Dossier. [...]. [...]. [.].. θεοῦ κρατερῇ[ς ὑπ ἀνάγκης οὐ δεῖ ἀν]αλ[κείη]ν καὶ κακότητα λέγει [ν. [ ]ω[ ]. [...]εθα κ [ῆρ]α φυγεῖν φεύγ[ειν δέ τις ὥρη



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Poeti giambici Dossier T. 17 P. Oxy. 4708 fr. 1 L elegia sul mito di Telefo Il seguente frammento, pubblicato nel 2004, costituisce il più recente ritrovamento papiraceo di testi di Archiloco: si tratta di quel che resta di un ampia elegia di argomento mitologico, di cui si leggono 24 versi, con molte incertezze e lacune. Nonostante le difficoltà, è comunque una preziosa e rara testimonianza dell elegia narrativa arcaica, nella quale viene narrato un mito poco conosciuto: la guerra che il re Telefo, figlio di Eracle e di Auge, dovette affrontare contro gli Achei, approdati per errore in Misia mentre cercavano di raggiungere Troia. Telefo riesce in un primo tempo a cacciare indietro i nemici e a farne strage, arrossando del loro sangue il fiume Caico (ed è questo il momento che troviamo rappresentato nel frammento archilocheo), ma in un secondo tempo, trovandosi faccia a faccia con Achille, è costretto a ripiegare. Nel corso della fuga, secondo quanto narrano gli antichi mitografi, l eroe inciampa in un tralcio di vite, fatto germogliare all improvviso da Dioniso e, raggiunto dal Pelide, viene ferito con la lancia di una ferita destinata a non rimarginarsi. Per ottenere la guarigione, Telefo consulta allora un oracolo, da cui apprende che solo l arma che ha causato la ferita avrà il potere di sanarla. Raggiunto il campo degli Achei (nel frattempo tornati in Aulide), il re dei Misî viene guarito con la ruggine della lancia di Achille e, in contraccambio, accetterà di guidare gli Achei nella rotta che li porterà a Troia. [....]. [....]. [.].. θεοῦ κρατερῇ[ς ὑπ ἀνάγκης οὐ δεῖ ἀν]αλ[κείη]ν καὶ κακότητα λέγει [ν. [ ]ω[ ]. [.....]εθα κ [ῆρ]α φυγεῖν φεύγ[ειν δέ τις ὥρη dalla dura necessità del dio non bisogna definire debolezza e vigliaccheria fuggire il destino di morte: vi è un tempo per fuggire;

2 POETI P GIAMBICI 5 10 καί ποτ[ε μ]οῦ[ν]oς ἐὼν Τήλεφος Ἀρκα[σίδης Ἀργείων ἐφόβησε πολὺν στρατ[όν,] ο[ὐδ ἐγένοντο ἄλκιμ[οι,] ᾖ τόσα δὴ μοῖρα θεῶν ἐφόβει, αἰχμηταί περ ἐόντε[ς ] ἐϋρρρείτης δὲ Κ[άϊκος π]ιπτόντων νεκύων στείνετο καὶ [πεδίον Μύσιον, οἱ δ ἐπὶ θῖνα πολυφλοίσβοι[ο θαλάσσης χέρσ ] ὑπ ἀμειλίκτου φωτὸς ἐναιρό[μενοι 5 10 e una volta, pur essendo solo, Telefo di stirpe arcade mise in fuga il grande esercito degli Argivi, ed essi non furono coraggiosi, tale fu la disposizione degli dei che li mise in fuga, per quanto guerrieri bellicosi. Il Caico dalla bella corrente e la pianura misia erano stipati dei cadaveri dei caduti, ed essi verso il lido del mare risonante, annientati dalla mano di un uomo spietato, 8 Il Caico dalla bella corrente: fiume della Misia, regione dell Asia Minore. DOSSIER Immagini topiche Il ruolo determinante esercitato, nel mito di Telefo, da una «costrizione» divina che incombe inesorabile, sembra confermato a meno che non si tratti di pura coincidenza da tre riscontri di derivazione tragica: due nel Telefo di Euripide, uno in una tragedia avente lo stesso titolo, opera del tragediografo Moschione (vissuto nel III secolo a.c., di cui sono sopravvissuti solo 12 frammenti). Nonostante la gravissima lacunosità dei due testi (della tragedia di Moschione ci è pervenuto solo il frammento che citiamo qui di seguito, di quella di Euripide possediamo 32 frammenti, per un totale di una sessantina versi) è comunque possibile individuare la posizione di grande rilievo che viene conferita all ἀνάγκη, analogamente a quanto succede all inizio dell elegia archilochea (ammesso, ovviamente, che colga nel segno l integrazione κρατερῇ[ς ὑπ ἀνάγκης proposta al v. 2). Nel Telefo euripideo, si registrano due occorrenze del termine: fr. 701 Kannicht: μοχθεῖν ἀνάγκη τοὺς θέλοντας εὐτυχεῖν È destino che coloro che vogliono avere buona sorte soffrano. La «dura costrizione» Più interessante ancora il secondo passo: fr. 716 Kannicht: Σὺ δ εἶκ ἀνάγκῃ καὶ θεοῖσι μὴ μάχου τόλμα δὲ προσβλέπειν με καὶ φρονήματος χάλα. Τά τοι μέγιστα πολλάκις θεὸς ταπείν ἔθηκε καὶ συνέστειλεν πάλιν. Tu cedi alla necessità e non combattere contro gli dèi; abbi il coraggio di guardarmi e mitiga il tuo [atteggiamento. Spesso il dio abbatte le cose più grandi e di nuovo le risolleva. In questo caso sembra di cogliere da parte di Euripide una contaminazione di temi archilochei: il riferimento all ἀνάγκη nel contesto del mito di Telefo si intreccia con il motivo dell «alterna onnipotenza delle umane sorti», sviluppato dal poeta di Paro nei frr. 13 e 128 West. Nel fr. 2 Snell di Moschione, tratto dal Telefo, ci troviamo invece di fronte ad un vero e proprio inno nei confronti della Moira, definita come πάντολμ ἀνάηκη «necessità pronta ad ogni audacia»: Ὦ καὶ θεῶν κρατοῦσα καὶ θνητῶν μόνη μοῖρ, ὦ λιταῖς ἄτρωτε δυστήνων βροτῶν, πάντολμ ἀνάγκη, στυγνὸν ἣ κατ αὐχένων ἡμῶν ἐρείδεις τῆσδε λατρείας ζυγόν.

15 20 25 προ]τροπάδην ἀπέκλινον ἐϋκνήμ[ιδες Ἀχαιοί. Ἀ]σπάσιοι δ ἐς νέας ὠ[κ]υπόρ[ο]υς [ἐσέβαν παῖδές τ ἀθανάτων καὶ ἀδελφεοί, [οὓς Ἀγαμέμνων Ἴλιον εἰς ἱερὴν ἦγε μαχησομένο[ους. Ο]ἱ δὲ τότε βλαφθέντες ὁδοῦ παρὰ θῖ[ν ἀφίκοντο Τε]ύθραντος δ ἐρατὴν πρὸς πόλιν [ἐ]ξ[έπεσον, ἔ]νθα [μ]ένος πνείοντες ὅμως αὐτῶ[ν σφετέρῃ γε ἀ]φρ[αδί]ῃ μεγάλως θυμὸν ἀκηχέ[δατο. Φ]άντο γὰρ ὑψίπυλον Τρώων πόλιν εἰσ[αφικέσθαι αὐ]τίκ[α] γῆν δ ἐπάτευν Μυσίδα πυροφόρο[ν. Ἡρακλ]έης δ ἤντησ[ε] βοῶν ταλ[α]κάρδιον [υἱόν οὖ]ρον ἀμ[ε]ίλικ[τον] δηΐῳ ἐν [πολ]έμ[ῳ Τ]ήλεφον, ὃς Δαναοῖσι κακὴν [τό]τ[ε φύζαν ἐνόρσας ἤ]ρειδε [πρό]μαχος πατρὶ χαριζόμ[ενος. 3 15 20 25 precipitosamente ripiegarono, gli Achei dai begli schinieri. Lieti si erano imbarcati sulle rapide navi figli e fratelli degli immortali, che Agamennone condusse a combattere nella sacra Ilio. Allora, fuorviati nella rotta, giunsero a quel lido: piombarono contro l amena città di Teutrante, qui, pur spirando ardore, ugualmente a causa della loro stessa follia furono grandemente afflitti nell animo. Pensavano infatti di essere appena giunti alla città dalle alte porte dei Troiani; invece calpestavano la terra di Misia che produce grano. Eracle si imbattè in loro lanciando un grido al figlio dal cuore forte, difensore implacabile nella mischia selvaggia, Telefo, che, suscitando nei Danai la fuga rovinosa, si piantò in prima fila, gratificando il padre Analisi del testo La parte dell elegia a noi pervenuta, gravemente lacunosa all inizio, sembra esordire con una osservazione di natura gnomica, cui segue la narrazione del mito di Telefo, che funge da esempio e modello: la fuga non costituisce necessariamente manifestazione di viltà, soprattutto quando deriva da una costrizione divina 17 l amena città di Teutrante: si tratta giunto su indicazioni dell oracolo di di Teutrania, città della Misia di cui era re Teutrante. Secondo una versione del mito, Telefo, figlio di Eracle, vi era Delfi. Là infatti avrebbe trovato quei genitori dei quali era cresciuto orfano. E colà trovò Auge, colei che, giovanetta, era stata violentata da Eracle e lo aveva dato alla luce, e che ora era diventata moglie di Teutrante e regina di Misia. (vv. 1-4). Segue una sezione narrativa (vv. 5-12), in cui viene narrato lo scontro tra i Misi guidati da Telefo e gli Achei: nonostante il poderoso dispiegamento di forze e il loro valore militare, questi ultimi vengono sbaragliati dall eroe arcade, costretti da una volontà divina (μοῖρα θεῶν) a darsi a una fuga precipitosa.

4 POETI P GIAMBICI La fuga non deve dunque essere interpretata come gesto passibile di biasimo, ma come una condizione della natura umana, esposta a condizionamenti superiori. La descrizione si sofferma in particolare sulla strage compiuta da Telefo, che arrossa le acque del fiume Caico (vv. 8-9). Segue un improvviso passaggio analettico, un flashback, nel quale si ripercorre l entusiasmo degli Achei nel momento della partenza, quando mossero per conquistare la città di Troia (vv. 13-15). Vi è poi la descrizione dello smarrimento della rotta e l illusione di aver raggiunto la meta, mentre invece erano approdati in terra di Misia e alla città di Teutrante, dove si trovarono a scontare la loro follia (vv. 16-21). Dopo questa digressione, il testo risulta molto lacunoso e incerto: sembra comunque riprendere la narrazione delle vicende della guerra in Misia, con la comparsa di Eracle, il padre di Telefo, che si compiace dell ardore bellicoso del figlio (vv. 22-25). Non è da escludere che dietro l exemplum mitico possa adombrarsi una vicenda autobiografica: un episodio militare inglorioso, che ha coinvolto Archiloco e i suoi compagni. Forse uno smacco che il poeta cerca di nobilitare, proiettandolo in una dimensione mitica, in cui la fuga costituisce solo un esito iniziale momentaneo, che prelude ad una rivincita, secondo quel ῥυσμός, ben noto ad Archiloco, che regola le vicende umane, nell alternanza fra gioia e dolore (fr. 13, 7-9 West), fra vittoria e sconfitta (fr. 128, 4-7 West). Si può anche ipotizzare una parentela fra questa nuova elegia e il notissimo fr. 5 West dello scudo perduto, che il poeta racconta essere ora nelle mani di un nemico che se ne vanta, riproponendosi, però, una pronta rivincita (ἐξαῦτις κτήσομαι οὐ κακίω). E forse proprio in prospettiva consolatoria e parenetica (cioè di esortazione a superare il momento di sconforto attuale e dimostrare il proprio valore, riscattando la sconfitta) va collocato l episodio di Telefo proposto in questo nostro frammento, che contribuisce in modo significativo alla conoscenza della produzione elegiaca del poeta di Paro. CULTURE A CONFRONTO Guerrieri in fuga: da Omero ad Archiloco Una situazione che presenta significative analogie con quella rappresentata nella nuova elegia archilochea si può individuare in Iliade VIII 93-108: ci troviamo in un momento di difficoltà per gli Achei, quando le sorti della guerra sembrano pendere tutte a favore dei Troiani (è Zeus stesso che pone le sorti dei due popoli sul piatto della bilancia: vv. 73 s. «La sorte dei Greci scese verso la terra feconda,/ quella dei Troiani, invece, si sollevò verso il cielo ampio»). Nello scontro furibondo che si è acceso, il vecchio Nestore sta per essere sopraffatto e ucciso da Ettore, quando Diomede sopraggiunge nella mischia, incitando anche gli altri, in primis Odisseo, a fare altrettanto: DOSSIER «Διογενὲς Λαερτιάδη πολυμήχαν Ὀδυσσεῦ πῇ φεύγεις μετὰ νῶτα βαλὼν κακὸς ὣς ἐν ὁμίλῳ; Μή τίς τοι φεύγοντι μεταφρένῳ ἐν δόρυ πήξῃ 95 ἀλλὰ μέν ὄφρα γέροντος ἀπώσομεν ἄγριον ἄνδρα». Ὣς ἔφατ, οὐδ ἐσάκουσε πολύτλας δῖος Ὀδυσσεύς, ἀλλὰ παρήϊξεν κοίλας ἐπὶ νῆας Ἀχαιῶν. Τυδεΐδης δ αὐτός περ ἐὼν προμάχοισιν ἐμίχθη, στῆ δὲ πρόσθ ἵππων Νηληϊάδαο γέροντος, 100 καί μιν φωνήσας ἔπεα πτερόεντα προσηύδα «Ὦ γέρον ἦ μάλα δή σε νέοι τείρουσι μαχηταί, «Illustre figlio di Laerte, astutissimo Odisseo, dove fuggi voltando le spalle nella calca come un vigliacco? Bada che mentre fuggi non ti piantino nella schiena la lancia. Resta e difendiamo il vecchio dall eroe selvaggio». Così disse, ma non lo sentì il paziente, illustre Odisseo, e passò oltre verso le navi dei Greci. Allora il figlio di Tideo da solo si slanciò in prima fila, si fermò accanto ai cavalli del vecchio figlio di Neleo, e si rivolse a lui con queste parole: «Vecchio, ti opprimono molto i guerrieri più giovani,

5 σὴ δὲ βίη λέλυται, χαλεπὸν δέ σε γῆρας ὀπάζει, ἠπεδανὸς δέ νύ τοι θεράπων, βραδέες δέ τοι ἵπποι. Ἀλλ ἄγ ἐμῶν ὀχέων ἐπιβήσεο, ὄφρα ἴδηαι 105 οἷοι Τρώϊοι ἵπποι ἐπιστάμενοι πεδίοιο κραιπνὰ μάλ ἔνθα καὶ ἔνθα διωκέμεν ἠδὲ φέβεσθαι, οὕς ποτ ἀπ Αἰνείαν ἑλόμην μήστωρε φόβοιο. la tua forza si scioglie, t incalza la dura vecchiaia; debole è il tuo scudiero e lenti i cavalli. Su, sali sul mio carro, e vedrai quanto valgono i cavalli di Troo, come sanno volta a volta inseguire o fuggire veloci qua e là nella pianura i cavalli che ho tolto ad Enea, capaci di mettere in fuga i nemici». (Tr. di G. Paduano) Dal confronto col testo archilocheo emergono con evidenza alcuni elementi comuni: l insistenza sull idea della fuga/inseguimento, correlata con il φόβος (φεύγεις, v. 94; φεύγοντι, v. 95; διωκέμεν e φέβεσθαι, v. 107; φόβοιο, v. 108); la posizione di isolamento di Diomede, che osa affrontare i nemici αὐτός περ ἐών (v. 99) «da solo», analogamente a Telefo, che μοῦνος ἐών (secondo l eccellente proposta di West) muove contro il numeroso esercito degli Argivi. Ma soprattutto è interessante notare come la relazione automatica fra fuga e vigliaccheria, istituita da Omero (φεύγεις... κακὸς ὥς, v. 94), secondo un cliché tipico dell ἀρετή tradizionale, sembra invece polemicamente smentita dal poeta di Paro (θεοῦ κρατερῆ[ς ὑπ ἀνάγκης... οὐ δεῖ]... κακότητα λέγειν... φυγεῖν): «la fuga non può essere considerata vigliaccheria, se deriva da una costrizione». La prudenza nel trarre le conclusioni è d obbligo, viste le pessime condizioni del papiro in questo punto, ma anche in questo caso sembra di poter individuare in Archiloco quell atteggiamento ambivalente nei confronti della tradizione epica che gli è tipico: da una parte egli ne adotta gli stilemi formali, dall altra, però, corregge la visione etica sottesa, aggiornandola secondo un diverso modo di intendere i valori. La fuga, comunque deprecabile, non implica necessariamente un atteggiamento di vigliaccheria, soprattutto se chi fugge oggi intravede la possibilità di una rivincita domani (secondo la legge del ῥυσμός che regola le vicende umane). Non quindi nelle azioni in sé (la fuga) o negli oggetti (lo scudo, nel fr. 5 West) sta il valore o il disvalore dell eroe, ma nella capacità dinamica di saper interpretare l alternanza delle vicende umane (fr. 128 West), per sapervisi adattare e piegare a proprio vantaggio anche le situazioni che al presente sembrano negare qualsiasi prospettiva. Per saperne di più Telefo nell antica mitografia Per una conoscenza generale del mito di Telefo, può essere utile leggere la versione che di esso viene proposta nella raccolta di miti intitolata La Biblioteca, un manuale di autore ignoto risalente al II-III secolo d.c., comunemente indicata come opera di Ps.-Apollodoro. I Greci non conoscevano la rotta per Troia; approdano in Misia e la saccheggiano, pensando che si tratti di Troia. Il re dei Misii, Telefo figlio di Eracle, visto il saccheggio della sua terra, armò i Misii e inseguì gli Elleni fino alle navi, uccidendone molti, fra i quali Tersandro figlio di Polinice, che aveva opposto resistenza. Ma quando Achille balzò su di lui, non ne sostenne l assalto e si diede alla fuga; mentre fugge, inciampa in un tralcio di vite e viene ferito alla coscia da un colpo di lancia. Gli Elleni lasciano la Misia e prendono il mare, ma una violenta tempesta li separa gli uni dagli altri, ed essi approdano alle loro rispettive patrie. A causa di questo ritorno degli Elleni, si dice che la guerra durò vent anni: perché dopo il rapimento di Elena passarono due anni prima che gli Elleni fossero pronti a partire per la guerra e, dopo che dalla

6 POETI P GIAMBICI DOSSIER Misia furono ritornati nell Ellade, ne passarono altri otto prima che ritornassero ad Argo e si recassero di nuovo in Aulide. Quan- do si furono nuovamente riuniti ad Argo, dopo otto anni, come abbiamo detto, si trovarono in grave difficoltà circa L Altare di Pergamo: ricostruzione (Berlino, Antikesammlung im Pergamon Museum). Il culto di Telefo in età ellenistica Un importanza tutta particolare ha assunto il mito di Telefo in età ellenistica, quando l eroe arcade è stato celebrato quale capostipite leggendario della dinastia degli Attalidi, sovrana del regno di Pergamo. Nel Fregio minore del celeberrimo Altare di Zeus a Pergamo (vedi figura sotto) è rappresentato l intero mito di Telefo, in una serie di lastre a bassorilievo che, con una narrazione continua, trattano episodi che vanno dalla nascita alla morte dell eroe. Il re di Arcadia Aleo, avvertito da un oracolo che il figlio che fosse nato dalla figlia Auge avrebbe ucciso i fratelli della moglie Neera, impose la verginità alla figlia, nominandola sacerdotessa di Atena. Quando però Auge rimala rotta da seguire: non avevano infatti una persona che fosse in grado di indicare loro la via per Troia. Ma Telefo, la cui ferita era inguaribile e a cui Apollo aveva detto che avrebbe potuto guarire se fosse stato curato dal suo feritore, venne dalla Misia ad Argo, tutto coperto di cenci, e supplicò Achille di prestargli delle cure, in cambio della promessa di indicare la rotta per Troia; Achille lo cura con la ruggine ricavata grattando la sua lancia di frassino del Pelio. Una volta guarito, Telefo indicò la rotta e Calcante, grazie alla sua arte profetica, confermò che l indicazione era giusta. [Tr. di M.G. Ciani] se incinta di Eracle e partorì il figlio Telefo, il padre pose lei e il figlio in una zattera, cacciandoli dal regno. La zattera di Auge approdò in Misia, dove la donna fu aiutata dal re Teutrante, mentre Telefo fu allattato da una leonessa. Telefo divenne re di Misia e, come abbiamo visto, fu coinvolto suo malgrado nella guerra contro gli Achei che stavano cercando di raggiungere Troia. Nella figura sottostante, è rappresentato coi suoi compagni, mentre sta per affrontare il nemico. Nel corso del combattimento, si impigliò in una vite fatta miracolosamente germogliare da Dioniso e così venne ferito da Achille. Per guarire la sua ferita,telefo si recò ad Argo, per avere la ruggine dalla lancia che l aveva colpito. Riuscì nel suo intento, prendendo Oreste come ostaggio e minacciando di ucciderlo. Tornato in Misia, fondò la città di Pergamo e vi insediò la dinastia degli Attalidi. Fregio maggiore: lotta tra giganti. Fregio minore.