La Trattazione del Mito Argonautico nella Pitica IV di Pindaro e in Apollonio Rodio 1. Pindaro e la poesia ellenistica 1 Patrick Manuello La più importante testimonianza poetica (integra) anteriore alle Argonautiche e contenente una porzione di testo dedicato all'antichissimo 2 mito degli Argonauti sufficientemente estesa per poter essere messa a confronto con l opera di Apollonio Rodio è 1 Il lavoro è diviso in due parti: nella prima parte vengono affrontate alcune questioni di poetica pindarica/alessandrina mettendo in luce quei tratti che accomunano e distinguono in maniera significativa le due opere. Nella seconda parte, invece, viene seguita la narrazione del mito argonautico in Pindaro e nei passi paralleli di Apollonio. Tutte le traduzioni della Pitica IV sono di Gentili (per il riferimento cfr. nota 4), mentre quelle di Apollonio Rodio sono di Borgogno (cfr. Apollonio Rodio, Le Argonautiche, a cura di A. Borgogno, Milano 2003¹). Il testo critico che ho seguito per Apollonio è quello stabilito da Fränkel (Apollonii Rhodii Argonautica recognovit brevique adnotatione critica instruxit H. Fränkel, Oxonii 1961), mentre per Pindaro quello di Snell e Maehler (Pindari carmina cum fragmentis, 2 voll., Leipzig 1975-1980). 2 All interno del panorama dei miti e delle leggende del popolo greco la saga degli Argonauti doveva essere piuttosto conosciuta, se Omero nell Odissea (XII, 69-70), in riferimento alla nave Argo e all attraversamento delle Simplegadi, usa l espressione πασιµέλουσα ( famosa o che sta a cuore a tutti ). Altri riferimenti a questa saga (forse una proiezione mitica delle prime imprese coloniali greche sul mar Nero) sono presenti nella Teogonia di Esiodo (vv. 993-1002), mentre, fra i lirici, Mimnermo parlò della conquista del vello, Ibico poneva Medea nei Campi Elisi insieme allo sposo Achille, Simonide in un Inno a Poseidone perduto menzionava il vello d oro, mentre il poeta Eumelo di Corinto nei suoi perduti Corinthiaca e gli anonimi Naupactica, di cui possediamo solo pochi frammenti, parlavano dell impresa degli Argonauti (non sappiamo però né quanto estesamente né in che misura questi testi abbiano influito su Apollonio). Sul tema del mito degli Argonauti prima di Apollonio Rodio cfr. G. Boselli, Il mito degli Argonauti nella poesia greca prima d Apollonio Rodio, in «Rivista di Storia Antica», 8 (1904), pp. 518-528; 9, 1905, pp. 131-144, 278-295; 393-412 ed il recente contributo di M.L. West, Odyssey and Argonautica, in CQ 55 (2005), pp. 39-64. 74
rappresentata dalla Pitica IV 3 di Pindaro 4 (462 a. C.) dedicata al re di Cirene Arcesilao IV 5. Tale accostamento è giustificato sia dal fatto che l ode pindarica dedica un notevole numero di versi alla narrazione dell impresa degli Argonauti 6 sia dalla cura riservata dai filologi alessandrini 7 nei confronti dell opera del poeta tebano. Ovviamente, trattandosi di due opere appartenenti ad epoche e a generi letterari diversi (epica/lirica corale), si trovano significative 3 La Pitica IV è l ode pindarica più estesa fra quelle conservate: 299 versi in tredici triadi. Di questi, il mito argonautico occupa i vv. 70-262. L occasione dello svolgimento di tale mito è rappresentata dalla vittoria col carro, a Delfi, di Arcesilao IV di Cirene (462 a. C.), discendente del fondatore di Cirene Batto e ultimo sovrano della dinastia dei Battiadi. 4 Per un puntuale commento al carme cfr. B. K. Braswell, A commentary on the Fourth Pythian Ode of Pindar, Berlin 1988 e Pindaro, Le Pitiche, a cura di B. Gentili, P. Angeli Bernardini, E. Cingano, P. Giannini, Milano 1995, pp. 103-157 e 427-510. 5 Ad Arcesilao IV è dedicata anche la Pitica V. Si aggiunga che il sovrano ottenne la vittoria, sempre nello stesso tipo di competizione, anche ad Olimpia nel 460 a. C.. 6 Va detto, da subito, che il componimento non è propriamente un epinicio (diversamente dalla Pitica V), dal momento che il riferimento all agone è solo accennato (vv. 66-67). Si pensa che l'ode (un carme citarodico) sia stata eseguita alla corte del sovrano dopo la Pitica V. Ad ogni modo, le ragioni della presenza così ingombrante del mito hanno suscitato molteplici discussioni e, di conseguenza, diverse interpretazioni che si possono ricondurre a tre filoni interpretativi principali: 1) encomio della dinastia dei Battiadi 2) valore esemplare del mito: Giasone e Pelia che giungono ad un accordo pacifico senza ricorrere alle armi 3) intento politico rivolto a legittimare il potere del sovrano. In realtà, poiché da una analisi complessiva dell opera di Pindaro emerge che le odi sono animate da diversi intenti, il voler ricercare un unico motivo ispiratore è un operazione che riduce la possibilità di cogliere la complessità e le diverse sfumature del testo. Per un esame dettagliato delle interpretazioni dell ode e sul suo significato rimando a P. Giannini, Interpretazione della Pitica 4 di Pindaro, in QUCC 2 (1979), pp. 35-63. 7 Sulla storia della tradizione di Pindaro durante l età ellenistica cfr. Le Pitiche, op. cit., pp. LXXIV-LXXXII e il recente contributo M. Negri, Pindaro ad Alessandria, Brescia 2004. Basti solo ricordare che il lavoro filologico sul testo di Pindaro dovette cominciare con Zenodoto, il quale curò una διόρθωσις (o recensio) dei carmi. Dopo di lui i lavori proseguirono con Aristofane, Aristarco e, soprattutto, Didimo. All'età degli Antonini risale, probabilmente, la scelta canonica dei quattro libri degli Epinici. 75
divergenze che vanno a toccare complesse questioni di storia letteraria greca. Il destinatario, la performance e l'occasione rappresentano una importante serie di elementi da prendere in considerazione. Nella Pitica IV l'occasione per ricordare l'impresa del vello d'oro è data dall'encomio di un sovrano che non è solo il destinatario stesso del carme, ma è anche personalmente legato a quell'antichissimo mito grazie ad alcuni rapporti genealogici messi in luce dal poeta nel corso del componimento. Il poema di Apollonio, invece, non sembra essere rivolto ad un particolare destinatario 8, se non quello della raffinata cerchia di lettori/uditori alessandrini capaci di cogliere dietro ad ogni verso la profonda rielaborazione, sorretta da una seria competenza filologica, del testo omerico. Le Argonautiche venivano pertanto trasmesse (almeno inizialmente) durante le pubbliche letture di parti del poema tenute all'interno della corte tolemaica 9 e del tutto lontane 10 dalla prassi della trasmissione/esecuzione orale dell'epica greca arcaica. E se è vero che anche durante l età dei tre grandi esponenti 8 Diverso sarà il caso della riscrittura latina di Valerio Flacco. Il poeta latino, come si ricava già a partire dal proemio (vv. 7-21), dedica l'opera a Vespasiano, ricollegando in tal mondo l'antico mito della navigazione della nave Argo alle imprese dell'imperatore (il consolidamento della Britannia a partire dal 77 d. C. grazie ad Agricola). 9 Per quanto riguarda le Argonautiche all interno del contesto culturale tolemaico cfr. R.L. Hunter, The Argonautica of Apollonius. Literary Studies, Cambridge 1993, pp. 152-169. Deve essere osservato che quelle pubbliche letture di fronte ad un pubblico certamente ristretto hanno rappresentato per un certo periodo non solo una importante modalità per la trasmissione del poema, ma hanno anche permesso un fecondo incontro tra i vari letterati della corte tolemaica. Questo fatto ha determinato serie difficoltà nell analisi delle opere dei poeti alessandrini, dato che, mancando dati cronologici sicuri, non ci è possibile fare completamente luce sui nessi intertestuali. 10 La netta cesura che separa il poeta arcaico dal letterato alessandrino, per quanto concerne l'uso della scrittura e di tutte le potenzialità che esso comporta, è ben evidente nel prologo degli Aitia callimachei (fr. 1, vv. 21-24) in cui il poeta ci descrive la sua iniziazione alla poesia caratterizzata dall'uso della tavoletta scrittoria (δέλτον). Un altro significativo riscontro si ritrova nella famosa Elegia della vecchiaia (fr. 118) di Posidippo (vv. 6; 17-18 ) e nella Batracomiomachia (v. 3). 76
della letteratura ellenistica (Callimaco, Apollonio Rodio e Teocrito) ritroviamo alcuni esempi di poesia encomiastica 11 (la famosa Chioma di Berenice 12 callimachea e l inno in onore di Tolomeo Filadelfo dell Idillio XVII di Teocrito 13 ) e di veri e propri epinici 14, tuttavia, come la critica ha da tempo 15 messo in luce, l occasione e la performance della poesia ellenistica in molti casi non rappresentano altro che il risultato della mimesi di un occasione più pensata che reale. Insomma, un prodotto letterario nel senso moderno del termine. Del resto, pur rivestendo ancora un ruolo prestigioso presso la corte dei Tolomei la partecipazione agli agoni sportivi panellenici (soprattutto se si pensa alle implicazioni propagandistiche), sembra che l epinicio cominci a decadere e a perdere il suo significato originario a partire dalla seconda metà del V sec. a. C 16. Una delle ragioni di questo decadimento è quella che Gentili espone in questi termini: «le epigrafi onorarie e commemorative divengono ora (in età ellenistica) il mezzo privilegiato per la pubblica celebrazione della vittoria sportiva ( ) non più la viva voce del poeta o del coro di 11 Le due vie privilegiate per la propaganda letteraria della corte dei Tolomei sono rappresentate dall epica encomiastica e, soprattutto, dalla storiografia (tutte opere perdute). Cfr. S. Barbantani, Fàtis nikeforos. Frammenti di elegia encomiastica nell'età delle guerre galatiche: supplementum hellenisticum 958 e 969, Milano 2001, pp. 33-34. 12 Aitia, fr. 110. 13 Ma va ricordato anche l encomio a Ierone II di Siracusa (Idillio XVI). Sul ruolo di Teocrito come poeta di corte cfr. F.T. Griffiths, Theocritus at Court, Leiden 1979. 14 I più celebri sono quello per Berenice II (vincitrice col carro alle Nemee) in apertura dei libri III-IV degli Aitia, quello per il cortigiano Sosibio (Aitia, fr. 384) e per Policle (Giambo VIII). Berenice II partecipò alle Olimpiadi e conseguì la vittoria nella corsa col carro in occasione delle Nemee. 15 Cfr. P. Legrand, Pourquoi furent composés les Hymnes de Callimaque?, in «REA» 3 (1901), pp. 281-312; G. Pasquali, Quaestiones Callimacheae, Gottingae 1913, pp. 148-157. 16 Cfr. P. Angeli Bernardini, Esaltazione e critica dell'atletismo nella poesia greca dal VII al V sec a. C: storia di un'ideologia, in Stadion 6 (1980), pp. 81-11 e La storia dell'epinicio: aspetti socio-economici, in SIFC 10 (1992), pp. 965-979. È comunque degno di menzione l epinicio dedicato ad Alcibiade da Euripide in occasione della sua vittoria con la quadriga, ad Olimpia, nel 416. 77
cantori e la memoria, bensì il documento scritto inciso su pietra, e la statua di marmo o la raffigurazione vascolare di atleti in trionfo divengono i portavoce esclusivi dei valori e delle virtù atletiche» 17. La cosa che, generalmente, più colpisce chi si accinge a leggere Pindaro è il fatto che spesso all'interno della struttura dell'epinicio 18 il presente ed il passato (con implicazioni anche sulla tematica tanto cara ai critici moderni dell'unità compositiva dei carmi) si (con)fondono 19 nella celebrazione del vincitore delle gare, quasi a sottolineare il senso di continuità fra le generazioni e le gloriose imprese umane. Come ha osservato Fränkel 20 «la sua esposizione salta senz'altro da un punto all'altro dell'arco temporale, e all'interno di una coerente sequenza di eventi procede a piacimento all'indietro o in avanti, oppure muta qua e là direzione. Il nostro senso del tempo è duramente messo alla prova, ma è il prezzo da pagare perché compaiano altre, più importanti connessioni». Il poeta, dunque, nel caso specifico della Pitica IV, volendo celebrare (e incoraggiare) le virtù umane e politiche 21 di Arcesilao 17 Cfr. Le Pitiche, op. cit., pp. XXI-XXII. Cfr, anche infra, p. 83. 18 Si è soliti distinguere nell'epinicio pindarico tre elementi fondamentali: il piano sintagmatico, il piano paradigmatico e quello pragmatico. Per un chiarimento di questi tre aspetti rimando a Pindaro, Olimpiche, a cura di F. Ferrari, Milano 1998, pp. 17-18. 19 Diversamente da Bacchilide: cfr. B. Gentili, C. Catenacci, Polimnia, Poesia greca arcaica, Firenze 2007, pp. 340-341 e B. Snell, La cultura greca e le origini del pensiero europeo, trad. it., Torino 1963, pp. 134-135. 20 Cfr. H. Fränkel, Poesia e filosofia della Grecia arcaica, trad. it., Bologna 1997, p.701. Si tratta di una pratica che ha, forse, la più autorevole e famosa espressione nell'eneide di Virgilio, dove spesso non solo alle vicende di Enea vengono accostate le gesta dei futuri generali romani (operando così uno sfasamento temporale che oltrepassa i limiti narrativi stessi dell'opera), ma anche i luoghi vengono presentati nei loro diversi aspetti nell'arco del tempo (la Roma primitiva e quella augustea). 21 Nel componimento è rintracciabile una precisa finalità politica (vv. 281 segg.). Il poeta, infatti, si appella all'umanità del sovrano per far ritornare da Tebe a Cirene l'esule ribelle Demofilo, colpevole, a quanto sembra, di aver complottato contro Arcesilao. Cfr. Braswell, op. cit., pp. 1-5; Le Pitiche, op. cit., pp. 106 78
risale indietro nel tempo per rievocare le complesse vicende che hanno portato alla fondazione della colonia di Cirene 22. Il legame fra la città e gli Argonauti è dato da Batto (Aristotele figlio di Polimnasto), il quale, presunto discendente 23 dell'argonauta Eufemo, ricevette dalla Pizia lo stesso oracolo 24 che 17 generazioni prima Medea aveva rivelato ad Eufemo: un destino regale e la fondazione di una nuova città nella lontana Libia. La complessità dell intreccio narrativo consiste, dunque, nel fatto che la narrazione del mito argonautico è inserita all interno del racconto della fondazione della città di Cirene. In pratica, si parte da un mito principale (vv. 4-63) e se ne inserisce un secondo (vv. 70-246), cronologicamente anteriore (ma strettamente connesso), per poi segg. e P. Giannini, op. cit., pp. 39-48. Per quanto riguarda, in generale, l ode pindarica come espressione non solo dell elogio di un vincitore, ma anche come riflesso di finalità politiche cfr. E. Cingano, Problemi di critica pindarica, in QUCC 2 (1979), pp. 169-182. 22 La colonia fu fondata intorno al 631 a. C. da Dori provenienti da Thera (odierna Santorini). Attualmente i resti della colonia, che conservano testimonianze archeologiche appartenenti alle diverse fasi storiche dalla città (greca e romana), si trovano nella Libia orientale presso la città di Shahhat. Il sito archeologico, comprendente tra i tanti monumenti il santuario di Apollo e il tempio di Zeus, è stato qualificato dall'unesco come patrimonio dell'umanità. 23 Erodoto precisa che si tratta di una tradizione degli abitanti di Thera (IV, 150, 2 segg.): «µοῦνοι Θηραῖοι ὧδε γενέσθαι λέγουσι. Γρῖννος ὁ Αἰσανίου, ἐὼν Θήρα τούτου ἀπόγονος καὶ βασιλεύων Θήρης τῆς νήσου,ἀπίκετο ἐς Δελφοὺς ἄγων ἀπὸ τῆς πόλιος ἑκατόµβην εἵποντο δέ οἱ καὶ ἄλλοι τῶν πολιητέων καὶ δὴ καὶ Βάττος ὁ Πολυµνήστου, ἐὼν γένος Εὐφηµίδης τῶν Μινυέων». Va ricordato che Thera secondo Erodoto fu colonizzata da spartani e da quei profughi di Lemno (fra i quali Batto) che si consideravano discendenti dei Minii (nome che propriamente indica i discendenti di Minia, re fondatore di Orcomeno e, per estensione gli Argonauti). 24 In Erodoto l'oracolo suona così (IV, 155, 15): «Βάττ', ἐπὶ φωνὴν ἦλθες ἄναξ δέ σε Φοῖβος Ἀπόλλων ἐς Λιβύην πέµπει µηλοτρόφον οἰκιστῆρα». Nelle parole dell'oracolo, secondo lo storico, si celerebbe, però, non solo il riferimento alla fondazione della nuova città, ma anche all'assunzione del titolo regale. Batto, infatti, che in lingua greca indicherebbe il balbuziente, nella lingua libica, invece, significa re : «ὥσπερ εἰ εἴποι Ἑλλάδι γλώσσῃ χρεωµένη «Ὦ βασιλεῦ, ἐπὶ φωνὴν ἦλθες.» Ὁ δ' ἀµείβετο τοῖσδε «Ὦναξ, ἐγὼ µὲν ἦλθον παρὰ σὲ χρησόµενος περὶ τῆς φωνῆς, σὺ δέ µοι ἄλλα ἀδύνατα χρᾷς, κελεύων Λιβύην ἀποικίζειν τέῳ δυνάµι, κοίῃ χειρί;». 79
ritornare al primo (vv. 255-262). A questa struttura ad anello dobbiamo aggiungere i riferimenti al destinatario 25 del carme che ci riconducono al presente. In altri termini, all hic et nunc. All'epoca di Apollonio la tematica celebrata da Pindaro della fondazione di Cirene 26 (città che gravitava oramai nell orbita del regno dei Tolomei) doveva essere ben conosciuta e doveva godere di particolare attenzione almeno per due buone ragioni: da quella importante colonia greca provenivano sia la moglie di Tolomeo III, la famosa Berenice II 27, sia Callimaco, il poeta più influente e maggior teorico della poesia ellenistica. Egli vantava 28 addirittura nel proprio albero genealogico una parentela con quel famoso Batto. Nella chiusa dell Inno ad Apollo (vv. 65 segg.) riprendendo proprio la Pitica IV e V 29 del poeta tebano, Callimaco rievoca brevemente il tema della fondazione di Cirene 30 in virtù del 25 Segnalo, in particolare, quello ai vv. 247-248 che interrompe vistosamente la narrazione del mito argonautico. 26 Cfr. R. Pretagostini, Cirene nella poesia greca fino al primo ellenismo (e in Erodoto), in SemRom 7 (2004), pp. 51-64. Per una analisi del tema della fondazione della colonia all interno della poesia e della storiografia sono fondamentali le pagine di C. Calame, Mito e storia nell antichità greca, Bari 1999, pp. 75-217. 27 Figlia di Magas, re di Cirene, e di Apama, figlia di Antioco I. Nacque intorno al 267 a.c. e sposò Tolomeo III nel 247 a.c. Famosa per l episodio cantato da Callimaco della ciocca di capelli trasformata in costellazione (La chioma di Berenice), vinse alle Nemee verso il 243 a.c. e partecipò anche alle Olimpiadi. Fu uccisa dal figlio Tolomeo IV alla morte del marito (221 a.c.) per motivi di successione. 28 Cfr. Strabone (XVII, 3, 21), l'epigramma XXXV e l'inno ad Apollo callimachei (vv. 65-68). Su questo dato Lehnus si è espresso in maniera piuttosto prudente facendo notare che potrebbe trattarsi di un nome d arte. Cfr. L. Lehnus, Callimaco tra la polis e il regno, in «Lo spazio letterario della Grecia antica» Vol. I, tomo II, Roma 1993, pp. 76-77. 29 I punti di contatto più significativi tra l Inno ad Apollo e la Pitica V consistono, oltre che nella rievocazione della fondazione di Cirene, nelle lodi del dio (Callimaco, vv. 42-46; Pindaro, vv. 63-69) e nel preciso riferimento ad Apollo Carneo (Callimaco, vv. 71-73; Pindaro, v. 80). 30 Per ulteriori allusioni di Callimaco a Cirene cfr. L. Lehnus, Antichità cirenaiche in Callimaco, in Eikasmos 5 (1994), pp. 189-207. 80
legame con Apollo, la divinità che sta alla base della fondazione della città di Callimaco: Φοῖβος καὶ βαθύγειον ἐµὴν πόλιν ἔφρασε Βάττῳ καὶ Λιβύην ἐσιόντι κόραξ ἡγήσατο λαῷ, δεξιὸς οἰκιστῆρι, καὶ ὤµοσε τείχεα δώσειν ἡµετέροις βασιλεῦσιν ἀεὶ δ' εὔορκος Ἀπόλλων. Febo rivelò anche la ferace mia città a Batto, ed al popolo che entrava in Libia fu guida, corvo fausto al fondatore, e giurò di concedere mura ai nostri re: sempre tiene fede ai giuramenti Apollo 31. Pochi versi dopo viene aggiunto un interessante riferimento alla leggenda della ninfa Cirene, eroina eponima di Cirene, rapita da Apollo e condotta dalla Tessaglia in Libia nel luogo in cui sorgerà la futura città. Anche in questo caso ci troviamo di fronte a una ripresa di Pindaro. Si tratta della Pitica IX dedicata a Telesicrate di Cirene per celebrare la sua vittoria ai giochi pitici del 474 a.c. In questo testo, infatti, il poeta narra la storia (complementare alla precedente versione della fondazione della città libica), forse di origine esiodea 32, dell amore di Apollo per Cirene, figlia del re dei Làpiti Ipseo. Non abbiamo la possibilità di approfondire in questa sede il mito 33, ma basti aggiungere che anche Apollonio, pur non facendo nel poema alcun preciso riferimento alla città libica, dimostra di conoscere questa leggenda in un passo del secondo libro (vv. 500 segg.), in cui per spiegare l origine dei venti etesi narra la storia di Aristeo 34, figlio di Apollo e di Cirene. Non potremo mai essere certi se Apollonio volesse 31 Trad. it. di G.B. D Alessio. 32 Secondo uno scolio alla Pitica IX (schol. ad Pyth. IX 6a) la fonte del mito deriverebbe dal Catalogo delle donne esiodeo (fr. 215 M-W). Cfr. A. Debiasi, Esiodo e l occidente, Roma 2008, pp. 105-111. 33 Una analisi dettagliata del mito si trova nel già citato saggio di Calame (pp. 132-156). 34 Anche nella Pitica IX (vv. 59-66) si parla del dio-pastore Aristeo. 81
rendere omaggio a Callimaco 35 (cosa possibile, se si considera il silenzio del poeta in merito alla città) oppure a Pindaro, ma non è comunque inverosimile pensare che la tematica della fondazione di Cirene, tanto importante sia per la presenza di una regina originaria di quella città che per l enorme influsso letterario/culturale esercitato da Callimaco, possa aver contribuito a riportare in auge i testi pindarici menzionati e che, di conseguenza, il mito argonautico contenuto nella Pitica IV possa essere stato utilizzato da Apollonio 36. Torniamo alla tematica dell uso del tempo. La tendenza a mescolare i diversi piani temporali che ritroviamo nella Pitica IV (Arcesilao IV/fondazione di Cirene/mito del vello d'oro/fondazione di Cirene/Arcesilao IV) e negli epinici pindarici giunti fino a noi è una pratica ampiamente documentata 37 anche nelle Argonautiche. Spesso nel poema ellenistico essa prende la forma di aition. Si tratta, come è noto, di un forte salto indietro nel passato che interrompe momentaneamente il racconto per ricercare nei tempi antichi l'origine di determinate pratiche, culti e tradizioni in qualche modo ancora vive all'epoca del poeta. Questa tecnica 35 Si pensa (Bulloch) che l Inno ad Apollo sia stato composto contemporaneamente all edizione definitiva degli Aitia (246 a. C. o non molto tempo dopo). Il terminus post quem (246 a.c.) per la datazione degli Aitia (che si concludono con il celebre aition della Chioma di Berenice ) è lo scoppio della guerra siriaca (246 a.c.-241 a.c.), che costrinse il re Tolomeo III (appena salito al trono) a lasciare l Egitto per combattere contro Antioco II, mentre la data comunemente accettata per la pubblicazione definitiva delle Argonautiche sembra essere posteriore al 246 a.c.. 36 Del resto, che il grande poeta ellenistico nutrisse un interesse per le fondazioni di città è testimoniato dal fatto che tra le sue opere è annoverata una raccolta di poesie in esametri (Fondazioni) dedicate ad alcune città (Alessandria, Naucrati, Cauno), mentre nel Canopo veniva messo in relazione il mitico eroe eponimo (il pilota di Menelao) alla città egiziana. 37 Lo studio fondamentale in lingua italiana è quello di M. Fusillo, Il tempo delle Argonautiche, Roma 1985. Si veda anche il più recente lavoro di Rengakos: Tempo e narrazione nelle Argonautiche di Apollonio Rodio, in L'officina ellenistica: poesia dotta e popolare in Grecia e a Roma a cura di L. Belloni, L. de Finis, Gabriella Moretti, Trento 2003, pp. 1-15. 82
alessandrina/callimachea dell'aition rappresenta, per così dire, l'espressione letteraria di una grecità che sente il bisogno di fare i conti con il proprio passato, con la propria identità e con l'immensa eredità lasciata dagli antichi 38. Ma oltre all aition, che in Apollonio è comunque impiegato in maniera piuttosto cauta e solitamente alla fine di un segmento narrativo, troviamo nei due poeti incroci di piani temporali, accelerazioni nella narrazione e analessi. In un testo epico come quello delle Argonautiche 39 un simile uso del tempo è tanto più vistoso in quanto rappresenta una rottura della linearità cronologica omerica. In Pindaro il discorso è diverso, almeno per due motivi: 1) in primo luogo perché egli appartiene ancora ad una cultura che, benché stia inesorabilmente passando verso una fase dominata dalla scrittura, è ancora profondamente legata all'oralità 40. Ed è proprio a partire da questa cultura orale che può essere spiegato, in parte, quello stile complesso, ardito e, in certi punti, oscuro 41, che senza dubbio dovette creare sul pubblico 42 un effetto di 38 Cfr. A.W. Bulloch, The Future of Hellenistic Illusion. Some Observation on Callimachus and Religion, in MH 41 (1984), p. 214. 39 Cfr. M.Valverde Sànchez, El aition en las Argonauticas de Apolonio de Rodas. Estudio Literario, Univ. de Murcia, 1989. 40 Su questo argomento la bibliografia è sterminata. Mi limito a segnalare: B. Gentili, Poesia e pubblico nella Grecia antica, Roma-Bari 1983; G. Nieddu, Alfabetizzazione e uso della scrittura in Grecia nel VI e V sec. a. C., in Oralità, Cultura, Letteratura, Discorso, Atti del Convegno Internazionale (Urbino 21-25 luglio 1980), p. 97 ed il classico E.A. Havelock, Cultura orale e civiltà della scrittura, Roma-Bari 1973. 41 È senza dubbio indiscutibile il fatto che certi passi oscuri per il moderno studioso/lettore all epoca di Pindaro dovevano essere chiari (almeno al diretto destinatario dell epincio). Su questa precisazione cfr. Cingano, op. cit., pp. 174-176. 42 Va precisato che la performance di un epinicio pindarico prevedeva un uditorio, che poteva essere rappresentato dalle persone conventute agli agoni o (nel caso di feste cittadine) dal popolo stesso, e un committente rappresentato spesso da un aristocratico o da un tiranno. 83
meraviglia 43 amplificato dalla musica e dalla danza. 2) nell epinicio l utilizzo del tempo è legato a precise finalità che sono determinate dal committente, dall occasione della performance e dall intento politico. Il poeta, pertanto, gioca abilmente con i vari piani temporali per stabilire rapporti col mito, rallentando o accelerando la narrazione a seconda degli effetti che di volta in volta vuole ottenere sul suo pubblico. Nel caso della Pitica IV vanno osservati i vv. 247 segg., dove viene interrotto il racconto della mitica spedizione non solo per inserire una dichiarazione di poetica, ma anche per velocizzare una narrazione che avrebbe condotto il poeta, come diremmo noi, fuori tema 44. E se nel poeta corale questo legame col passato, contenuto di solito nella sezione mitologica (anche se assai spesso pervade l'intera composizione), assume i connotati di una celebrazione politica dei valori eroici 45 /aristocratici (attualità del mito) concomitante con la crisi stessa del mondo aristocratico all'interno di molte poleis greche, in Apollonio e negli alessandrini esso, formalmente, si presenta come il risultato di una dotta riscoperta resa possibile dalla minuziosa pratica filologica 46 (non immune da polemiche 47 ), condotta sui manoscritti raccolti nella biblioteca di 43 Cfr. L. Lehnus, Pindaro. Olimpiche, Milano 1981, p. XVII. 44 Su questo passo vedi anche infra, p. 94. 45 In quanto, come sottolinea Fränkel (1997, p. 695), «un mito, non importa quale, rappresenta il passato leggendario nel quale sono conservati i modelli di ogni evento». 46 Per avere un orientamento ampio e completo sulla nascita della filologia alessandrina si veda R. Pfeiffer, Storia della filologia classica, (vol. I) trad. it., Napoli 1973. 47 A tal proposito, è assai celebre la presunta polemica (destinata a influenzare pesantemente la storia della moderna critica/ricezione delle Argonautiche) tra Callimaco e Apollonio Rodio contenuta nella biografia Suda del poeta di Cirene. Ma una notevole atmosfera litigiosa tra i vari filologi alessandrini si riscontra frequentemente nello stesso Callimaco (cfr. il discusso prologo degli Aitia e il 84
Alessandria, e da una attenta selezione di un materiale letterario della più disparata provenienza (storici, geografi, tragici...). Lo studio del passato, dei fasti della grande poesia epica, lirica e tragica senza dubbio doveva esercitare sui poeti/filologi alessandrini non solo un senso nostalgico di meraviglia, ma anche la consapevolezza che quei tempi, pur dovendo essere studiati a fondo e protetti dall oblio, non sarebbero più potuti tornare. L eroismo di cui parlava Pindaro apparteneva ad un contesto politico-sociale completamente diverso e l intellettuale cresciuto alla corte dei Tolomei lo sapeva bene. Non aveva più senso cercare di imitare maldestramente una poesia che rappresentava un mondo ormai lontano. Bisognava, pertanto, porre le basi per un nuovo mondo artistico capace di rinnovare profondamente la cultura greca. Contribuirono a questa rifondazione culturale anche lo sviluppo delle varie correnti filosofiche e quella scienza che proprio in età ellenistica toccherà i vertici per profondità speculativa e applicazioni pratiche 48. Da un punto di vista strettamente letterario si ricercano nel mito episodi marginali 49 o meno codificati dai poeti più antichi, personaggi più umili, oppure, esattamente come fa Apollonio, si riscrive una gloriosa storia come Giambo I) e nella celebre satira di Timone di Fliunte (SH 786). Riguardo alle polemiche letterarie nell antichità cfr. A.T. Cozzoli, Aspetti intertestuali nelle polemiche letterarie degli antichi: da Pindaro a Persio, in QUCC, in particolare su Callimaco pp. 19-23. 48 In anni recenti è stata studiata e rivalutata l importanza della scienza ellenistica soprattutto nella spiegazione dei tratti peculiari e delle cause che hanno determinato il sorgere di un vero e proprio metodo scientifico solo in età alessandrina. Una tale ricostruzione ha come conseguenza non solo l acquisizione di un bagaglio di conoscenze utili per ricostruire un preciso periodo storico dell antichità, ma anche la ridiscussione dell idea, ancora ampiamente diffusa, secondo cui la nascita del pensiero scientifico dovrebbe essere collocata nell età moderna. Sull argomento cfr. L. Russo, La rivoluzione dimenticata, il pensiero scientifico greco e la scienza moderna, Milano 1996¹. 49 Il fenomeno è talmente importante da essere presente anche nell epinicio ellenistico. Mi riferisco all Epinicio per Berenice (Aitia III SH 254+ fr.383) in cui Callimaco dedica un ampia porzione di testo all ospitalità data dal vecchio Molorco ad Eracle, episodio che rappresenta «una sorta di doppione della storia di Teseo ed Ecale» (D Alessio, op. cit., p. 19). 85
quella degli Argonauti secondo un'ottica più moderna. Le Argonautiche rappresentano, pertanto, una matura espressione di quella riflessione sulla poesia teorizzata e messa in pratica da Callimaco all interno di una produzione letteraria tanto importante non solo per le sorti della letteratura antica successiva, ma anche di quella moderna 50. Il ricorso a quelle parti del mito in cui agivano individui più semplici e meno grandiosi è legato non solo all'immenso influsso del teatro euripideo 51, ma appare anche condizionato dai profondi cambiamenti socio-economici che caratterizzano il mondo ellenistico. Tra questi, come abbiamo già avuto modo di osservare sopra (pp. 77-78), risultano fondamentali per il nostro discorso le nuove modalità di composizione e trasmissione delle opere 52. Ma non bisogna sottovalutare un aspetto socio-psicologico particolarmente evidente negli Idilli di Teocrito, ossia il bisogno da parte del poeta-cortigiano (e del pubblico) ellenistico, chiuso all interno della raffinata corte dei Tolomei, di evasione, di un contatto con una realtà più bassa che può assumere l aspetto di una assolata campagna animata da poeti/pastori 53 oppure ed è il caso dell Ecale di Callimaco di un ambiente modesto come quello dell umile casa di una vecchia. Una attenzione, dunque, realistica 54 per un mondo quotidiano e per le 50 Fondamentale per questa lettura di Apollonio come seguace della poetica callimachea è il lavoro di M.M. De Forest, Apollonius Argonautica: A Callimachean Epic, Leiden-New York-Köln 1994. 51 In Euripide, come già notarono gli antichi (Aristofane), assistiamo alla degradazione dell eroe tradizionale. L esempio più significativo è rappresentato, probabilmente, dal personaggio di Menelao nell Elena. Sul ruolo di Aristofane come critico della tragedia euripidea cfr. B. Snell, op. cit., pp. 148-171. 52 Cfr. M. Fantuzzi-R. Hunter, Muse e modelli. La poesia ellenistica da Alessandro Magno ad Augusto, Roma-Bari 2002, p. 26. 53 Riguardo al problema del sentimento della natura in Teocrito e nell età ellenistica cfr. M. Pohlenz, L uomo greco, trad. it., Milano 2006, pp. 552-563. Lo studioso nel descrivere la forma mentis di molti autori ellenistici nei confronti della natura parla di «nostalgia romantica propria dell uomo civilizzato» (p. 563). 54 Sul dibattuto problema del realismo nella cultura ellenistica è fondamentale il contributo di G. Zanker, Realism in Alexandrian Poetry: a Literature and its Audience, London 1987. Per quanto riguarda, invece, i limiti dell applicazione 86
piccole cose accompagnata dall uso di una tecnica poetica raffinata, selettiva e fortemente innovativa. Parlando dell'epinicio pindarico si è accennato all effetto che doveva creare sugli spettatori. L'oscurità di questo stile, assai diverso nella sintassi dall'epica omerica e dagli stessi interventi corali dei drammi ateniesi 55, infatti, non è solo l'impressione degli esegeti e dei traduttori moderni troppo lontani da quel mondo arcaico. È Pindaro stesso che in un passo dell'olimpica II ricorre all'immagine delle frecce nascoste nella faretra per esemplificare la non immediata accessibilità del proprio stile 56 (83 segg.): πολλά µ<οι> ὑπ' ἀγκῶνος ὠκέα βέλη ἔνδον ἐντὶ φαρέτρας φων<άε>ντα συνετοῖσιν ἐς δὲ τὸ πὰν ἑρµανέων χατίζει. Ho molte frecce veloci sotto il mio braccio dentro la faretra: hanno voce per i saggi, ma per la massa reclamano interpreti 57. di una categoria come quella di realismo alla poesia ellenistica si veda A.W. Bulloch, La poesia ellenistica in «La letteratura greca della Cambridge University», trad. it., Vol. II, Milano 2007, p. 270. 55 Uno degli elementi più importanti che caratterizzano lo stile pindarico è l'elevato numero di iperbati. Sembra che nel poeta tebano essi siano venti volte più frequenti di Omero e dieci volte più numerosi di quelli attestati negli interventi corali della tragedia. Questi valori statistici, pur essendo calcolati sulla base di una documentazione parziale, sono comunque significativi. Cfr. L.E. Rossi, R. Nicolai, Corso integrato di letteratura greca, Vol. I, Firenze 2006, p. 424. 56 Immagine che è documentata anche nel Teeteto di Platone (180 a). Per una analisi del passo all interno del suo contesto cfr. Cozzoli, op. cit., pp. 7-14. 57 Trad. it. di F. Ferrari. 87
La difficoltà di questa tecnica inimitabile 58, personale e profondamente imbevuta di una sacralità ancora legata alla concezione arcaica del poeta intermediario degli dei 59, trova un certo riscontro nella ricerca da parte dei poeti ellenistici (Callimaco in primis) di un'arte raffinata e non più aperta ad un vasto pubblico come poteva essere quello dei rapsodi omerici 60. All'oscurità oracolare pindarica si sostituisce la minuziosa variatio espressiva del modello oppure l'acribia del filologo che (ed è il caso di Apollonio), contro l'auctoritas della vulgata consolidata da secoli di trasmissione orale, propone attraverso i propri versi l'esegesi o la lezione corretta del passo più antico che sta prendendo come modello 61. Si fa strada anche l'immagine di una poesia intesa come 58 Assai celebre il giudizio di Quintiliano (X, 1, 61): «Novem vero lyricorum longe Pindarus princeps spiritu, magnificentia, sententiis, figuris, beatissima rerum verborumque copia et velut quodam eloquentiae flumine: propter quae Horatius eum merito nemini credit imitabilem». Questa testimonianza è importante perché documenta l'esistenza di un canone di nove poeti lirici e la preminenza di Pindaro. Ritroviamo questi stessi dati in due epigrammi anonimi dell'antologia Palatina (IX, 184; 571). Altre fonti sono rappresentate dal carme di apertura delle Odi di Orazio (I, 1, 35); da Seneca (Epist., 27, 6) e Petronio (Sat., 2). In merito all insuperabilità del poeta tebano si veda Orazio, Odi, (IV, 2). 59 In tal senso sono emblematiche le dichiarazioni contenute nel Peana 6, 6 e nei frr. 75, 13 e 150. Altrettanto significativi sono i punti di contatto con Parmenide. Sull'argomento cfr. H. Fränkel, «NGG» 1930, pp. 153-192. Per quanto riguarda, più in generale, il legame fra poeta e sfera divina cfr. Platone, Ione, 534b-c: «Cosa lieve, alata e sacra il poeta, e incapace di poetare se prima non sia ispirato dal dio e non esca fuori di senno, e non ci sia più ragione in lui ( ) siccome non per arte poetano e dicono molte belle cose sui loro argomenti, ( ) bensì per sorte divina, ciascuno dei poeti può fare bene solo ciò a cui la Musa lo spinge» e già Hom., Od., VIII, 44-45 ed Hes., Th., v. 94. 60 Va precisato che ancora in età ellenistica esisteva una poesia epica destinata ad un largo pubblico recitata da poeti itineranti secondo le modalità dell'epica arcaica. Per noi questa produzione è ridotta ad una manciata di frammenti e a una sconsolante serie di titoli e nomi. Sull'argomento cfr. K. Ziegler, L'epos ellenistico: un capitolo dimenticato della poesia greca, Roma-Bari 1988. 61 Di fondamentale importanza per tale aspetto è lo studio di A. Rengakos, Apollonius Rhodius as a Homeric Scholar in A Companion to Apollonius Rhodius, edited by Th.D. Papanghelis and A. Rengakos, Leiden-Boston-Köln 2001, pp. 193-216. 88
una sorgente pura contrapposta all'impurità di una grossa corrente (Callimaco, Inno ad Apollo, vv. 105-113) e il rifiuto per il poema ciclico di vaste dimensioni (Callimaco, epigramma XXVIII e Teocrito, Talisie, 45 segg). E come Pindaro esprime il rifiuto per una poesia, per così dire, mercenaria (Istmica II, 6-12), allo stesso modo Callimaco in un giambo (fr. 222 tramandatoci proprio grazie allo scolio relativo a quel passo pindarico), riprendendo il poeta tebano, manifesta la propria avversione nei confronti «dell'instaurazione di un rapporto automatico tra la produzione poetica e retribuzione monetaria» (D'Alessio 62 ). Un altro aspetto che va a toccare la concezione e il ruolo della poesia emerge dalla solenne apertura della Pitica I (470 a.c.) dove il poeta tebano celebra «il potere ammaliante e pacificatore esercitato dalla musica sull intero ordine divino, sugli attributi di Zeus (l aquila e la folgore) e sugli dei stessi tra i quali è selezionato Ares perché, come dio della guerra, è in apparenza il più insensibile e ostile all armonia e alla concordia ispirate dalla cetra 63». Nelle Argonautiche ritroviamo una visione assai simile 64 62 Cfr. Callimaco, Inni, Epigrammi, Ecale, a cura di G.B. D'Alessio, Milano 1996, p.15. Il bersaglio di Pindaro era, probabilmente (di questo parere è anche Callimaco), Simonide di Ceo (556?-467 a. C.). L'avidità di Simonide, del resto, trova puntuale conferma nel famoso aneddoto dei muli contenuto nella Retorica aristotelica (1405 b 23-28). Ma ancora prima della testimonianza del filosofo un passo della Pace (vv. 697-698) di Aristofane ci rivela che l'avidità del poeta doveva essere ormai sulla bocca di tutti. Cfr. anche lo pseudo-platonico Ipparco (228C) e Ateneo (XIV, 656D), dove oltre all'avidità del poeta viene messo in rilievo il ruolo di cortigiano (alla corte di Ipparco e di Ierone di Siracusa). 63 Cfr. Le Pitiche, op. cit., p. 13. 64 Il passo pindarico potrebbe essere stato tenuto presente da Apollonio per alcuni motivi: alla celebrazione del potere del canto segue, nella Pitica I, un riferimento a quelle forze ostili (Tifone) al dominio di Zeus (e alla poesia) destinate inesorabilmente ad essere sottomesse. Come ha osservato Gentili (Le Pitiche, op. cit., p. 13) «in Pindaro esso (Tifone) è il paradigma del disordine e dell ingiustizia che minaccia il giusto ordinamento divino». In Apollonio, invece, Orfeo, mentre incanta gli Argonauti con la sua musica e il suo canto, racconta le fasi che hanno portato all instaurazione del potere e dell ordine cosmico di Zeus (Ofione-Eurinome/Crono-Rea/Titani/Zeus). In tutti e due i testi troviamo anche un preciso riferimento alla folgore di Zeus: nel poeta tebano è spenta (vv.5-6) dalla cetra d oro di Apollo e delle Muse, mentre nelle 89
in un passo famoso 65 del primo libro (vv.494-515) in cui Orfeo 66 placa un litigio scoppiato tra gli eroi grazie al suo canto. Attraverso il dotto riferimento empedocleo 67 della funesta contesa cosmica Argonautiche è lo strumento attraverso cui si attua la supremazia del dio (vv.510-511). Ancora: se in Pindaro attraverso l immagine dell aquila di Zeus che dorme (vv.6-10) viene assimilato «il potere della cetra a quello degli dei che nell epos omerico versano il sonno sui mortali» (Le Pitiche, op. cit., pp. 330-331), nelle Argonautiche subito dopo il canto di Orfeo e una libagione a Zeus si fa riferimento al sonno ristoratore degli Argonauti (v.518). 65 L episodio è stato ripreso in ambito latino almeno da due autori: Virgilio e Valerio Flacco. Il primo sembra rifarsi ad Apollonio sia nelle Bucoliche che nel poema epico. Nell'Egloga VI (31-40), infatti, Virgilio mette in bocca a Sileno un vero e proprio canto cosmogonico in cui vengono fusi elementi empedoclei ed epicurei mediante allusioni linguistiche a Lucrezio. Nell'Eneide (I, 742-746), invece, è l'aedo Iopa che durante il banchetto offerto da Didone ai profughi troiani riprende alcuni spunti che già erano stati trattati da Sileno. Ancora più significativa, perché in questo caso la dipendenza dal poema ellenistico è palese, è la rielaborazione di Valerio Flacco. Nel poema latino (I, 277-282) sussistono notevoli differenze rispetto all'originale: manca del tutto il riferimento a una lite tra gli Argonauti e Orfeo canta durante la notte precedente alla partenza degli eroi un canto incentrato sui precedenti della spedizione (la storia di Frisso e Elle). In ambito greco bisogna menzionare almeno il testo anonimo delle Argonautiche orfiche (V sec. d. C.). Anche in questa opera Orfeo è il protagonista di un canto teogonico (vv. 419-441). Rispetto ad Apollonio, che è comunque la fonte di ispirazione più significativa, però, il contesto è completamente diverso: il canto è ambientato nell'antro in cui vive Chirone ed è inserito nel contesto di una amichevole gara canora tra il centauro e il mitico cantore (manca, dunque, il riferimento al νεῖκος). È anche interessante notare che ai vv. 433-439 viene ripreso il tema (già trattato da Apollonio in I, 26-31) delle querce della Pieria mosse dal canto di Orfeo. Sulle riprese virgiliane del canto di Orfeo delle Argonautiche cfr. A. La Penna, Da Lucrezio a Persio, Milano 1995 pp. 169-176. 66 Sulla partecipazione di Orfeo all'impresa degli Argonauti cfr. G. Iacobacci, Orfeo Argonauta, in Orfeo e l'orfismo, a cura di A. Masaracchia, Roma 1993, pp. 77-92. Si aggiunga che la più antica attestazione della presenza di Orfeo alla spedizione degli Argonauti è rappresentata dalla metopa del Tesoro dei Sicioni a Delfi (VI, ac. C.), dove il poeta è raffigurato con la lira accanto alla nave. 67 Cfr. Empedocle, DK 31 B 15. Riguardo agli echi empedoclei in Apollonio cfr. P. Kyriakou, Empedoclean Echoes in the Argonautica of Apollonius Rhodius, in «Hermes», 122 (1994), pp. 309-319. 90
(v.498) il poeta ellenistico si appropria di alcuni elementi teogonici (Ferecide di Siro 68 ed Esiodo) e celebra il magico potere della poesia ricollegando abilmente il νεῖκος cosmico a quello degli Argonauti. Chiara, dunque, l analogia tra le forze della natura che hanno portato le cose all esistenza e il potere del cantore che ripristina un ordine momentaneamente sconvolto 69. Del resto, il ruolo di Orfeo e, implicitamente, quello della poesia era emerso già a partire dall apertura del poema in cui, elencando gli eroi che hanno partecipato all impresa, Apollonio aveva aperto tale catalogo proprio con il mitico cantore e i suoi miracoli (I, 23-34) compiuti sulle forze della natura (rocce, fiumi, querce 70 ). E sarà proprio il cantore di Tracia a salvare gli Argonauti in un momento difficile della fase di ritorno: l incontro con le Sirene (IV, 905 segg.). Se leggiamo le pagine di Pindaro e dei grandi maestri della poesia ellenistica possiamo trovare la presenza di un marcato individualismo che, come abbiamo visto, è caratterizzato dall uso del tempo non lineare e da precise dichiarazioni di stile e poetica. Nelle Argonautiche questo aspetto trova un possibile parallelismo in tutta quella serie di interventi diretti del narratore che interrompono il fluire del racconto per manifestare stati d animo o per esprimere commenti sulle azioni dei personaggi. Per noi 68 Da Ferecide di Siro, filosofo del VI a. C. e maestro di Pitagora, deriva il mito di Ofione e Eurinome, predecessori di Crono e Rea. Su questa teogonia, considerata la più antica opera greca in prosa, cfr. A. Chiappelli, Sulla teogonia di Ferecide di Siros, in Rendiconti dell'accademia dei Lincei 4 (1889), pp. 230 segg. e il recente contributo di S. Caneva-V. Tarenzi, Il lavoro sul mito nell'epica greca: letture di Omero e Apollonio Rodio, Pavia 2007. 69 Va ricordato che prima del canto di Orfeo l argonauta Ida aveva sovvertito a parole l ordine cosmico-religioso scagliandosi contro uno dei profeti della spedizione, Idmone, e affermando «in guerra acquisto gloria più di ogni altro né Zeus mi dà forza al pari della lancia» (vv.467-468). A queste parole blasfeme si contrappone il canto teogonico orfico in cui viene prefigurato il dominio di Zeus (vv.508-511). 70 L azione di Orfeo sulle querce è ricordata anche nell incipit di un epigramma di Antipatro di Sidone contenuto nell Antologia Palatina (VII, 8, 1). Riguardo all effetto della musica del mitico cantore cfr. le Baccanti di Euripide (vv. 562 segg.). 91
moderni lettori di romanzi tutto ciò può sembrare naturale, ma per un componimento epico, che di statuto prevede una quasi totale impersonalità del poeta, il fatto è senza dubbio degno di nota. Nello specifico vi sono alcuni casi in cui Apollonio, come Pindaro, interviene nella narrazione o per manifestare la propria ritrosia nel riferire episodi mitici macabri e raccapriccianti 71 o semplicemente per allontanare da sé l'accusa di empietà. Ad esempio, in II, 705 segg. Apollonio si scusa con il suo pubblico per aver insinuato che le chiome di Apollo non erano intonse, oppure in IV 984-985 chiede scusa alle Muse per aver affrontato il tema sconveniente dell'evirazione di Urano da parte di Crono. Il precedente più celebre di questo approccio nei confronti del mito si ritrova nell'olimpica I (vv. 46 segg.) in cui Pindaro rigetta la famosa e raccapricciante storia del banchetto offerto da Tantalo agli dei 72. Ma è altrettanto interessante l'intervento dell Olimpica IX in cui il poeta afferma di voler passare sotto silenzio 73 (v.36 ἀπό µοι λόγον/τοῦτον, στόµα, ῥῖψον) il tema della teomachia di Eracle contro Poseidone, Apollo e Ade. Questa visione del mito inteso come oggetto di discussione critica rappresenta senza alcun dubbio uno dei tratti più difficili da comprendere per un pubblico moderno abituato a ragionare sulla base di concetti religiosi quali ortodossia o eresia. In realtà, nel mondo greco, mancando testi rivelati e universalmente validi, il poeta poteva attingere liberamente dal repertorio dei miti con intenti di volta in volta diversi e aperti a nuove interpretazioni 74. In tal senso, il caso delle opere drammatiche è emblematico. Questo atteggiamento nei confronti della storia sacra spiega, pertanto, la nascita e la diffusione di forme di pensiero come quelle di Senofane di Colofone e, in 71 Cfr. I, 913-921; IV, 247-250. 72 Su questo intervento di Pindaro cfr. H. Fränkel, op. cit., pp. 680-682. 73 Un altro interessante esempio di recusatio nella poesia lirica si ritrova, ad esempio, nell Encomio di Policrate (PMGF S 151) di Ibico in cui il poeta esprime il rifiuto (espresso nella forma della praeteritio) per una poesia di argomento bellico (la guerra di Troia). 74 Un elenco di alcuni significativi interventi dei poeti sul mito si trova in Fränkel (1997), op. cit., pp. 742-744. 92
generale, di tutti i presocratici. Nel caso di Pindaro va detto che, comunque, un simile uso del mito più che avere delle precise implicazioni filosofiche 75 è strettamente connesso alle aspettative e allo status del destinatario e del pubblico. Si ritrova, inoltre, nei nostri poeti anche la preoccupazione di non suscitare sul destinatario un senso di noia come conseguenza di una prolissità narrativa 76. In Pindaro il problema assume spesso la dimensione di sazietà (κόρος) generata sul pubblico 77, mentre nel poeta ellenistico tale aspetto è legato alla poetica callimachea (il celebre ἄεισµα διηνεκές 78 del prologo degli Aitia) del rifiuto di una narrazione continua 79. Per quanto riguarda 75 Cfr. Fränkel (1997), op. cit., pp. 682-683. 76 La critica tedesca parla di Abbruchsformeln (in inglese il concetto è reso con break-off formulas ). Cfr. W. Schadewaldt, Der Aufbau des Pindarischen Epinikion, Halle 1928, pp. 267-268; 286; 312. 77 I riferimenti sono contenuti nella Pitica IV (247-249); VIII (vv. 29 segg.), nella Nemea VII, 50 segg. e X, 19 segg.. Si noti che l'abbruchsformeln viene spiegato da Mackie proprio come a safeguard against κόρος excess. Per un ampia trattazione di questa tematica cfr. H. Mackie, Graceful errors:pindar and the performance of praise, Michigan 2003, pp. 9-37. Questo aspetto, comunque, era già stato osservato anni prima da Untersteiner in La formazione poetica di Pindaro, Messina 1951, pp. 65 segg.. 78 Concetto ripreso da Orazio nell'ode VII del primo libro (v. 6 carmine perpetuo ) e da Ovidio nelle Metamorfosi (I, 4 perpetuum...carmen ). Si tratta, fondamentalmente, del rifiuto nei confronti del poema epico omerico di vaste dimensioni. Callimaco, come è noto, non attacca Omero (poeta considerato dagli alessandrini divino e insuperabile), ma i suoi seguaci e gli stanchi imitatori. Ad ogni modo, sarà Esiodo la vera fonte dell ispirazione callimachea (ma si pensi anche a Teocrito e Arato). La motivazione più evidente di questa scelta deriva non solo dalla materia più umile trattata nelle Opere e i Giorni e l interesse per un mondo meno eroico, ma anche dal fatto che Esiodo interviene direttamente nei suoi poemi mettendo in luce alcuni aspetti della sua personalità. Sono importanti, pertanto, gli espliciti riferimenti esiodei nell epigramma XXVII e in Aitia fr. 2. Dal punto di vista linguistico-stilistico, d altra parte, la poesia esiodea si presta alle esigenze degli alessandrini in virtù di un uso più parco dello stile formulare omerico (considerato in età ellenistica pesante e ripetitivo). 79 Questi i passi più significativi: I, 648-649; I, 1220. Va osservato l'uso dell'avverbio διηνεκέως derivato da un passo omerico (Od., IV, 836) e 93