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ΑΡΙΣΤΟΤΕΛΕΙΟ ΠΑΝΕΠΙΣΤΗΜΙΟ ΘΕΣΣΑΛΟΝΙΚΗΣ ΦΙΛΟΣΟΦΙΚΗ ΣΧΟΛΗ ΤΜΗΜΑ ΙΤΑΛΙΚΗΣ ΓΛΩΣΣΑΣ ΚΑΙ ΦΙΛΟΛΟΓΙΑΣ GIOVANNINA RUSSO ΚΑΡΑΛΗ ΤΟ ΤΕΛΕΥΤΑΙΟ ΤΑΞΙ Ι ΤΟΥ Ο ΥΣΣΕΑ ΣΤΗΝ ΙΤΑΛΙΚΗ ΛΟΓΟΤΕΧΝΙΑ ιδακτορική ιατριβή ΘΕΣΣΑΛΟΝΙΚΗ 2003

ΤΟ ΤΕΛΕΥΤΑΙΟ ΤΑΞΙ Ι ΤΟΥ Ο ΥΣΣΕΑ ΣΤΗΝ ΙΤΑΛΙΚΗ ΛΟΓΟΤΕΧΝΙΑ ΣΥΜΒΟΥΛΕΥΤΙΚΗ ΕΠΙΤΡΟΠΗ Φοίβος Γκικόπουλος, Μαριάννα ήτσα Αντώνιος Μπουσµπούκης, επιβλέπων καθηγητής, αναπληρωτής καθηγητής του Τµήµατος Ιταλικής Γλώσσας και Φιλολογίας µέλος επιτροπής, καθηγήτρια του Τµήµατος Ιταλικής Γλώσσας και Φιλολογίας µέλος επιτροπής, αναπληρωτής καθηγητής του Τµήµατος Ιταλικής Γλώσσας και Φιλολογίας

Lo maggior corno de la fiamma antica cominciò a crollarsi mormorando, pur Inferno: Canto XXVI (85-142)

3 PREFAZIONE Nel presente lavoro si esamina inizialmente la figura di Ulisse così come viene presentata da Dante nell Inferno, dove l eroe greco racconta il suo ultimo viaggio. L analisi condotta intende, da un lato, mettere in relazione la versione dantesca con il repertorio mitologico e letterario precedente, dall altro analizzare, attraverso una minuziosa rassegna critica, il significato ideologico ed esistenziale del racconto di Dante, mettendolo in relazione sia con la problematica individuale del poeta, sia con quella filosofica del tempo in cui egli visse. Successivamente viene condotta un indagine dettagliata sulle opere della letteratura italiana, per verificare in quali di esse ricompaia la figura di Odisseo e in particolare il racconto del suo ultimo viaggio. Tale indagine permette di evidenziare eventuali somiglianze o divergenze rispetto al racconto dantesco ed a quello omerico e di identificare la realtà culturale e socio-economica sottesa a tali variazioni. Il presupposto di partenza, confermato poi dal lavoro condotto, è che la figura di Ulisse continua secondo una linea diacronica ininterrotta a comparire nella produzione artistica di tutti i secoli, naturalmente con i riadattamenti imposti dalle esigenze del tempo; è comunque, in linea di massima, la lezione dantesca a fare da tramite tra l antico ed il moderno, soprattutto per quanto riguarda il significato archetipico di questa figura come modello dell eroe assetato di conoscenza. La presente ricerca è dunque esclusivamente bibliografica. Perciò il lavoro è consistito nella consultazione di testi recuperati nelle principali biblioteche di Milano: la Sormani, la Comunale, le biblioteche di Brera, dell Università Cattolica e della Statale. Tale ricerca ha richiesto molto tempo, considerando soprattutto la lontananza dall Italia: essa è stata condotta nel corso di alcuni soggiorni italiani, di brevi ma frequentissimi viaggi a Milano e grazie all aiuto di persone disponibili a fotocopiare il materiale da me indicato ed a spedirlo in Grecia. Un ringraziamento particolare va ai tre membri della commissione: al relatore, Professor Febo Ghicopoulos, che ha seguito attentamente il lavoro; ai contro-relatori, Professoressa Marianna Ditsa e Professor Antonio Bousboukis, che hanno gentilmente accettato di far parte della Commissione e di occuparsi del presente dottorato di ricerca. Un grazie caloroso è dovuto alla Professoressa Costantina Evanghelou, che mi ha aiutato nella traduzione del riassunto e a tutti coloro che mi hanno incoraggiato a tener duro, quando gli ostacoli, soprattutto per la lontananza dall Italia, sembravano insormontabili.

4 INTRODUZIONE 1. PERCHÉ ULISSE Nel primo verso dell Odissea Ulisse viene definito πολύτροπος, traducibile, con una versione italiana che non rende pienamente giustizia alla poesia omerica, in versatile, di multiforme ingegno, scaltro ; appena due versi più sotto si dice di lui: di molti uomini le città vide e conobbe la mente molti dolori patì in cuore sul mare 1 pochi versi che bastano a spiegare il fascino esercitato da questa figura sull immaginario collettivo. Nell ambito della letteratura occidentale, infatti, molte sono le figure archetipiche, che con ampia diffusione di temi e di tempo, ricorrono reinterpretate e trasformate dagli autori, ma indubbiamente quella di Ulisse 2 è una tra le più paradigmatiche 3. Bernard Andreae definisce Ulisse come il prototipo dell uomo europeo 4, in quanto padroneggia le difficoltà della vita con previdenti disegni 5, ed è il primo della letteratura mondiale a decidere delle proprie azioni, e a non dipendere più esclusivamente dal destino o dalla volontà degli dei 6. Ulisse dunque rappresenta pienamente la profonda evoluzione della società del suo tempo e, dimostrandosi aperto al futuro, è nel medesimo tempo antico e moderno. Secondo Piero Boitani, infatti, Ulisse rappresenta l archeologia dell immagine europea dell uomo: le sue vicende costituiscono un punto d osservazione ideale per misurare le differenze e le consonanze tra l alterità del passato e la modernità del presente. Eroe della continuità e della metamorfosi, può forse congiungere dentro di noi quelle «due rive del tempo» fra le quali vive ogni cittadino d Europa e ogni figlio della sua civiltà in tutti i continenti 7. Tra gli eroi omerici Ulisse è indubbiamente il più moderno perché rompe con gli schemi arcaici per rischiare, affacciandosi sull ignoto. In tal senso egli permane nella memoria collettiva, oltre che per la proverbiale astuzia, per aver dato alle grandi questioni esistenziali risposte diverse da quelle degli eroi, così insopportabilmente tutti d un pezzo. È insomma pari a noi uomini e 1 Odissea, Libro I, vv. 3-4; traduz. di Rosa Calzecchi Onesti, Einaudi, Torino, 1963 2 Ulisse o Odisseo? Il primo è l appellativo latino che deriva probabilmente da ουλή (cicatrice, vulnus in latino) e σχίον (anca), riferendosi alla cicatrice provocata da un colpo di zanna di cinghiale, grazie alla quale sarà riconosciuto dalla vecchia nutrice al suo ritorno ad Itaca. Il secondo, che significa letteralmente odiato o irato (da οδυσσόµαν ) è il nome greco usato appunto da Omero. Nel corso di questo elaborato verranno adottati entrambi gli appellativi, ma con una prevalenza del primo, che più spesso ricorre nella letteratura italiana. 3 Termini come Odissea ( serie di avventure, di peripezie, di disgrazie, Dizionario Garzanti della lingua italiana, 1965) o come ulissismo, che sta ad indicare la natura inquieta di chi per un bisogno insopprimibile dell animo umano, erra alla ricerca di qualcosa che lo appaghi soprattutto spiritualmente, sono entrati nel lessico comune, poiché è noto che la fortuna di un nome è consolidata quando da proprio diventa comune (paradossalmente la minuscola è un segnale di importanza ). 4 Bernard Andreae, L immagine di Ulisse, Mito e archeologia, Einaudi, Torino, 1983, p. XX 5 Ibid., p. XXII 6 Ibid., p. 3 7 Piero Boitani, L ombra di Ulisse, Il Mulino Bologna, 1992, p. 12

5 non pari ad un dio 8. Infatti, come un uomo, trama vendette, dice menzogne, è opportunista e pragmatico, possiede capacità tecniche non comuni (è l inventore del cavallo di legno, nonché il costruttore di zattere e, se occorre, è abile navigatore, ecc.). Nella guerra di Troia ha fatto il suo dovere di combattente, eccellendo maggiormente però nell arte della retorica, della persuasione e dell inganno. La sua esperienza di viaggiatore e scopritore di terre e di popoli ne fa un simbolo dell amore per la scienza e la sapienza, nonché, in quanto navigatore, il prototipo di una civiltà, che ha nel mare il suo fondamento e la sua ragion d essere. Per questi motivi (e per molti altri che via via verranno in luce) la figura di Ulisse è nei secoli una costante nella poesia e nella letteratura in genere, talvolta riaffiorando in maniera proteiforme e variegata, ma sempre esercitando un fascino forse senza uguali. Osserva acutamente Bernard Andreae che si tratta di un uomo che come individuo non è vissuto e però resta vitale, non è una personalità storica ma è divenuto il prototipo dell uomo dinamico, sicuro di sé, che riflette sul suo destino e reagisce consapevolmente, insomma un nuovo tipo umano rappresentativo. 9 2. L ULTIMO VIAGGIO DI ULISSE Nel corso dei secoli il mito di Ulisse è stato variamente interpretato ed ha assunto una valenza differente in relazione al momento storico e agli ideali filosofici, politici e culturali di ciascuna civiltà, di cui si seguirà l evoluzione attraverso le diverse fasi della storia letteraria italiana. Nell ambito di questo excursus si tratterà principalmente di Ulisse in quanto viaggiatore per eccellenza, con particolare riguardo all ultimo viaggio, che nella letteratura italiana ha più spesso come direzione un altrove, quasi in contrapposizione al νόστος omerico. A questo proposito vale la pena di ricordare quanto dice Hans Blumenberg: Odisseo è una figura dalla qualità mitica non solo perché il suo ritorno in patria si muove secondo lo schema della chiusura del cerchio, che garantisce il rispetto dell ordine del mondo e della vita contro ogni apparenza di arbitrio e di casualità. Lo è anche perché compie il ritorno vincendo le resistenze più incredibili, non solo quelle delle avversità esterne, ma anche quelle dello sviamento interiore e della paralisi di ogni motivazione. La figura mitica dà pregnanza immaginativa ad un fenomeno elementare onnipresente nel mondo della vita; infatti il valore della meta dell azione cresce per il semplice fatto che l esecuzione viene ostacolata: in tal senso Odisseo è una figura della sofferenza che sbocca nel successo. 10 Italo Calvino, a proposito del νόστος di Ulisse, asserisce che il ritorno va individuato e pensato e ricordato: il pericolo è che possa essere scordato prima che sia avvenuto. Difatti una delle prime tappe del viaggio raccontato da Ulisse, quella presso i Lotofagi, comporta il rischio di perdere la memoria per aver mangiato il dolce frutto del loto. Ma, a ben vedere, questa della 8 Paolo Granzotto, Ulisse, Rizzoli, Milano, 1988, p. 26 9 Bernard Andreae, op. cit., p. 190 10 Hans Blumenberg, Elaborazione del mito, Il Mulino, Bologna, 1991, pp. 106-108

6 smemoratezza è una minaccia che nei canti IX e XII si ripropone più volte: prima con l invito dei Lotofagi, poi con i farmaci di Circe, poi ancora col canto delle Sirene. Ogni volta Ulisse deve guardarsene, se non vuole dimenticare all istante la casa, la rotta della navigazione, lo scopo del viaggio. L espressione che Omero usa in questi casi è scordare il ritorno : Ulisse non deve dimenticare la strada che deve percorrere, la forma del suo destino, insomma non deve dimenticare l Odissea. 11 E sul tema del dimenticare il futuro già nel 1975 Calvino scriveva, sul Corriere della Sera, che, a salvare Ulisse dal loto, dalle droghe di Circe, dal canto delle Sirene, non è solo il passato o il futuro. La memoria conta veramente - per gli individui, le collettività, le civiltà - solo se tiene insieme l impronta del passato e il progetto del futuro, se permette di fare senza dimenticare quel che si voleva fare, di diventare senza smettere di essere, di essere senza smettere di diventare 12 ; lo scrittore mostra così di aver ben colto il nocciolo della questione: Ulisse infatti viene spesso rappresentato nella letteratura italiana come colui che dimentica il ritorno. Un altro fine studioso, Edoardo Sanguineti, definisce il viaggio di Ulisse come viaggio di ritorno, alla ricerca di un futuro che è in realtà il suo passato. L Ulisse omerico, in altre parole, è tutto proteso verso una Restaurazione, approda cioè al recupero del suo passato come un presente: la sua saggezza è la Ripetizione, e lo si può riconoscere bene dalla Cicatrice che porta, e che lo segna per sempre. Un giorno però il vero Ulisse, il grande Ulisse, è diventato quello dell Ultimo Viaggio: per il quale il futuro non è per niente un passato, ma la Realizzazione di una Profezia, cioè di una vera Utopia. 13 Il critico parla di vero Ulisse e grande Ulisse (quasi fosse più vero e più grande di quello omerico che torna a Itaca), come di colui che è alla ricerca della realizzazione di un utopia (il seguir virtute e canoscenza?), spinto da una profezia (quella di Tiresia, che gli prefigura, dopo la vendetta sui Proci, di ripartire finché a genti tu arrivi che non conoscono il mare, non mangiano cibi conditi col sale, non sanno le navi dalle guance di minio né i maneggevoli remi che son ali alle navi 14?). Quando gli eroi saranno morti, o antiquati, Odisseo guarderà ancora verso il mare da cui si aspetta la morte fantasticando di ripartire, forse verso la terra dove gli uomini non conoscono il sale. 15 Questo atteggiamento di Ulisse ce ne ricorda uno molto simile, ad Ogigia, quando, seduto su uno scoglio, piangeva di fronte al mare. Ogni sera, al tramonto, tornava alla caverna. Si cibava 11 Italo Calvino, Sarà sempre Odissea, in la Repubblica, Milano, 21 ottobre 1981, ora Le Odissee nell Odissea in Saggi 1945-1985, a cura di Mario Barenghi, tomo I, Mondadori, Milano, 1995, p. 889 12 Italo Calvino, Il fischio del merlo, in Corriere della Sera, Mondadori, Milano, 10 agosto 1975 13 Edoardo Sanguineti, Ricordando il futuro, in Paese Sera, Roma, 21 agosto 1975, ora in Giornalino 1973-75, Einaudi, Torino, 1976 14 Odissea, op. cit., Libro XI, vv. 122, 125 15 Roberto Calasso, Le nozze di Cadmo e Armonia, Adelphi, Milano 1988, p. 391

7 del suo cibo da uomo, rifiutando l ambrosia e il nettare rosso di cui si nutriva Calipso, che lo guardava, sperando che li assaggiasse perchè così sarebbe diventato immortale e senza vecchiaia. Ma Odisseo non fece mai quel gesto 16. Ulisse rinuncia dunque all immortalità per tornare sul mare, benchè Calipso cerchi in tutti i modi di distoglierlo ( Vedi, questo fa il mare. E al mare vorresti affidarti? 17 ): è l ultimo fra gli eroi a ritornare, ma è anche colui che prolunga sino all estremo il contatto con le potenze primordiali 18 e con gli esseri mostruosi che popolano quei luoghi e quei tempi, esseri tra i quali rientrano le Sirene, che rappresentano il fascino sinistro della poesia, del sapere e della morte 19. Noi tutto sappiamo quello che avviene sulla terra nutrice 20 : le Sirene dunque per Ulisse sono una tentazione di tipo erotico, ma anche, e forse soprattutto, un richiamo di conoscenza. Ulisse, ricordando il consiglio di Circe, vuole mettersi al riparo dalla tentazione di cedere al canto (si fa legare all albero della nave dai compagni), ma non vuole rinunciare all ascolto del canto: è la stessa curiosità che lo porterà, secondo Dante, a seguire la sua sirena del divenir del mondo esperto. Cosa cantano le Sirene? si chiede Italo Calvino. Un ipotesi possibile è che il loro canto non sia altro che l Odissea. Lo scrittore vede addirittura nel poema la tentazione di riflettersi come in uno specchio, come accade varie volte, specialmente nei banchetti dove cantano gli aedi, e sono appunto le Sirene che danno al proprio canto questa funzione di specchio magico 21. Dicono infatti che stanno cantando e che vogliono essere ascoltate, perchè il loro canto è quanto di meglio possa essere cantato. Quella di Ulisse quindi, al loro cospetto, diventa un esperienza lirica, musicale, ai confini dell ineffabile. È una suggestiva congettura, che ci lascia, se non convinti, almeno affascinati. Dopo aver sperimentato questa ineffabilità l Ulisse omerico, uscito indenne dal tentativo di seduzione, lungi dal dimenticare il ritorno, prosegue il cammino pronto ad affrontare i pericoli che nell immediato futuro si presentano a lui e ai suoi compagni. Ma chi sono veramente le Sirene?, si chiede Piero Boitani. Esseri oscuri del mondo sotterraneo come voleva Platone nel Cratilo? O come Platone stesso proponeva nella Repubblica, esseri celesti che intonavano la musica delle sfere; quindi, per un età successiva, angeli? Simboli del desiderio mondano e del piacere dei sensi, cortigiane e prostitute come credeva l ellenismo, o icone del sapere, sul tipo delle doctae Sirenes celebrate da Ovidio? 22 Non è possibile dare un immagine immutabile e un interpretazione univoca della natura e della funzione di questi esseri, che nel corso dei secoli, in tutta l area europea e mediterranea, vennero descritti 16 Ibid., pp. 412-413 17 Ibid., p. 412 18 Ibid., p. 390 19 Piero Boitani, op. cit., p. 193 20 Odissea, op. cit., Libro XII, verso 191 21 Italo Calvino, I livelli della realtà in letteratura (relazione al Convegno internazionale Livelli della Realtà, Palazzo Vecchio, Firenze, 9-13 settembre 1978) ora in Saggi, op. cit., tomo. I, pp. 396-397 22 Piero Boitani, op. cit., p. 28

8 diversamente da poeti e scrittori. Anche il loro numero è incerto (da due a quattro o più), a seconda delle fonti, come del resto i loro nomi e il loro aspetto fisico: da donna-uccello (simili alle Arpie) a donna-pesce, che compare nell epoca post-classica e così è giunta fino a noi nel nostro immaginario. Sono comunque anch esse una costante presenza nella letteratura italiana, che, come vedremo, ci accompagnerà fino ai giorni nostri, con la loro multiformità e la loro seduzione intellettuale 23. Per resistere a questa seduzione non bastarono le corde che lo legavano all albero maestro: Ulisse, in preda ormai alla «curiosità», avvinto dal canto delle sirene, mosse alla ricerca dell ignoto al di là delle Colonne d Ercole 24 : l ultimo viaggio, con il conseguente naufragio, furono il capolavoro delle sirene, creato a lunga distanza 25. 3. CONSIDERAZIONI SUL MITO Il termine greco µύθος significa parola, discorso, racconto ; perciò ci si riferisce sempre all ambito del dire, dapprima nella tradizione orale, preludio alla letteratura vera e propria. Afferma Franco Ferrucci che tra mito e letteratura non esiste differenza di fondo. Il mito è anzi la forma primaria dell esperienza artistica narrativa. Nelle società primitive del nostro tempo gli antropologi sono in grado di sorprendere questa esperienza ancora nella sua fase orale, attraversata all inizio da tutte le civiltà che hanno creato in seguito una mitologia scritta, quella letteraria. 26 Nel mito esiste inoltre un nucleo di pensiero filosofico e scientifico. Vi compaiono infatti continuamente ipotesi scientifiche, abbozzi filosofici e indagini naturalistiche, nell intento di rappresentare narrativamente il mondo e al tempo stesso di spiegarlo. Senza questi due aspetti non si ha mito, che è appunto il tentativo di chiarire l universo attraverso un racconto. 27 Secondo Furio Jesi, l etimologia induce a riconoscere nella parola mythologìa una mescolanza di contrari, delle parole cioè mũθos e logos. Infatti nell antichità l uomo completo doveva saper unire all agire, simboleggiato dalla destrezza nell uso delle armi, il talento di agire con le parole come Odisseo, l eroe dai molteplici modi nel discorso ( polytropos ), che fu pure valoroso guerriero. La storia della parola mũθos è inizialmente, a partire da Omero, storia della retorica e in particolare dell eloquenza, che, nell eroe omerico buon parlatore, come Odisseo, è alimentata da almeno due facoltà, l astuzia di usare le parole giuste al momento giusto e la capacità di attingere ad un repertorio di storie preesistenti. 28 Lo stesso Jesi comunque ammette, a proposito della mescolanza di contrari, che nel greco del V secolo le parole mũθos, logos, mitologia, ecc. erano suscettibili di notevoli oscillazioni 23 Cesare Segre, Prefazione a: Il canto delle Sirene di Maria Corti, Bompiani, Milano, 1999, p. VIII 24 Maria Corti, op. cit., p. 28 25 Ibid., p. 32 26 Franco Ferrucci, Il mito in Letteratura Italiana diretta da A. Asor Rosa, Einaudi, Torino, 1986, volume. V, p. 513 27 Ibid., p. 514 28 Furio Jesi, Mito, Enciclopedia Filosofica, ISEDI, Milano, 1973, p. 15

9 semantiche. 29 Egli cita, a questo proposito, la definizione di Platone nella Repubblica (III - 392a), dove si parla di µύθος (racconto) e poco più avanti se ne precisa l argomento: περί...θε ν καί περί δαιµόνων τε καί ρώων καί τ ν âν Aιδου (riguardo a dei, demoni, 30 eroi e abitanti dell Ade). A loro volta Wellek e Warren ricordano che il termine mito ricorre nella Poetica di Aristotele nella accezione di «intreccio», «struttura narrativa», di cui il termine opposto e contrario è logos. Il mito è narrazione, racconto e, al contrario del discorso dialettico, esposizione; ed è pure irrazionale e intuitivo, al contrario di quanto è sistematicamente filosofico: insomma è la tragedia di Eschilo di fronte alla dialettica di Socrate. La critica moderna vede, nel termine mito, un importante zona di significato, condivisa anche dalla religione, dal folklore, dall antropologia, dalla sociologia, dalla psicanalisi e dalle belle arti, antitetica alla storia, alla scienza, alla filosofia e alla verità. 31 Franco Ferrucci, riferendosi alla differenza tra mito, logos e mitologia, dichiara che essa gli pare largamente fittizia. Infatti si basa sul presupposto che un mito sia indipendente dal logos, cioè che un mito abbia vita prima di essere raccontato. In realtà il mito non esiste prima di essere raccontato, e se anche esistesse non verrebbe ricordato. Il racconto può essere rivolto a se stessi o agli altri, in forma orale o scritta; passare dal primo al secondo stadio, in entrambi i casi, vuol dire tentare di far sì che il mito sopravviva. Non c è mito che non sia già mitologia, ovvero racconto del mito, la sola differenza è quella già accolta nel nostro linguaggio: il mito è singolare (il mito di Edipo ), la mitologia è un insieme di miti (la mitologia greca ). Prima di risolversi nel logos, il mito è incompiuto e fantomatico. Esso sopravvive solo all interno di una tradizione scritta che ha selezionato una massa di fatti, eventi e situazioni presenti nella tradizione orale e nell immaginazione preletteraria. 32 Ferrucci conclude così quanto in precedenza aveva già affermato Karoly Kerenyi, che la mitologia cioè in quanto arte e la mitologia in quanto materiale (dunque in quanto miti ) sono fuse in un unico, identico fenomeno, nello stesso modo in cui lo sono l arte del compositore e il suo materiale, il mondo sonoro. 33 Hans Blumenberg, dopo aver affermato che la linea di confine tra mito e logos è immaginaria 34, osserva come i miti siano storia con un alto grado di stabilità nel loro nucleo narrativo e con una variabilità marginale altrettanto marcata. Queste due caratteristiche ne facilitano la tradizione: la loro stabilità stimola a riconoscerli anche in rappresentazioni artistiche o rituali, la loro modificabilità solletica a sperimentare mezzi nuovi e personali di presentazione. I miti non sono dunque come dei testi sacri, nei quali non si può cambiare 29 Ibid., p. 18 30 Ιn italiano questo termine è difficilmente traducibile: si tratta di divinità inferiori, non diavoli come nella fede cristiana, che influiscono sulle sorti umane. 31 René Wellek, Austin Warren, Teoria della letteratura, Il Mulino, Bologna, 1965, pp. 259-260 32 Franco Ferrucci, op. cit., p. 515 33 Carl Gustav Jung, Karoly Kerenyi, Prolegomeni allo studio scientifico della mitologia, Einaudi, Torino, 1972, p. 15 34 Hans Blumenberg, op. cit., p. 35

10 nemmeno una parola, anzi, il repertorio del mostruoso e dell insopportabile decresce quanto più si avvicina al tempo dell ascoltatore. 35 Egli ci dà dunque un interpretazione del mito e della metafora come costanti antropologiche. E, a proposito della seconda, distingue il simbolo dalla metafora per il fatto che un simbolo può ricorrere nel tempo e persistere mentre un immagine può apparire una volta come metafora, ma se essa ricorre con insistenza, sia come presentazione che come rappresentazione, diventa un simbolo. 36 4. IL MITO NELLA LETTERATURA ITALIANA Ci sia consentito a questo punto tracciare una sintetica storia dell interpretazione e dell utilizzazione del mito attraverso i secoli, necessario preludio alla trattazione della figura di Ulisse nell ambito della letteratura italiana. Nella cultura europea in genere, ed in particolare nella letteratura italiana, il patrimonio mitologico, sia quello greco-latino che quello derivato dalle Sacre scritture, è un fondamentale serbatoio a cui attingere, giuntoci sia attraverso i testi antichi sia attraverso rivisitazioni medioevali; e spesso vi è una ricerca di equilibrio tra le due diverse concezioni del mondo: quella classica e quella cristiana. Nel Medio Evo, come scrive Franco Ferrucci, le favole pagane continuarono ad esistere, anche se generando inquietudine, sopra un cosmo regolato dal dogma. Finché il dogma cristiano mantiene un certo controllo su di esse, allora la mitologia viene assorbita dalla dogmatica nella quale possono anche confluire i poeti pagani, reinterpretati allegoricamente. Ma, a lungo andare, affiora, sia pure lentamente, una letteratura profana, a dimostrare che il mito pagano non accetta più il ruolo di bella favola da interpretare allegoricamente e da custodire nelle biblioteche monacali. E infatti nel 200 e nel 300 nasce parallelamente una letteratura laica e una letteratura esplicitamente religiosa, a dimostrazione che i due miti sono l uno di fronte all altro. Le laudi di Jacopone sono la prova del bisogno di dare spazio letterario al mito cristiano, di fronte al dilagare di Ovidio e di Virgilio in tutti gli ambienti colti. 37 Con Dante, come vedremo in seguito, nell ambito del risveglio letterario di cui è il principale esponente, si riafferma il mito cristiano, che passa attraverso un ritorno alla classicità e ad una vasta ripresa dei miti greco-romani. Il Poeta, dunque, che non a caso sceglie Virgilio come guida, riesce a superare la distinzione medioevale tra sacro e profano, armonizzandoli tra loro nel farsi egli stesso protagonista di un rapporto con entrambe queste anime della poesia. Non per niente Dante prova nei confronti di Ulisse una venerazione simile a quella che sente verso i grandi personaggi cristiani. Nel corso del 300, pur permanendo il dualismo tra letteratura religiosa e mitologia classica, si fa strada il concetto del recupero della cultura antica, dello spirito eroico e della creatività 35 Ibid., p. 59 e p.153 36 René Wellek, Austin Warren, op. cit., p. 257 37 Franco Ferrucci, op. cit., p. 519

11 individuale: il ritorno ai classici è teorizzato dal Boccaccio e vissuto come conflitto interiore dal Petrarca. Con l Umanesimo, grazie alla scoperta del mondo ellenico e della sua cultura (in seguito al Concilio di Ferrara e Firenze del 1438-39 e alla caduta di Costantinopoli del 1453, con la conseguente migrazione di esuli che portarono in occidente il loro sapere e un numero incalcolabile di manoscritti), si attua una coesistenza indolore 38, per dirla col Ferrucci, tra mito classico e cristianesimo. Mito che, se ha talvolta una funzione meramente decorativa e formale, come accade nel Poliziano e nel Sannazaro, permea di sé tutta la cultura umanistica e rinascimentale, col tema dell eroe, dell individuo, dell uomo misura di tutte le cose. Tuttavia, paradossalmente, come osserva Furio Jesi, questa eccezionale ricchezza di espressioni mitiche e questa disponibilità ad accoglierle tennero l Umanesimo rinascimentale lontano dalla scienza del mito, e cioè da quell attività critica che indaga in termini razionali l origine, la formazione, la storia ed i valori dei miti. La possibilità di accedere direttamente a un patrimonio autentico e vastissimo rendeva utile la restituzione filologica dei testi, anche se in una dimensione intrisa di aspetti religiosi, a scapito della scienza razionale dell immagine mitica. 39 Fa eccezione il neoplatonico Giovan Battista Pico della Mirandola, che spazia dalla filosofia greca alla scienza ebraica, fino alla magia e alle speculazioni astrologiche. Egli, nel tentativo di una sintesi tra le teorie di Platone e quelle di Aristotele, si pose il problema dell essenza del mito in quanto tale e cioè in quanto simbolo e, al tempo stesso, veicolo di verità, al di là delle qualità poetiche dei suoi contenuti simbolici. 40 Con i poemi cavallereschi l atteggiamento nei confronti della mitologia è multiforme: se il Pulci tende a comicizzarla, il Boiardo infonde nuova vitalità ad una prospettiva mitologica, soprattutto quella amorosa, recuperando l esperienza del ciclo bretone. E se l Orlando Furioso rappresenta un eccezionale sforzo di creare su ciò che restava di una tradizione mitologica sentita ormai come contraddittoria 41, il Tasso cerca di conciliare le due mitologie, quella classica e quella cristiana, anche se nell ultima fase della sua attività poetica, nel clima drammatico della Controriforma, tenta la via del mito-verità del cristianesimo. Per quanto riguarda il 600 ( secolo decorativamente pagano che fa di tutto per apparire cristiano 42 ), la mitologia sacra e quella pagana vengono largamente impiegate, la prima in chiave apologetica, la seconda in chiave spesso scherzosa o decorativa come nel Marino. A parte il tentativo di riequilibrio di tipo rinascimentale da parte dell Arcadia, con una poesia largamente imitativa, nel 700 la posizione del Vico è senza dubbio tra le più interessanti, per quanto riguarda il nostro argomento. Per lui, che in pratica identifica mito e poesia, la mitologia degli antichi era l espressione di un rapporto con il «trascendente» storicamente primitivo, ma 38 Ibid., p. 528 39 Furio Jesi,, op. cit., pp. 30-31 40 Ibid., p. 32 41 Franco Ferrucci, op. cit., p. 530 42 Ibid., p. 534

12 autonomo dall ordine provvidenziale che presiede alle sorti della natura e dell uomo in essa. Era il modo con cui l umanità primitiva trovava il trascendente nel reale. 43 Questo bisogno di recupero del mito, dopo l Illuminismo, che dà a questo termine una connotazione negativa, in quanto finzione irrazionale, è particolarmente sentito dal neoclassicismo del Monti e del Canova, nonché dal Romanticismo tedesco (che lo concepisce, al pari della poesia, come una sorta di verità o equivalente della verità, e non già come un concorrente, ma come un supplemento della verità storica e scientifica 44 ), mentre i romantici italiani lo considerano irreligioso, irrazionale e inutile : perciò il Manzoni basa gli Inni Sacri sul mito sì ma su quello cristiano. Discorso a parte meritano il Leopardi e il Foscolo: il primo, partendo da un analisi dell esperienza mitopoetica individuale e collettiva, vive la fine della favola come una sciagura, per poi abbandonare anche questa nostalgia. Il secondo, dal classicismo severo e pulito 45 delle Odi, attraverso varie fasi, giungerà a ricostruire l alternativa mitica al mondo moderno 46 nelle Grazie e ad accettare le illusioni che il Leopardi rifiuta. Nell epoca successiva il concetto di mito si intreccia, ancor più che in precedenza, con le ideologie, i problemi politico-sociali e le nuove teorie filosofiche. Esso deve altresì fare i conti con la ricerca antropologica e con la teoria psicoanalitica e viene così inserito nell ambito della società primitiva e in quello psicofisiologico dell individuo. In Italia, nella seconda metà dell 800, viene a crearsi una nuova mitologia basata sul concetto di nazione, che si esplica in maniera diversa in Carducci (con le sue ballate ispirate alla mitologia nazionale), in Pascoli (con i suoi poemi ricchi di riferimenti al mondo classico) e soprattutto in D Annunzio, che, nella sua ricchissima produzione, tutto sperimenta: dal mito cristiano a quello nazionalistico, al concetto del poeta stesso elevato a figura mitica, all esaltazione eroica del mito del superuomo, dopo l incontro con le opere di Nietzsche. Negli ultimi decenni si assiste alla cosiddetta crisi del mito. Crollate ormai da tempo la sicurezza cristiana e la solidità del ricordo classico, in via di esaurimento la nuova mitologia dello scrittore rilanciata dal Romanticismo, la letteratura di questi anni ne tenta il recupero ma senza esiti significativi, 47 pur con la scoperta della letteratura americana grazie a Vittorini e a Pavese, che, tra l altro, nei Dialoghi con Leucò, sembra riportare alla mitologia classica. Condivisibile o meno la tesi del Ferrucci, che accenna alla fantascienza, in quanto nuova mitologia ( la prima mitologia del futuro sulla terra 48 ), ci piace concludere con una frase di Robert Graves, che, pur sembrando ovvia, è comunque alla base di qualsiasi studio in materia: 43 Furio Jesi, op. cit., p. 37 44 René Wellek, Austin Warren, op. cit., p. 260 45 Franco Ferrucci, op. cit., p. 540 46 Ibid., p. 542 47 Ibid., p. 548 48 Ibid., p. 549

13 La seria analisi dei miti deve iniziare con lo studio dell archeologia, della storia e delle religioni comparate, e non nel gabinetto di consultazione dello psichiatra. 49 49 Robert Graves, I miti greci, Longanesi, Milano, 1963, p. 24

14 1. L ULISSE DANTESCO 1. 1. LE FONTI Prima di affrontare l esame diretto della figura di Ulisse in Dante e l analisi del Canto XXVI dell Inferno, è indispensabile investigare quali fossero le conoscenze da parte di Dante del mito di Ulisse, cioè su quali fonti il Poeta si fosse documentato relativamente al personaggio-ulisse. Innanzi tutto occorre dire che Dante non conosceva direttamente l Odissea di Omero: i poemi omerici vennero riscoperti tramite una traduzione latina (tutt altro che eccellente, ma comunque utile agli studiosi), realizzata dal letterato calabrese 1 Leonzio Pilato per iniziativa del Boccaccio che lo aveva invitato a Firenze nel 1360 e ospitato fino al 1362. Quasi dopo un secolo, e soprattutto dopo la caduta di Costantinopoli nel 1453, si diffondono in Italia le opere greche in lingua originale e nel 1488 si dà alle stampe, a Firenze, il primo Omero in greco. È vero che, in un passo della Vita Nova, Dante, a proposito di Beatrice, asserisce che certo di lei si potea dire quella parola del poeta Omero [a proposito di Ettore]: Ella non parea figliuola d uomo mortale, ma di deo 2. Tale citazione però, tratta dall Iliade 3, gli deriva quasi certamente dal VII libro dell Etica Nicomachea di Aristotele, che Dante conosceva attraverso il Commento di San Tommaso, come testimonia almeno due volte nel Convivio 4. Sempre nel Convivio 5, dopo aver affermato che nulla cosa si può de la sua loquela in altra trasmutare sanza rompere tutta la sua dolcezza e armonia, aggiunge: E questa è la cagione per che Omero non si mutò di greco in latino come l altre scritture che avemo da loro. Nelle scuole medioevali tuttavia circolavano riassunti più o meno fedeli dell Odissea (in cui si parlava del ritorno ad Itaca di Ulisse), nonché i romanzi Historia de excidio Troiae di Darete Frigio (largamente diffusi a partire dal VI secolo) e Ephemeris belli Troiani di Ditti Cretese, da cui derivano pure le elaborazioni neolatine come il Roman de Troie di Benoit de Sainte-Maure e la Historia destructionis Troiae di Guido delle Colonne, che godettero di molta fortuna nella cultura dell epoca. A proposito della conoscenza da parte di Dante di questi testi, i critici sono discordi e dissertano prendendo lo spunto da un affermazione di Benvenuto da Imola 6, secondo il quale Dante non poteva ignorare quello che conoscevano pueri et ignari ed aveva quindi inventato la storia 1 L attuale Calabria era, all epoca di Dante e in quella immediatamente successiva, l unica regione in cui la cultura si estendeva anche alla lingua greca. 2 Vita Nova, II. 8 3 Iliade, XXIV, vv. 258-59 4 Convivio, III - VII 7 e IV - XX 4 5 Ibid., I - VII, 15 6 Grammatico (1338-90) nato a Imola (BO), amico di Boccaccio e Petrarca; scrisse un ampio commento in latino della Commedia di Dante.

15 della fine di Ulisse, scostandosi volutamente ( de industria propter aliquod propositum ostendendum ) 7 dalla tradizione omerica e dalla storia narrata nei romanzi sopra citati. Anche secondo Antonino Pagliaro, è probabile che Dante abbia conosciuto le vicende di Ulisse nella versione omerica attraverso i riassunti dell Odissea e le storie romanzesche. Gli sembra perciò inverosimile l opinione di chi ritiene che Dante abbia ignorato tali testi, trattandosi appunto di nozioni culturali elementari e diffuse, come prova il fatto che gli stessi commentatori antichi, notoriamente di modesta dottrina, non le ignoravano. L opinione di Benvenuto quindi, che il poeta abbia cioè volutamente innovato la leggenda di Ulisse, così come veniva tramandata, diventa plausibile così come la sua ipotesi secondo cui il poeta abbia voluto creare, con la sua storia di Ulisse, l immagine di un uomo di tempra eroica, capace di sfidare disagi e pericoli per soddisfare il bisogno di conoscenza e conseguire gloria 8. Sulla stessa linea interpretativa si pone D Arco Silvio Avalle, per il quale la scelta di Dante riguardo alla fine di Ulisse non è casuale o semplicemente dovuta a ignoranza, ma risponde ad un disegno preciso 9. Premesso che tra la vita e l esperienza letteraria di Benvenuto da Imola (il Comentum è stato scritto dopo il 1372) e la composizione della Divina Commedia intercorrono alcuni decenni caratterizzati da un intensa attività di ricerca confluita poi in un notevole sviluppo degli studi umanistici, occorre però dire che Dante non sembrava, a detta di Giorgio Padoan, particolarmente incline ad ampliare le proprie cognizioni storico-letterarie al di là dei dati comunemente risaputi, rimanendogli sostanzialmente estraneo il desiderio di una più precisa conoscenza storica del mondo classico. Resta comunque assodato che Dante non potè conoscere i poemi omerici e che Ulisse era per lui, quasi esclusivamente, un personaggio staziano, virgiliano ed ovidiano 10. Pure Natalino Sapegno si dichiara convinto che Dante ignorasse sia i riassunti dei poemi omerici sia i romanzi del ciclo troiano e che comunque, anche se ne fosse stato a conoscenza, non li tenesse in grande considerazione. La sua cultura al riguardo quindi sembra costituirsi non su molti libri, e neppure sui più divulgati ma su pochi, posseduti a fondo 11. Se perciò la conoscenza diretta dell Odissea da parte di Dante è sicuramente da escludere, e dubbia è quella degli epigoni che ad essa si rifecero per la conclusione delle peregrinazioni dell eroe, si rende necessario identificare le fonti immediate della versione dantesca dell ultimo viaggio di Ulisse. 7 Benvenuto Rambaldi da Imola, Comentum super Dantis Aldigherii Comoediam (a cura di I.F. Lacaita e di G.W. Vernon), Barbera, Firenze, 1887, II, p. 293: «Apposta per dimostrare (esprimere) un cero disegno (idea, intenzione)». 8 Antonino Pagliaro, Ulisse. Ricerche semantiche sulla Divina Commedia, D Anna, Messina-Firenze, 1966 Tomo. I pp. 399-400 9 D Arco Silvio Avalle, Modelli semiologici nella Commedia di Dante, Bompiani, Milano, 1975, p. 36 10 Giorgio Padoan, Il pio Enea, l empio Ulisse, Longo Editore, Ravenna, 1977, pp. 8-9 e p. 170 11 Natalino Sapegno, Ulisse (conferenza tenuta in occasione dell Annuale di Dante, 1977), Letture Classensi, volume VII, Longo Editore, Ravenna, 1979, pp. 94-95

16 Bisogna chiarire subito che la cultura classica in Dante, e nel Medioevo in genere, risultava sempre filtrata attraverso il commento dei chiosatori medievali, le cui glosse accompagnavano i testi nei codici e ciò vale per tutti i poeti antichi da cui Dante ha tratto ispirazione per il suo Ulisse: Virgilio, Stazio, Ovidio, Orazio, per citare soltanto i principali. Dall Eneide Dante desume i fatti da lui, come del resto dagli altri lettori medievali, ritenuti storici: l assedio e la caduta di Troia e le vicende riguardanti Enea. Di quest ultimo gli esegeti medievali esaltano la pietas, in contrasto con le frodi di Ulisse, e manifestano aperta simpatia per i Troiani, progenitori dei Romani, e riprovazione per la perfidia dei Greci; ignari dei poemi omerici, i lettori medievali colgono una netta condanna morale dello scelerum inventor 12 Ulisse, dirus 13 e saevus 14, antagonista del pius Enea; antagonismo che si rileva anche nelle peregrinazioni attraverso il Mediterraneo: Enea infatti tocca luoghi da cui è da poco passato Ulisse, precisandosi così una contemporaneità tra i due viaggi, quello del Greco perseguitato dagli dei per la sua empietà e quello del Troiano benedetto e diretto dalla volontà divina ad uno scopo ben preciso, dare origine cioè ad un nuovo popolo e porre le fondamenta di un nuovo impero. A rinsaldare il legame tra i due erranti, nonché tra i due poemi (Odissea ed Eneide), interviene Achemenide, che, dimenticato dai greci presso i Ciclopi, viene trovato proprio da Enea. Dante stesso, nel corso dell episodio di Ulisse, sente il bisogno di citare, al verso 93, Enea: prima che sì Enea la nomasse. John A. Scott definisce questo riferimento cruciale ed aggiunge che nel poema dantesco Virgilio simboleggia, tra l altro, la missione provvidenziale del popolo romano nel fondare l impero universale necessario alla felicità umana, senza dimenticare che il poema virgiliano era per Dante l espressione più chiara della sua interpretazione teleologica della storia universale 15. Ma ancor più forse che dall Eneide, Dante trae lo spunto per le parole con cui Virgilio, ai vv. 55-63, elenca le colpe di Ulisse e di Diomede dall Achilleide di Stazio. Nel poema staziano, infatti, sono messe in luce l astuzia, l eloquenza e l arte della retorica di cui il Laerziade (sempre in compagnia di Diomede) si serve per scovare Achille e convincerlo a partecipare alla guerra di Troia, facendo leva anche sui sentimenti dell affetto familiare, quando gli chiede che cosa farebbe egli se qualcuno gli portasse via Deidamia, come Elena a Menelao. Egli possiede cioè l arte di far apparire vero e giusto anche ciò che in definitiva è la negazione stessa di ogni nobile ideale, per realizzare i suoi scopi 16. Stazio attribuisce ad Ulisse dunque dei discorsi sostanzialmente ingannatori e per di più rivolti ad interlocutori fiduciosi o sprovveduti, come il buon re Licomede o il giovane e ingenuo Achille, arrivando persino, durante il pranzo ufficiale, a cui partecipano sia Achille che Deidamia, ad infrangere, con le eccitanti fantasie di gloria, la sacralità della mensa, per irretire 12 Eneide, II, 164 «Autore (ideatore) di misfatti (delitti)» 13 «Crudele, spietato» 14 «Feroce, crudele, insensibile» 15 John A. Scott, Dante magnanimo, Leo S. Olschki Editore, Firenze, 1977, p. 141 16 Giorgio Padoan, op. cit., p. 175

17 il giovine Achille 17. Lo stesso Stazio, nel corso della vicenda, interviene in prima persona con sarcasmo, esclamando: Heu simplex nimiumque rudis, qui callida dona Graiorumque dolos variumque ignoret Ulixem! 18 dove l aggettivo varius sembra proprio ricalcare il πολύτροπος omerico, ovviamente qui inteso con connotazione negativa, che Dante peraltro coglie, tanto più che Stazio è già un poeta cristiano. Anche nelle Metamorfosi di Ovidio, in particolare nel XIII libro, Ulisse viene indicato come colui che combatte, più che con le armi, con i ficta verba 19 : nel corso della disputa per aggiudicarsi le armi di Achille, Aiace infatti rammenta i vari inganni perpetrati dall Itacense, con la complicità spesso di Diomede, al quale è unito da uno stretto legame, che in Dante è simboleggiato dalla fiamma comune. Nella sua replica Ulisse, con un orazione che è un capolavoro di astuzia, esalta la supremazia dell intelligenza sulla forza bruta, incapace, da sola, di approdare ad alcun risultato. Ottiene così le armi di Achille, che però in seguito, grazie ad un prodigio, il mare fa approdare sulla tomba di Aiace. Proprio in Ovidio, nel XIV libro delle Metamorfosi, Ulisse, dopo un anno di permanenza presso Circe, si rimette in mare senza peraltro dirigersi verso Itaca, a cui non si accenna minimamente. Ricompare invece il personaggio di Achemenide, dimenticato dai Greci presso i Ciclopi (e qui Ovidio porta avanti la narrazione virgiliana), che chiede a Macareo, rimasto volontariamente presso Circe, perché stanco delle peregrinazioni, e raccolto poi da Enea a Gaeta, notizie di Ulisse e degli antichi compagni; Macareo gli fa così il resoconto della permanenza presso Circe e della successiva partenza dei compagni, senza di lui, che ha visto la nave di Ulisse diretta verso l alto mare. Proprio da qui riprende il racconto dantesco: si tratta dunque di una sorta di narrazioni poetiche a catena, che vedono allineati in successione Virgilio, Ovidio e Dante, ognuno dei quali porta avanti il racconto dal punto preciso in cui l aveva lasciato l autore precedente 20. Anche nell Ars Amatoria e nei Remedia Amoris (che Dante certamente conosce, visto che lo cita nel XXV capitolo della Vita Nova) compaiono Calipso e soprattutto Circe, che non riesce a trattenere l eroe con le sue arti né a comprendere com egli, lungi dall essere appagato, voglia ripartire alla conoscenza dell ignoto. Ulisse quindi non appare soltanto come fallax 21, bensì anche come audax 22 ed experiens 23. Nella letteratura latina infatti assume la duplice veste dell eroe ingannatore e dell audace navigatore, assetato di conoscenza. E sotto quest ultimo aspetto che lo vede Orazio nella II Epistola del I libro: 17 Giorgio Brugnoli, Sic notus Ulixes?, in Miscellanea di studi in onore di Aurelio Roncaglia, Mucchi, Modena, 1989, vol. I p. 228 18 Stazio, Achilleide, I 846-47: «Ah! (quanto è) ingenuo e troppo inesperto (ignorante, rozzo), colui che non conosce i doni astuti (ingegnosi), le frodi dei Greci e il volubile (avventuriero, incostante) Ulisse!» 19 «Parole menzognere» 20 Giorgio Padoan, op. cit., p. 178 21 Metamorfosi, XIV. 159 «Falso, ipocrita» 22 Ibid., «Audace, ardimentoso, temerario» 23 Ibid., «Attivo, industrioso»

18 Rursus quid virtus et quid sapientia possit utile proposuit nobis exemplar Ulixem, qui domitor Troiae multorum providus urbes et mores hominum inspexit latumque per aequor, dum sibi, dum sociis reditum parat 24 La lettera è indirizzata al giovanissimo amico Lollio al quale Orazio vuole spiegare la profonda, anzi l occulta moralità di Omero: l Iliade è cioè il poema delle passioni e l Odissea quello della morale. Il primo insegna dunque l insania a cui sfuggire e l altro la saggezza da seguire 25 : la virtus quindi, da intendersi in quanto passione e la sapientia, che si ritrovano, come in un calco, nel virtute e canoscenza danteschi. Questi versi sono quasi la traduzione letterale dei primi versi dell Odissea, dove ricorrono espressioni come domitor Troiae, multorum urbes et mores hominum inspexit latumque per aequor, sociis reditum parat, aspera multa pertulit 26. Ed anche nell Ars poetica 27 si trovano quasi le stesse parole riecheggianti l incipit omerico: Dic mihi, Musa, virum, captae post tempora Troiae qui mores hominum multorum vidit et urbes 28 versi che, sappiamo per certo, Dante conosceva in quanto li cita nella Vita Nova, dove osserva appunto che con questa espressione Orazio va quasi recitando lo modo del buon Omero 29 L exemplar oraziano richiama alla memoria il brano di Seneca tratto dal De constantia sapientis 30, in cui, dopo che Ulisse è stato definito, al pari di Ercole, e paragonato a Catone, exemplar sapientis viri, si dice di loro: Hos [Ulisse ed Ercole] enim stoici nostri sapientes pronuntiaverunt, invictos laboribus et contemptores voluptatis et victores omnium terrorum 31, mentre nelle tragedie lo stesso Seneca descrive Ulisse come fallax 32, machinator fraudis et scelerum artifex 33 e subdolus 34. Per i latini dunque esistevano sia l Ulisse omerico e stoico sia l Ulisse della tragedia, della commedia, del dramma satiresco: abile, esperto dei comportamenti umani, pronto a mentire e ad ordire intrighi. Attraverso la tradizione latina, Dante, accanto all Ulisse doloso - quello 24 Epistola I, 2, 17-21: «Ancora di quello che possono virtù e sapienza egli ci pose innanzi, esemplare (modello, esempio) utile (efficace), Ulisse, il quale, trionfatore di (su) Troia, cauto (prudente) osservò (conobbe) le città e le usanze di molti uomini attraverso il vasto mare, mentre preparava il ritorno per sé e per i compagni.» 25 Concetto Marchesi, Orazio e l Ulisse dantesco, in Quaderni ACI (Associazione Culturale Italiana). VII, Torino, 1952, pag. 33 26 «Sopportò molte avversità» 27 Ars poetica, vv.141-142 28 «Raccontami, o Musa, l uomo (dell uomo) che dopo aver conquistato Troia (lett.: dopo i tempi di Troia conquistata) vide le città e i costumi (le usanze) di molti uomini.» 29 Vita Nova, XXV, 9 30 De constantia sapientis, II,I 31 «Infatti i nostri stoici proclamarono costoro saggi, infaticabili (non domati dalla sciagure), spregiatori del piacere e vittoriosi su tutte le paure.» 32 Troades, 149 33 Troades, 750: «Inventore di frode e autore (artefice) di misfatti.» 34 Agamennon, 636

19 virgiliano del II libro dell Eneide - conobbe l Ulisse esperto dei problemi del mondo e smanioso di conoscerlo 35. Ulisse insomma viene considerato exemplar sapientis, laddove è meno diretto l interesse a sottolineare la discendenza di Roma da Troia 36. Anche la lettura di Cicerone offre spunti interessanti: nel De Officiis, che probabilmente Dante ha presente, l autore approva la decisione di Ulisse di non Ithacae vivere otiose cum parentibus, cum uxore, cum filio 37 ; mentre ancora più significativo è un passo del De finibus bonorum et malorum (che Dante sicuramente conosceva in quanto lo cita nel Convivio). Qui Cicerone, a proposito delle Sirene, che tentano di attirare Ulisse col canto, afferma trattarsi non di cantiunculae 38, bensì di una vera e propria seduzione di carattere intellettuale, poiché multa se scire profitebantur, ut homines ad earum saxa discendi cupiditate adhaerescerent 39 ; e, soggiunge l autore, la cupiditas scientiae, propria degli uomini sommi, prevale sull amore per la patria. Sono queste dunque le più significative fonti latine dell Ulisse dantesco.. Col proposito di ritornare comunque sull argomento nel corso dell analisi del testo, si ritiene utile ricordare, infine, un filosofo alto-medievale, che Dante dimostra di conoscere bene: Severino Boezio. Nel Convivio il poeta, trattando della distinzione tra la vita improntata alla razionalità e quella vissuta come bruti, afferma: Onde, quando si dice l uomo vivere, si dee intendere l uomo usare la ragione, che è sua speziale vita e atto de la sua più nobile parte. E però chi da la ragione si parte, e usa pur la parte sensitiva, non vive uomo, ma vive bestia; sì come dice quell eccellentissimo Boezio: Asino vive 40. Dante riprende qui, persino grammaticalmente, la boeziana espressione: Asinum vivit 41. Si vedrà quanto peso abbia questo concetto nell orazion picciola di Ulisse ai compagni. L Ulisse che appare dunque a Dante attraverso la conoscenza della letteratura classica, mediata attraverso i commentatori medievali, è senza dubbio ambivalente: figura positiva per alcune fonti (saggio e ingegnoso), negativa per altre (perfido e ingannatore). Non vanno infine dimenticate le leggende sul nostro personaggio che circolavano nel Medioevo: Ulisse si era avventurato nell Atlantico ed aveva fondato Lisbona (Lyxobona o Ulixbona); era giunto in Caledonia; aveva risalito il corso del Reno e aveva fondato Ascisburgium; ecc. Possono aver contribuito all ispirazione altresì le notizie sul viaggio dei genovesi fratelli Vivaldi, la leggenda di San Brandano e quella del Monte della Calamita, contro il quale si 35 Concetto Marchesi, op. cit., p. 34 36 Giorgio Padoan, op. cit., p.179 37 De Officiis, III, 26: «Vivere tranquillamente ad Itaca con i parenti, con la moglie, con il figlio.» 38 «canzonette». 39 Ibid., V, XVIII, 49: «Dichiaravano di conoscere molte cose, affinché gli uomini si fermassero presso (su) i loro scogli (rocce) per il desiderio di apprendere (conoscere).» 40 Ibid., II, VII, 3-5 41 De consolatione filosofiae, IV, 3,11