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Tutti i Santi 1 novembre Ap 7,2-4.9-14; Sal 23; 1Gv 3,1-3; Mt 5,1-12a La prima lettura (Ap 7,2-4.9-14) ci descrive la sorte di coloro che sono stati segnati con il sigillo del Dio vivente. Nell'ampia letteratura apocalittica - comprendente una trentina di opere - il libro dell'apocalisse acquista rilievo anzitutto per il titolo che ha dato il nome al genere letterario. La parola «apocalittica» è nata all'inizio dell'ottocento per indicare alcuni scritti, risalenti tra il III sec. a.c. e il I sec. d.c., che risultavano simili all'apocalisse di Giovanni. Essa è pertanto una trascrizione del sostantivo greco apokálypsis (Ap 1,1), derivata dal verbo apokalýpto, dove la preposizione apo- esprime l'idea di rimozione, allontanamento e kalýpto quella di coprire, nascondere, conferendo al vocabolo il senso di rivelare, manifestare. Andrea di Bonaiuto, Santi in paradiso, 1365 (S.M. Novella, Firenze) Ap 7,2: E vidi salire dall oriente un altro angelo, con il sigillo del Dio vivente. E gridò a gran voce ai quattro angeli, ai quali era stato concesso di devastare la terra e il mare: (καὶ εἶδον ἄλλον ἄγγελον ἀναβαίνοντα ἀπὸ ἀνατολῆς ἡλίου ἔχοντα σφραγῖδα θεοῦ ζῶντος, καὶ ἔκραξεν φωνῇ μεγάλῃ τοῖς τέσσαρσιν ἀγγέλοις οἷς ἐδόθη αὐτοῖς ἀδικῆσαι τὴν γῆν καὶ τὴν θάλασσαν) 7,3: «Non devastate la terra né il mare né le piante, finché non avremo impresso il sigillo sulla fronte dei servi del nostro Dio» (λέγων, μὴ ἀδικήσητε τὴν γῆν μήτε τὴν θάλασσαν μήτε τὰ δένδρα, ἄχρι σφραγίσωμεν τοὺς δούλους τοῦ θεοῦ ἡμῶν ἐπὶ τῶν μετώπων αὐτῶν). 7,4: E udii il numero di coloro che furono segnati con il sigillo: centoquarantaquattro-mila segnati, provenienti da ogni tribù dei figli d Israele (καὶ ἤκουσα τὸν ἀριθμὸν τῶν ἐσφραγισμένων, ἑκατὸν τεσσεράκοντα τέσσαρες χιλιάδες, ἐσφραγισμένοι ἐκ πάσης φυλῆς υἱῶν Ἰσραήλ). 7,9: Dopo queste cose vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro mani (Μετὰ ταῦτα εἶδον, καὶ ἰδοὺ ὄχλος πολύς, ὃν ἀριθμῆσαι αὐτὸν οὐδεὶς ἐδύνατο ἐκ παντὸς ἔθνους καὶ φυλῶν καὶ λαῶν καὶ γλωσσῶν ἑστῶτες ἐνώπιον τοῦ θρόνου καὶ ἐνώπιον τοῦ ἀρνίου περιβεβλημένους στολὰς λευκάς καὶ φοίνικες ἐν ταῖς χερσὶν αὐτῶν). 7,10: E gridavano a gran voce: «La salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono, e all Agnello» (καὶ κράζουσιν φωνῇ μεγάλῃ λέγοντες, ἡ σωτηρία τῷ θεῷ ἡμῶν τῷ καθημένῳ ἐπὶ τῷ θρόνῳ καὶ τῷ ἀρνίῳ). 1

7,11: E tutti gli angeli stavano attorno al trono e agli anziani e ai quattro esseri viventi, e si inchinarono con la faccia a terra davanti al trono e adorarono Dio dicendo: (Καὶ πάντες οἱ ἄγγελοι εἱστήκεισαν κύκλῳ τοῦ θρόνου καὶ τῶν πρεσβυτέρων καὶ τῶν τεσσάρων ζῴων καὶ ἔπεσαν ἐνώπιον τοῦ θρόνου ἐπὶ τὰ πρόσωπα αὐτῶν καὶ προσεκύνησαν τῷ θεῷ) 7,12: «Amen! Lode, gloria, sapienza, azione di grazie, onore, potenza e forza al nostro Dio nei secoli dei secoli. Amen» (λέγοντες, ἀμήν, ἡ εὐλογία καὶ ἡ δόξα καὶ ἡ σοφία καὶ ἡ εὐχαριστία καὶ ἡ τιμὴ καὶ ἡ δύναμις καὶ ἡ ἰσχὺς τῷ θεῷ ἡμῶν εἰς τοὺς αἰῶνας τῶν αἰώνων ἀμήν). 7,13: Uno degli anziani allora si rivolse a me e disse: «Questi, che sono vestiti di bianco, chi sono e da dove vengono?» (Καὶ ἀπεκρίθη εἷς ἐκ τῶν πρεσβυτέρων λέγων μοι, οὗτοι οἱ περιβεβλημένοι τὰς στολὰς τὰς λευκὰς τίνες εἰσὶν καὶ πόθεν ἦλθον;). 7,14: Gli risposi: «Signore mio, tu lo sai». E lui: «Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell Agnello (καὶ εἴρηκα αὐτῷ, κύριέ μου, σὺ οἶδας. καὶ εἶπέν μοι, οὗτοί εἰσιν οἱ ἐρχόμενοι ἐκ τῆς θλίψεως τῆς μεγάλης καὶ ἔπλυναν τὰς στολὰς αὐτῶν καὶ ἐλεύκαναν αὐτὰς ἐν τῷ αἵματι τοῦ ἀρνίου). Il nostro brano si trova nella sezione dei sette sigilli (cc. 6-7) che tengono chiuso il rotolo dell'antico Testamento. L'apertura dei primi quattro sigilli da parte dell'agnello è associata a una catastrofe che rappresenta lo svelamento della storia e l'annuncio della venuta del Regno di Dio. Lo scioglimento del sesto sigillo (6,12) è accompagnato da un violento terremoto che provoca un cataclisma cosmico. Come era accaduto ad Adamo ed Eva nel giardino (Gen 3,8), tutti gli uomini si nascondono nelle caverne per sottrarsi all'ira di Dio e dell'agnello. Dopo questo Giovanni vede quattro angeli che stavano ai quattro angoli della terra per trattenere i quattro venti che dovevano soffiare sulla terra, sul mare e sulle piante (Ap 7,1). Pur essendo giunto il grande giorno della loro ira (6,17), ora è accordata una dilazione del giudizio e Giovanni vede salire dall oriente un altro angelo, con il sigillo del Dio vivente (7,2). Quest'angelo è annunciatore di grazia e salvezza: viene infatti dall'oriente, dove nasce il sole e da dove si attende la venuta della salvezza. Il giardino di Eden era posto a oriente (Gen 2,8), il liberatore Ciro (638 a.c.) veniva dall'oriente (Is 41,2), dopo l'esilio la gloria di Dio ritorna nel Tempio per la porta che guarda a est (Ez 43,1-2) e l'apocalittica conosce la tradizione della venuta escatologica del Messia da oriente (Oracoli sibillini 3,652). L'angelo intervenuto per ultimo grida ai quattro angeli che hanno il potere di devastare: Non devastate la terra né il mare né le piante, finché non avremo impresso il sigillo sulla fronte dei servi del nostro Dio (7,3). Il sesto sigillo pertanto prevede il riconoscimento dei malvagi (6,15-16), ma anche il riconoscimento dei giusti. Nella notte dell'uscita dall'egitto, era stato necessario il sigillo del sangue sugli architravi delle porte (Es 12,22-23), ora subentra la liturgia in cui sulla fronte viene impresso il sigillo del Dio vivente il cui nome è Cristo. Già in Ez 9,4 il Signore ordina di segnare un tau sulla fronte degli uomini che sospirano e piangono per tutti gli abomini che si compiono per essere preservati dallo sterminio (Ez 9,6). Le vittime portano tutte un segno e, secondo la forma arcaica dei caratteri ebraici, questo segno, che è l'ultima lettera dell'alfabeto ebraico, ha la forma di croce. I giusti sono segnati come appartenenti al Signore per sfuggire al castigo. Coloro che vengono segnati sono centoquarantaquattromila - il quadrato di dodici moltiplicato per mille - e provengono da tutto Israele (7,4). In questa visione, che abbraccia tutti i confini della terra, Israele resta il primo nella salvezza, il primo a ricevere il sigillo di Dio. Segue l'elenco dei segnati di ogni tribù (7,5-8). Due particolarità emergono da questa lista: al primo posto è citato Giuda benché non fosse il primogenito di Giacobbe. Da questa tribù, infatti, nascerà il leone della tribù di Giuda, cioè Cristo (Ap 5,5). La seconda consiste nella sostituzione della tribù di Dan con quella di Manasse, figlio di Giuseppe. La tribù di Dan è sostituita e scompare da questo elenco perché aveva tradito diventando idolatra (Gdc 18; 1Re 12.28-30). Secondo il Midrash Genesi Rabbah 43 a Gen 14,14 «Dan significa idolatria». Nei Testamenti dei Dodici Patriarchi è riferita l'apostasia di Dan, il suo abbandono del Signore e la sua opposizione alla tribù di Giuda: Satana infatti è il principe di questa tribù (Test. Dan 5,4-6); Ippolito dirà che «come dalla tribù di Giuda è 2

nato il Cristo, così dalla tribù di Dan nascerà l'anticristo» (L'Anticristo 14) È impossibile che il tradimento partecipi dell'elezione: colui che tradisce viene tolto dal numero dei sigillati. Dopo gli eletti di Israele, Giovanni vede una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua (7,9). La promessa fatta ad Abramo: In te saranno benedette tutte le nazioni della terra (Gen 12,3) si è realizzata. I segnati portano vesti bianche perché partecipano alla vittoria pasquale dell'agnello, e portano una palma in mano, simbolo della vittoria. Il richiamo alla festa di Sukkot, la festa delle Capanne, è evidente. La festa di Sukkot dura 7 giorni in Israele, otto nella diaspora. Questa festa, che acquistò nell'a.t. portata universale ed escatologica (Zc 14,16), nell'interpretazione della tradizione rabbinica conobbe l'accostamento delle tende alla Tenda della Presenza, della Shekinah di Dio: stare sotto la tenda significava entrare in comunione con Dio, vivere della sua presenza come nel santuario. E in Ap 7,15 si afferma: Colui che siede sul trono stenderà la sua tenda sopra di loro, esprimendo così la meta ultima dell'umanità. Precaria e fragile come l esistenza giudaica, la sukkah (capanna) è la casa divina, patria dell errare, la dimora santa del vento. Ma il vento (in ebraico ruach) è anche lo spirito. Così il soffio dall alto, la luce e la notte la abitano ugualmente. Essa non verrà chiusa da un vero tetto: questo dev essere fatto di rami di salice o di palma intrecciati liberamente, attraverso i quali filtra la luce delle stelle. Questa è la regola millenaria emanata dai saggi. Nella sukkah si comunica, senza mai restarvi sprofondati, con il flusso effimero che porta con sé il mondo intero. È vietato chiuderla perché l ospite possa andarsene e venire a modo suo, e perché l altro, lo straniero, non sia escluso dalla festa. La sukkah non è né proprietà privata né domicilio fisso. Chiunque può andare a rifugiarsi in essa, come fanno il vento e la luce del cielo sempre visibile attraverso le fessure dei rami. Vengono appesi ad essa dei frutti autunnali, melagrane, datteri, uva e gli uccelli vengono a beccarli. È la festa per eccellenza in cui si fondono l amore di Dio per gli uomini, quello degli uomini verso Dio, l amore degli uomini fra loro espresso nella comune umiltà dell abitare in capanne, nella comunione del sacrificio per tutte le nazioni della terra, fedeli e non fedeli del Dio unico; nella fusione di questi tre amori ci si avvicina alla redenzione nell abbraccio finale con i rotoli della Toràh, la parola di Dio che guida nel cammino del tempo della vita. I simboli di questa festa sono di nuovo molti e ne abbracciano i vari aspetti. La capanna che il contadino prepara nel campo della vendemmia è la stessa che protegge Israele nel deserto e che, con la precarietà delle sue frasche, è simbolo della transitorietà dell uomo. Il mazzo festivo composto di foglie di cedro (etrog), mirto (hadassah), palma (lulav), salice ( aravah), con il suo rituale scuotimento (na'anuim) verso i quattro punti cardinali ripetuto nei vari giorni della festa, riporta alle usanze di un popolo agricolo trasferite con significato mistico al rapporto dell uomo con Dio. L ottavo giorno della festa, shemini azeret, è dedicato alla preghiera per la pioggia. Segue Simchat Torah: festa della gioia della Torah. La Torah gode di essere stata data a Israele e Israele esulta per aver ricevuto la Torah, che è per lui come una siepe che lo difende. Si portano in processione i rotoli avvolti in un manto con sopra una corona. Tutti danzano per strada. Si legge la meghilla di Qoelet, l ultima sezione di Devarim e si ricomincia con le prime pagine di Bereschit. La festa più gioiosa nell Israele preesilico non era la Pasqua, ma la grande festa autunnale al tempio, la festa delle Capanne, che aveva luogo nel mese di tishri (settembre-ottobre). Giovanni vede una moltitudine immensa impegnata nella celebrazione di una liturgia. Il loro canto celebra la salvezza che appartiene a Dio e all'agnello (Ap 7,10) ed è un canto cosmico che coinvolge gli angeli, i ventiquattro anziani, i quattro esseri viventi e tutta la creazione. La lode a Dio è celebrata con sette espressioni: «Amen! Lode, gloria, sapienza, azione di grazie, onore, potenza e forza al nostro Dio nei secoli dei secoli. Amen» (7,12). Quindi uno dei ventiquattro anziani si rivolge a Giovanni e gli chiede: «Questi, che sono vestiti di bianco, chi sono e da dove vengono?» (7,13). Sarà lo stesso anziano a risolvere l'enigma: «Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell Agnello (7,14b). In questo paradosso carico di significato c'è un'eco di vari passi dell'a.t. Anzitutto Gen 49,11, la profezia del Messia che lava la sua veste nel sangue dell'uva; Es 19,10.14 che riguardano la purificazione delle vesti degli israeliti prima dell'apparizione della gloria del Signore e la consegna della Legge; Is 63,1-3. Quando il Signore verrà, dopo aver lavato e purificato Gerusalemme, la sua gloria sarà come tenda (sukkah) per offrire ombra e riparo. 3

La seconda lettura (1Gv 3,1-3) offre ai cristiani dei criteri di discernimento per verificare l'autenticità della fede in Gesù. Come Cristo ha lottato e ha vinto l'anticristo nella sua Ora, così i credenti devono respingere il male diventando degli amanti del Signore della vita. 1Gv 3,1: Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui (ἴδετε. ποταπὴν ἀγάπην δέδωκεν ἡμῖν ὁ πατὴρ, ἵνα τέκνα θεοῦ κληθῶμεν καὶ ἐσμέν. διὰ τοῦτο ὁ κόσμος οὐ γινώσκει ἠμᾶς, ὅτι οὐκ ἔγνω αὐτόν). 3,2: Carissimi, noi fin d ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è (ἀγαπητοί, νῦν τέκνα θεοῦ ἐσμεν, καὶ οὔπω ἐφανερώθη τί ἐσόμεθα. οἴδαμεν ὅτι ἐὰν φανερωθῇ, ὅμοιοι αὐτῷ ἐσόμεθα, ὅτι ὀψόμεθα αὐτὸν καθώς ἐστιν). 3,3: Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro (καὶ πᾶς ὁ ἔχων τὴν ἐλπίδα ταύτην ἐπ' αὐτῷ ἁγνίζει ἑαυτὸν, καθὼς ἐκεῖνος ἁγνός ἐστιν). Il vangelo (Mt 5,1-12a) ci ripropone il discorso programmatico di Gesù secondo Matteo che identifica il vangelo con la beatitudine, tipica dei Santi. Mt 5,1: Vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli (ἰδὼν δὲ τοὺς ὄχλους ἀνέβη εἰς τὸ ὄρος, καὶ καθίσαντος αὐτοῦ προσῆλθαν αὐτῷ οἱ μαθηταὶ αὐτοῦ, idòn dè toùs óchlous anébē eis tò óros kaì kathísantos autoũ prosêlthan autỗ hoi mathētaì autoũ). - Vedendo le folle (ἰδὼν δὲ τοὺς ὄχλους). La presenza delle folle (óchloi) all'inizio (5,1) e al termine del discorso della montagna (7,28-29) fa da cornice all'insegnamento impartito da Gesù a Israele. L'accenno ai discepoli in 5,1 non esclude la folla. L'insegnamento del discorso non è inteso solo per il ristretto gruppo dei discepoli. - salì sul monte (ἀνέβη εἰς τὸ ὄρος). Nell'antico Vicino Oriente le montagne e le colline (bamàh/bamot le «alture») erano considerate le abitazioni degli dèi e quindi luoghi sacri. In Esodo 19-20 la Torah è stata data a Mosè sul monte Sinai. Come Mosè ha ricevuto i comandamenti di Dio sul Sinai, così Gesù rivela la volontà di Dio su un monte. In Matteo gli avvenimenti importanti della vita di Gesù si svolgono sui monti: le tentazioni (4,8-10), la moltiplicazione dei pani (15,29-39), la trasfigurazione (17,1-9), l'arresto (26,30-35), il mandato finale affidato agli apostoli (28,16). - si pose a sedere (καθίσαντος). Nelle scuole ebraiche il maestro si metteva a sedere su una panca con gli studenti seduti per terra davanti a lui. In Matteo, Gesù si mette a sedere su una barca (13,2) e sul Monte degli Ulivi (24,3). Matteo parla anche (letteralmente o simbolicamente) della (autorevole) «cattedra di Mosè» (23,2). In Luca Gesù si mette a sedere per insegnare nella sinagoga di Nazaret (Lc 4,20). 5,2: Si mise a parlare e insegnava loro dicendo (καὶ ἀνοίξας τὸ στόμα αὐτοῦ ἐδίδασκεν αὐτοὺς λέγων, kaì anoíxas tò stóma autoũ edídasken autoùs légōn). - Si mise a parlare (ἀνοίξας τὸ στόμα αὐτοῦ, lett.: «e aprendo la sua bocca»). Espressione semitica usata quando qualcuno sta per iniziare un insegnamento pubblico (Sal 78,2) o una dichiarazione solenne (Gdc 11,35-36). Il termine διδάσκω, didáskō, «insegnare» in Matteo è usato esclusivamente nel «discorso della montagna». 5,3: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli (μακάριοι οἱ πτωχοὶ τῷ πνεύματι ὅτι αὐτῶν ἐστιν ἡ βασιλεία τῶν οὐρανῶν, makárioi hoi ptōchoì tò pneúmati, óti autỗn estin he basileía tỗn ouranỗn). 4

- Beati (μακάριοι). Ogni «beatitudine» dichiara che il possessore di questa caratteristica sarà «benedetto» da Dio. Una benedizione formale è un'azione divina, a volte effettuata per mezzo di un intermediario (sacerdote, re, genitore, ecc.). L'aggettivo μακάριος, makários «beato» è traduzione greca variabile di un sostantivo ebraico invariabile, in stato costrutto plurale: ashrè (aram. tubè), che letteralmente si potrebbe rendere con una esclamazione del tipo: «prosperità, felicità». Si tratta di una fraseologia sapienziale, reperibile soprattutto nei Proverbi e nei Salmi (cf Pr 3,13; 28,14) e il cui contrario è hoj «guai». Nella Torà troviamo invece la coppia liturgica barukh - arur, «benedetto - maledetto». Le beatitudini del NT si riferiscono a un premio futuro (o escatologico), mentre le beatitudini sapienziali presuppongono che il premio sia già presente. - poveri in spirito (οἱ πτωχοὶ τῷ πνεύματι). Il termine πτωχός, ptōchós denota un «accattone», non semplicemente una persona povera. Le beatitudini devono essere lette alla luce dell'at ove viene riconosciuta la cura speciale che Dio ha per i poveri (cf Es 22,25-27; 23,11; Lv 19,9-10; Dt 15,7-11; Is 61,1). La precisazione di Matteo «in spirito» serve a definire meglio i «poveri» come coloro che hanno riconosciuto nel regno di Dio un dono che non può essere rubato. «Poveri in spirito» è un'espressione che è stata individuata anche a Qumran ('anawè ruach: 1QM XIV,7; Rotolo della guerra 14,7; Salmi di Salomone 10,6; 15,1). Non vi è grande differenza, in ebraico, tra «povero» ('ani) e «umile, mite» ('anaw), che sovente sono interscambiabili nel TM. Quindi, anche supponendo che la dimensione "spirituale" di questa prima beatitudine sia una voluta sottolineatura matteana (con l'aggiunta di pneũma, come a Qumran), non è comunque lecito contrapporla più di tanto alla beatitudine lucana, che parla solamente di «poveri». Perché, biblicamente, le due nozioni sono sorelle, e non si dà l'una senza l'altra. I «poveri in spirito» sono realmente dei poveri, e non lo sono soltanto interiormente. L'aggiunta «in spirito» non ha nulla di restrittivo: serve piuttosto a sottolineare una dimensione della povertà, la quale è una situazione non puramente sociologica, ma anche spirituale o religiosa. Matteo vuole dirci che non basta la povertà economica per essere beati, occorre essere anche umili, miti, perché solamente a questa condizione si è in grado di accogliere il regno che viene. - il regno dei cieli (ἡ βασιλεία τῶν οὐρανῶν). Il regno si riferisce alla sovranità di Dio. Qui predomina il suo significato escatologico, anche se non è esclusa la ricompensa al presente. Il termine «cielo» è un sostituto ebraico di «Dio». Notare il parallelismo tra la prima e l'ottava beatitudine (5,3.10). 5,4: Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati (μακάριοι οἱ πενθοῦντες, ὅτι αὐτοὶ παρακληθήσονται, makárioi hoi penthoũntes, hóti autoì paraklēthésontai). - Quelli che sono nel pianto (οἱ πενθοῦντες, hoi penthoũntes). Sono coloro che sono in lutto (ebr. avelim). Di nuovo, la beatitudine matteana ha un'estensione maggiore di quella lucana («i piangenti»). Vedi il testo programmatico di Is 61,1-3 dove «evangelizzare i poveri» è parallelo a «consolare gli afflitti». La missione del profeta è quella di confortare tutti coloro che piangono in Sion. L'occasione del loro pianto è la devastazione del Primo Tempio di Gerusalemme nel 587 a.c. Secondo Sir 48,24, Isaia «consolò gli afflitti di Sion». Ancora più istruttivo è il raffronto con 9,15, dove Matteo ha introdotto lo stesso verbo nella risposta di Gesù alla domanda sul digiuno, interpretato come segno di lutto. Nella comunità matteana, gli «afflitti» sono coloro che digiunano poiché è stato loro tolto lo sposo; che fanno penitenza nell'attesa del ritorno del Messia. 5,5: Beati i miti, perché avranno in eredità la terra (μακάριοι οἱ πραεῖς, ὅτι αὐτοὶ κληρονομήσουσιν τὴν γῆν, makárioi hoi praeĩs, hóti autoì kleronomésousin tèn gễn). La distinzione fra πραεῖς, praeĩs, «miti» e πτωχοὶ, ptōkoì, «poveri» è netta solamente in greco, giacché in ebraico sono due nozioni che tendono a sovrapporsi ('anawim - 'anijjim). Infatti il testo occidentale (D) e molti padri, anche orientali, invertono l'ordine della seconda e della terza beatitudine, accostando quella dei «miti» direttamente a quella dei «poveri». Questa beatitudine di Matteo è tratta dal Sal 37,11: I miti erediteranno la terra, e godranno di una grande pace. La comunità di Qumran ha considerato il Sal 37,11 come una profezia della loro lotta contro i loro nemici (4QpPs a ). La «terra» non è necessariamente limitata al territorio di Israele. Nella letteratura apocalittica (1Enoch 5,7) la promessa viene estesa fino ad abbracciare il mondo intero, dato in dono ai giusti: «Per gli eletti ci sarà luce, gioia e pace, ed essi erediteranno la terra». 5

5,6: Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati (μακάριοι οἱ πεινῶντες καὶ διψῶντες τὴν δικαιοσύνην, ὅτι αὐτοὶ χορτασθήσονται, makárioi hoi peinỗntes kaì dipsỗntes tèn dikaiosúnēn, hóti autoì chortasthésontai). Matteo introduce qui un tema dominante di tutto il discorso, la ricerca della «giustizia» (cf 6,33). Ma se la fame è di giustizia, e non di cibo, di quale sazietà si parla? Anche il verbo «saziarsi» deve avere un significato metaforico come in Is 53,11 (saziarsi della conoscenza di Dio) o nel Sal 17,15 (saziarsi della sua immagine, cioè della contemplazione del suo volto). Si veda anche il Sal 107,5.8-9, che descrive come Dio abbia soddisfatto la fame e la sete degli Israeliti. La giustizia di cui parla Matteo non è solo una componente sociale, ma un attributo divino, inscindibile dalla sua «misericordia». In un contesto apocalittico la giustizia si riferisce alla rivendicazione dei giusti nel giudizio finale. La soddisfazione promessa nella beatitudine è innanzitutto escatologica. 5,7: Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia (μακάριοι οἱ ἐλεήμονες, ὅτι αὐτοὶ ἐλεηθήσονται, makárioi hoi eleémones, hóti autoì eleēthésontai). - Misericordiosi (ἐλεήμονες, eleémones). Non esiste, nell'at, il plurale di questo aggettivo, giacché esso conviene soltanto al Signore, del cui nome è la spiegazione più appropriata: Jhwh, Jhwh, el rachum wechannun, kýrios kýrios o theós oiktírmōn kaì eleémōn, «Il Signore, il Signore, Dio pietoso e misericordioso» (Es 34,6). Unica eccezione riguarda il «giusto» del Sal 112,4: zarach bachóshek or layesharim channun verachum vetzaddik, «Spunta nelle tenebre, luce per gli uomini retti: misericordioso, pietoso e giusto» (che poi è riferito al Messia). La misericordia è prima di tutto un attributo di Dio, che a sua volta si compiace se praticata anche dagli uomini. In Pr 14,21: Chi disprezza il prossimo pecca, beato chi ha pietà degli umili e in Pr 17,5: Chi deride il povero offende il suo creatore, la «benedizione» è riconosciuta come premio per l'accoglienza riservata ai poveri. Matteo cita due volte Os 6,6 (Mt 9,13; 12,7) per ribadire il primato della misericordia, considerata una delle «prescrizioni più gravi della Legge» (23,23). Il NT ha senza dubbio molte altre risorse linguistiche per proclamare la «misericordia» divina, ma sorprende che i due attributi consacrati dall'at (rachum wechannun) siano usati solo due volte (in greco): Mt 5,7 usa il plurale μακάριοι οἱ ἐλεήμονες, makárioi hoi eleémones, «beati i misericordiosi»; Eb 2,17: ἐλεήμων καὶ πιστὸς ἀρχιερεὺς, eleémōn kaì pistòs archiereùs, «sommo sacerdote misericordioso e degno di fede». L'aggettivo analogo οἰκτίρμων, oiktírmōn, «comprensivo, compassionevole, misericordioso» è usato da Luca 6,36: Γίνεσθε οἰκτίρμονες καθῶς ὁ πατὴρ ὑμῶν οἰκτίρμων ἐστίν, «siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso» e da Gc 5,11: πολύσπλαγχνός ἐστιν ὁ κύριος καὶ οἰκτίρμων, «il Signore è ricco di misericordia e di compassione». 5,8: Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio (μακάριοι οἱ καθαροὶ τῇ καρδίᾳ, ὅτι αὐτοὶ τὸν θεὸν ὄψονται, makárioi hoi katharoì tễ kardía, hóti autoì tòn theòn ópsontai). - Beati i puri di cuore (μακάριοι οἱ καθαροὶ τῇ καρδίᾳ). Questa espressione è ripresa dal Sal 24,3-4, che descrive coloro che potranno salire «il monte del Signore» (monte Sion), cioè sono quelli che hanno «mani innocenti e cuore puro». L'espressione «cuore puro» (bar levav: Sal 24,3s.; cf 51,12; 73,1) non è né un riferimento alla purità sessuale-rituale né alla sincerità, ma caratterizza le persone oneste la cui integrità morale si estende al loro essere interiore e le cui azioni sono coerenti con le intenzioni. La purezza di cuore è la semplicità, che rende trasparente lo sguardo (6,22). Il contrario di un cuore «puro» è infatti un cuore «diviso», ipocrita, ambiguo, nevrotico (cf Gc 4,8: Santificate i vostri cuori, uomini doppi). Ciò che impedisce al cuore di essere unito è l'impulso cattivo (yetzer harà). «Togliete l'impulso cattivo dal vostro cuore, e la divina presenza vi sarà subito rivelata» (Targum su Lv 9,6). Il NT afferma sia che la santità è la condizione per vedere Dio (Eb 12,14), sia che proprio la visione di Dio produce in noi la santità e la somiglianza con lui (cf 1Gv 3,2). Il «vedere Dio» qui non si riferisce più al visitare il Tempio di Gerusalemme, bensì al giudizio finale. 5,9: Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio (μακάριοι οἱ εἰρηνοποιοί, ὅτι υἱοὶ θεοῦ κληθήσονται, makárioi hoi eirēnopoioí, hóti huioì theoũ klēthésontai). - Beati gli operatori di pace (μακάριοι οἱ εἰρηνοποιοί). Questa espressione deriva dall'idea antico-testamentaria di shalom, inteso come pienezza dei doni di Dio. Anche se qualsiasi pace viene da Dio e la pace perfetta sarà realizzata solo nel regno di Dio, il seguire Gesù oggi comporta la ricerca attiva della pace. I portatori di 6

pace saranno invitati a unirsi agli angeli («figli di Dio», cf Gn 6,1-4) in occasione del giudizio finale. Is 27,5 dice di Gerusalemme: faccia la pace con me, con me faccia la pace! Esempi simili li troviamo nel NT: Per coloro che fanno opera di pace viene seminato nella pace un frutto di giustizia (Gc 3,18; cf Ef 2,14s.; Col 1,20). - saranno chiamati figli di Dio (υἱοὶ θεοῦ κληθήσονται). Cioè diventeranno realmente «figli di Dio» e come tali saranno riconosciuti. «Essere chiamati» è un altro semitismo ben spiegato da Giovanni: Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio [τέκνα θεοῦ κληθῶμεν, lett. «figli di Dio siamo chiamati»], e lo siamo realmente! (1Gv 3,1). L'adozione a figli, diciamo pure la vocazione a essere figli, è il più grande privilegio di Israele: «Cari gli israeliti, che sono stati chiamati figli di Dio» (Pirqè Avot 111,17; cf Rm 8,23; 9,4). E nella Sifra' su Nm 6,26 si precisa: «chi fa la pace è un figlio del mondo che verrà (olam havà)». 5,10: Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli (μακάριοι οἱ δεδιωγμένοι ἕνεκεν δικαιοσύνης, ὅτι αὐτῶν ἐστιν ἡ βασιλεία τῶν οὐρανῶν, makárioi hoi dediōgménoi héneken dikaiosúnēs, hóti autõn estin he basileía tỗn ouranỗn). - Beati i perseguitati per la giustizia (μακάριοι οἱ δεδιωγμένοι ἕνεκεν δικαιοσύνης). Il riferimento alla «giustizia» riecheggia la quarta beatitudine (5,6) e prepara il campo per l'esigenza di una giustizia più vera (5,20). La ricompensa («perché di loro è il regno dei cieli») lega questa beatitudine alla prima. Gli appartenenti alla comunità di Matteo probabilmente vedevano in questa beatitudine una descrizione delle restrizioni e dell'ostracismo sociale che dovevano sopportare per il loro modo inconsueto di vivere il giudaismo. Secondo i Padri, le beatitudini sono come i gradini di una scala, e il gradino più alto è quello del martirio. Ma non basta «essere calpestati dalla gente» come il sale insipido (v. 13) per essere beati. Se ci sono veri motivi che provocano la maldicenza, la beatitudine viene meno. 5,11: Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia (Μακάριοί ἐστε ὅταν ὀνειδίσωσιν ὑμᾶς καὶ διώξωσιν καὶ εἴπωσιν πᾶν πονηρὸν καθ' ὑμῶν ψευδόμενοι ἕνεκεν ἐμοῦ, makárioi este hótan oneidísōsin hymãs kaì dióxosin kaì eípōsin pãn ponēròn kath'ymỗn pseudómenoi héneken emoũ). - Beati voi quando vi insulteranno (Μακάριοί ἐστε ὅταν ὀνειδίσωσιν ὑμᾶς, lett. «beati siete quando vi insulteranno»). Ancora lo stesso annuncio, ma la costruzione è cambiata. Si esplicita il verbo "essere" (ἐστε), si passa dalla terza alla seconda persona plurale (ὑμᾶς), il nesso tra le due coordinate non è più causale "perché" ma circostanziale "quando" (ὅταν). Queste ragioni grammaticali, oltre a quelle contenutistiche, fanno apparire che non si tratta di una nona beatitudine, ma di un'espansione dell'ottava, molto simile all'insegnamento della prima lettera di Pietro: 14 Beati voi, se venite insultati per il nome di Cristo, perché lo Spirito della gloria, che è Spirito di Dio, riposa su di voi. 15 Nessuno di voi abbia a soffrire come omicida o ladro o malfattore o delatore. 16 Ma se uno soffre come cristiano, non ne arrossisca; per questo nome, anzi, dia gloria a Dio (1Pt 4,14-16). I verbi: «ὀνειδίσωσιν, insulteranno... διώξωσιν, perseguiteranno... εἴπωσιν, diranno» indicano che la comunità di Matteo è coinvolta in un conflitto ancora aperto. 5,12a: Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli» (χαίρετε καὶ ἀγαλλιᾶσθε ὅτι ὁ μισθὸς ὑμῶν πολὺς ἐν τοῖς οὐρανοῖς, chaírete kaì agalliãsthe hóti ho misthòs hymõn polýs en toĩs ouranoĩs). - grande è la vostra ricompensa nei cieli (ὁ μισθὸς ὑμῶν πολὺς ἐν τοῖς οὐρανοῖς). Qui compare per la prima volta un'altra parola chiave di tutto il discorso: μισθὸς, misthós, «ricompensa» (cf 5,12.46; 6,1.2.5.16). Lc 6,35 interpreta molto bene: "la vostra ricompensa sarà grande, e sarete figli dell'altissimo". La vera ricompensa è l'adozione a figli, l'imitatio Dei. L'idea che Dio ricompensi i perseguitati è presente anche in alcune opere giudaiche (1Enoch 108,10; 4Esdra 7,88-101). I cristiani sono perseguitati a causa di Gesù (5,11), mentre in 4Esdra 7 vengono premiati coloro che soffrono per «la perfetta osservanza della Legge del Legislatore» (7,89). Il motivo della persecuzione dei profeti è ripreso in Mt 23,29-30 (cf 2Cr 36,16: «Ma essi si beffarono dei messaggeri di Dio, disprezzarono le sue parole e schernirono i suoi profeti al punto che l'ira del Signore contro il suo popolo raggiunse il culmine, senza più rimedio»). Nella situazione venutasi a creare dopo il 70 d.c. questa interpretazione di 2Cronache della distruzione del Primo Tempio (587 a.c.) doveva apparire particolarmente appropriata alla comunità di Matteo che era stata testimone della distruzione del Secondo Tempio. 7