Vorrei soffermarmi qui su due casi che sono per me esemplari: 1) La complessità del rituale della richiesta di auspici per la polis, da parte del personale addetto. Accanto ai classici studi sulle feste attiche (L. DEUBNER, Attische Feste, Berlin 1932), si veda ora, per una esauriente raccolta di fonti e bibliografia sulle Panatenèe, con particolare attenzione ai riferimenti contenuti nei Rendiconti dei Tesorieri di Atena, D. HARRIS, The Treasures of the Parthenon and Erechtheion, Oxford 1995, p. 8 ss., e Appendix VII per le fonti classiche. F. SOKOLOWSKY, Lois sacrées des cités grecques, Paris 1969, n. 65. Ha ripetutamente messo in luce questo aspetto S.R.F. PRICE, nei suoi studi sulla religiosità greca in rapporto alla realtà imperiale romana, in particolare in Rituals and Power. The Roman Imperiai Cult in Asia Minor, Cambridge 1984.

La specificità del lessico epigrafico... 35 2) Il valore reale e il senso concreto del verbo μετέχειν nel lessico sacro. Riguardo al primo punto: non è sufficiente che lo hiereus ο chi per lui, ottenga buoni auspici durante la cerimonia apposita: perché tà agathà si realizzino, sono necessari due riti: άπαγγέλλειν "annunciare" (da parte del celebrante) e δέχεσθαι "accogliere" (da parte della polis): così in un decreto ateniese del 330 a. Cr. circa 8, si dice:... riguardo alle cose che annunciano il sacerdote di Dioniso e gli hieropoioi, eletti dalla Buie per sacrificare a Dioniso e agli altri dèi ai quali era opportuno sacrificare per la Buie e il Demos, alla Buona Fortuna, è stato votato dalla Buie che i proedroi, che saranno estratti durante la prima riunione, prosagagèin (introducano/accompagnino) davanti all'assemblea il sacerdote e gli hieropoioi... e che il Demos dèchesthai (accolga) ta agathà che il sacerdote e gli hieropoioi annunciano essere avvenuti nei sacrifìci [T 2]. Quanto al secondo punto, bastano un paio di esempi per comprendere quale fosse il peso reale dato al concetto di 'partecipazione' ai rituali sacri. Infatti, per chi il sacerdote e i magistrati specifici formulano le euchài "i voti augurali"? Non per chiunque si trovi ad essere nella polis, ma solamente per il demos ο per coloro (città ο re ο individuo privato) ai quali un decreto specifico ha concesso di metechein ("avere partecipazione") ai culti, ai sacrifici cui i cittadini partecipano. Ed è necessario che i nomi di coloro per i quali sono fatti i voti, siano espressamente pronunciati in un momento ben determinato e all'interno di un rituale prestabilito. Così recita infatti il decreto di Cos summenzionato (T 1, 1. 4 ss.): i sacerdoti, avendo aperto i santuari brucino incenso... e i prostatai facciano la processione partendo dal pritaneo...e tutte le magistrature insieme facciano i sacrifìci... e (1. 18) dopo la thysia, pronuncino i voti (epeuchèsthon),... affinché si realizzi tutto il bene per il demos di Cos, per il re Ariarathe e per la regina Antiochìs. Molti altri documenti insistono sulla necessità di pronunciare i voti in un momento preciso, mentre si incensano gli altari... τους vvv ίερεΐς καΐ τας ίερείας ανοίξει ν του? ναούς και λιβανωτον έπιθυμιάν έπευχομένους 9. E per qualcuno che non sia cittadino, essere partecipe delle cerimonie sacre, metechein tòn thysion, non significa semplicemente assistere ad esse insieme ai cittadini. I theoroi dei Magneti, quando si recavano ad Antiochia di Pisidia 10, legata alla loro patria da patti speciali, venivano fatti avvicinare all'altare ove ardeva il fuoco comune, affinchè (όπως 11 ) πρώτοι μετάσχωσι των θυσιών [Τ 3, 1.15 ss]. IG ΙΙ/ΙΠ\ 410. Si veda, per altre attestazioni, l'indice di IG li 2, s.v. δίχεσθαι. Così si legge in un decreto degli ultimi anni del III sec. a.c. emanato da una città ignota che dichiara il suo riconoscimento delle feste Leukophryene istituite da Magnesia sul Meandro: O. KERN, Die lnschriften von Magnesia am Maeander, Berlin 1900, n. 73, 11. 14-15. ID., ibidem, n. 80. E' di Kern la proposta di identificazione della Antiochia citata nel testo, come quella in Pisidia. E' importante l'uso di questa preposizione nei testi, perché rende esplicito che c'è una finalità precisa in ciò che si compie.

36 Ρ. Lombardi Ma si può metechein - essere partecipe - anche dell'essenza, dei poteri, di un dio 12 ; ma anche questo ha bisogno del suo rituale concreto. Plutarco, per esempio, ricorda che, nell'intento di attribuire ad Antigono e Demetrio le prerogative della loro divinità poliade, gli Ateniesi decretarono di ricamare l'immagine dei due sul peplo di Atena 13 : έυφαίι^σθαι 8è τω πέπλω μετά των Οζών αυτούς έψηφίσαντο [Τ 4]. Nella lunga iscrizione di Teos 14, contenente, tra l'altro, un decreto, datato tra il 204/3 e il 197/6, relativo agli onori votati dalla città, liberata dal re Antioco III, per il re stesso e la moglie/sorella Laodice si dice:... collocare, accanto alla statua di Dioniso, statue di marmo del re e della regina, cosicché... ricevano gli onori ed avendo in comune con Dioniso il tempio e le cerimonie sacre, continuino ad essere salvatori comuni della nostra città e, insieme, concedano a noi tutti i beni [T 5]. Così, infine, divinizzando l'imperatrice Giulia Domna, gli Ateniesi, oltre i sacrifici nel giorno genetliaco, decretano di compiere anche per lei gli eisiteria, come per Atena Poliàs: condizione preliminare è che...lo stratego prepari la statua dell'imperatrice e l'arconte h collochi sotto lo stesso tetto di Atena Poliàs affinchè ella divenga effettivamente synthronos della dea ' 5 [T 6]. Insomma, anche e, forse, soprattutto nella religione, una società come quella greca che tanto concedeva alla visibilità, trova nella precisione del rituale, la salvaguardia di tale visibilità. E l'insistenza nel fornire indicazioni per un agire corretto, che noi troviamo proprio nel lessico epigrafico, ne è la prova. 12 13 14 15 Ed è proprio questo il mezzo di cui si servono i Greci ogniqualvolta si trovano nella situazione di tributare onori divini a personaggi umani, i re ellenistici prima e gli imperatori romani poi. PLUTARCHUS, Vita Demetrii (R. FLACELIÈRE - E. CHAMBRY [edd.], Paris 1977) 10, 4-5. Ed. pr. P. HERMANN, Anadolu 9, 1965, pp. 29-160. Ora, Idem, apud Suppl. Epigraph. Graec, 41, 1991, n. 1003, I. A/B, 11.4 ss. IG II/III 2, 1076, datata tra il 196 e il 217 d.c. 11. 17 ss.

La specificità del lessico epigrafico... 37 TESTI Τ 1 (nt. 4) (1.3) τος μεν]/[ίαρε]ΐς έ[πιθυμιάν τον λιβανωτόν άνοίξαντας τα ίαρά]... (1.11) [μετά δε τάν]/ συναρχιάν θυσάντω TÒL τε [Κώι και τάι Ίστίαι τάι Βου]/[λ]αία[ι] και τώι Δι\ τώι Μεγίστωμ και τώι Άσκλαπιώι καΐ] Όμονοία[ι κα]ι Δα [Βο]υλαίωι και [Εύδαιμοΐ'ίαι και Πλ]/[ο]ύτωι κ[αι θεοΐς π]άσι και πάσα[ις υπέρ τε τάς ύγιειας]/και σωτ[ηρίας] του τε δάμου κ[άι β]ασ[ιλέιος Άριαράθους και]/ τάς ύγι[ ΐας τ]άς βασίλισσας Άντιοχίδ[ος και τών τέκνων] αυτών επί δε ταΐς θυσίαις έπευχέσθ[ων πάντα τα αγαθά γί]/[ν]εσθαι τώι τε δάμωι τώι Κώιων και βασ[ιλεΐ'αριαράθει και]/ [β]ασιλίσσαι Άντιοχίδι και τόίς τ[έκνοις αυτών και τοις]/ φίλοις κα\ τάίς δυνάμεις... (1.23) [προς δε]/ [τάι δαμοσί]αι θυσίαι καί [κατευχάι Ούειν και έορτά]/[ ειν και τός πο]λίτας [έν τόίς ιδίοις οικοις έκαστος?] Τ 2 (nt. 8) [ Πολύευ]κτος Κ[υδαντίδ]ης είπεν περί ων άπανγγέλλουσι ό ίερεύ]ς του Διο[νύσ]ο[υ/... και οι Ίεροποι]οί οι αίρε[θ]έντε[ς]/ [ύπό τής βουλής ύπερ τών ιερών ων έ]θυον τώι Διονύσωι και/ τοΐς άλλοις θεοί ς ο'ις προ]σήκε θύειν ύπερ τής βουλής κα/[ι " τοΰ δήμου του Άθηναί]ων άγαθήι τύχηι - έψεφίσθαι τήι βο/[υλήι τους προέδρο]ς οι αν λάχω[σι] προέδρευε ι ν έν τώι δήμ/[ια εις την] πρ[ώ]την έκκλεσίαν προσαγάγει ν τον ιερέα κα[ι/ τ]ούς ίεροποιούς προς τον δήμον κα\ χρηματίσαι περί ών λέγουσιν, γνώμην δε ξυμβάλλεσθαι της βουλής εις τον δή/[μ]ον δτι δοκεΐ τήι βουλήι, τα μεν αγαθά δέχεσθαι τον δήμο/[ν], ά άπαγγέλλουσι ό Ιερεύς καί οι ΊεροποιοΙ γεγονέναι έν τοις ίεροΐς οίς έθυον τώι Διονυ[σ]ωι και τοις άλλοις θεοΐς έφ'ύγιείαι και σωτερίαι της βουλής και του δήμου του 'Αθηναίων καί παίδων και γυναικών και τών άλλων κτημάτ/ών 'Αθηναίων. Τ 3 (nt. 10)... εις το[ν σε ι [χρό]νον καί άράσθ[ά]ι κοιν[ή]ι πάντα τα άγαθ[ά] Ά[ντιοχεΰ]σιν τε και Μάγνη/σιν, άφ[ιέ]ναι δε [κ]αί [τ]ούς [π]αΐδα[ς κ]α[ι] τ(ά)ς παΐδας έκ τώ[ν] μ[α]θ[ημάτων έ]ν τήιδε τήι/ ήμέ[ρ]αι, ποιεΐν δε [το] [αυτό] τούτ[ο ε]ίς τ[ο λοι]πον, δτα[ν ]παρά Μαγνητ(ω]ν/ τ[ό]ν θεωρό[ν] τον α[ύτών] τους [δε] στρα[τηγ]ούς και βουλ[ευτάς μετά] τε τών γρα(μ)μα/τέων [κ]αι τοΰ έξε[τα]στ[οΰ] κατά μή[να] θύσασ[θ]αι τοίς θε[σ]μ[οφό]ροις και Άρτέμιδι Σωτείραι και Άρτέμ[ιδι Λε]υκ[οφ]ρ[υην]ήι. καλέ[σ]αι δε [κάί εις την κοι]ν[ήν] έστίαν τους/ π[αρ]ά Μαγν[ήτ]ων [θεωρο]ύ[ς], δπ[ως π]ρώτ[οι] μετάσ[χιυσι τών θυσιών] τούτων... Τ 4 (nt. 13)... μόνοι δε σωτήρας ανέγραψαν θεούς, και τον έπο3νυμον καί πάτριοι- άρχοντα καταπαύσαντες, Ιερέα σωτήρων έχειροτόνουν καθ'έκαστον è vi αυτόν, και τούτον έπι τών ψηφισμάτων καί τών συμβολαίων προέγραφον. ένυφαίνεσθαι δέ τω πέπλω μετά τών θεών αυτούς έψηφίσαντο. Τ 5 (nt. 14)... π[α]ραστήσαι/ τώι άγάλματ[ι] του Διονύσου αγάλματα μαρμάρινα ώς κάλλιστ[α και Ίε/]ροπρεπέστατ[α] τού τε βασιλέως Άντιόχου και τής αδελφής αύ[τ]ού [βα]/σιλίσσης Λαο[δί]κης δπως... (1. 50) τ[άς] τιμάς κομίζωνται κατά το δ[υνατόν] K[aji ναού και τών άλλων με[τέχ]οντες τώι

38 Ρ. Lombardi Διονυσωι κοιν[οί σωτηρβ]? ύπάρχωσι της/ [πό]λ [ως ή]μών και κοινή διδώσιν ή[μΐν τάγ]αθά - Τ 6 (nt. 15)... ποιη7[σαι δέ ώ? τάχιστα τον έπι του? όπ]λείτας στρατ[ηγον ά]/γαλμα της 'Ιουλίας Σεβαστής, τον δέ άρχοντα τη [Πολι/άδι συνιδρΰσαι υπό τω αύτω όρο]φωι, 'ίνα σύνθρον[ος η]/τη 0 ω.