Οἱ ζοφοὶ πλὴν Παρμενίδου. PER UNA RICOSTRUZIONE DELL ARGOMENTO PLATONICO CHE DIMOSTRA LE IDEE DALLA POSSIBILITÀ DELLA CONOSCENZA
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- Σάτυριον Αγγελίδου
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1 Οἱ ζοφοὶ πλὴν Παρμενίδου. PER UNA RICOSTRUZIONE DELL ARGOMENTO PLATONICO CHE DIMOSTRA LE IDEE DALLA POSSIBILITÀ DELLA CONOSCENZA Filippo Forcignanò Università degli Studi di Milano ABSTRACT: Da un esame congiunto di alcuni passi platonici (in part. Resp. V 476e4-477b11, Crat. 439b10-440c1 e Tim. 51d-52a) e di Aristotele (Metaph. Μ b12-17 e De cael., III 1, 298b14-24) si argomenta che Platone ha adottato una prova dell esistenza delle idee fondata sulla possibilità della conoscenza, intepretando in questo senso la filosofia di Parmenide. Tale argomento ha la forma del modus ponens: se la conoscenza è possibile, esistono le idee; la conoscenza è possibile; allora le idee esistono. L argomento si espone al rischio di una petitio principii, ma Platone ritiene di avere buone ragioni per evitarlo. KEYWORDS: Parmenide, Platone, Aristotele, conoscenza, opinione.
2 Non ci sono dubbi che la realtà colta della percezione sensibile sia molto ricca e articolata. Platone ne era certo consapevole. Tuttavia la percezione appariva a Platone inadatta a giustificare la nostra esperienza del mondo o, per esprimerci in termini contemporanei, i nostri stati mentali. Noi viviamo, ragioniamo e articoliamo discorsi presupponendo alcuni referenti esterni alla nostra mentre che i nostri sensi non colgono direttamente, ma che, soli, possono giustificare i nostri pensieri e il fatto stesso di dialogare gli uni con gli altri. Senza questi riferimenti extra-empirici, per Platone, perderemmo quella peculiare attività umana che è il linguaggio e, con esso, la possibilità di conoscere. Noi conosciamo ed esprimiamo la nostra conoscenza a soggetti simili a noi perché esiste qualcosa di altro e qualcosa di più della percezione e del mondo percepibile che condividiamo. Platone non è, metafisicamente parlando, austero: ritiene sia necessario estendere l inventario delle cose del mondo a enti non percepibili con i sensi, le forme, senza le quali la nostra conoscenza sarebbe impossibile. Si tratta di oggetti peculiari, dallo statuto ontologico poco chiaro, forse addirittura indefinito, ma dei quali per noi si dà una modalità conoscitiva solo indiretta: possiamo parlarne, non possiamo più toccarli, vederli, afferrarli. Il problema dello statuto ontologico di simili enti è filosoficamente serio, tuttavia l insistenza su questo punto di ampia parte della critica dipende dalla convinzione che Platone abbia elaborato una compiuta dottrina delle idee, vale a dire che a un ipotesi teorica rilevante il filosofo abbia dato la forma di una vera e propria teoria. Una dottrina delle idee quella di Platone o quella di chiunque altro non può esimersi dal rispondere alla domanda che tipo di cose sono le idee?. Platone, invece, si sottrae a questa e altre domande, accontentandosi di abbozzare delle risposte e di fornire soprattutto indicazioni su come non si debba intendere il suo pensiero. Francisco Gonzalez ha concluso da questo atteggiamento platonico che al filosofo non interessasse affatto proporre una dottrina delle idee, dunque che non ritenesse urgente rispondere alle domande inevitabilmente connesse a una simile dottrina 1. La mia tesi è che l analisi di Gonzalez sia corretta, ma che Platone abbia invece sentito l esigenza di dimostrare nei termini e nei modi in cui è legittimo parlare di una dimostrazione in un contesto dialogico come quello di Platone perché le idee esistono, senza limitarsi ad assumerle aprioristicamente. L argomento fondato sulla possibilità della conoscenza svolge appunto questa funzione. Von Helmholtz ha distinto, circa la teoria della visione, il verbo kennen e il verbo wissen, sfruttando le possibilità lessicali del tedesco 2. Il primo verbo esprime la conoscenza di qualcosa 1 GONZALEZ, È noto che il verbo kennen, in generale, è usato per esprimere la familiarità con qualcosa o qualcuno, in quanto lo si è visto e conosciuto. Ad esempio, si domanda kennst du den neuen Nachbarn?, conosci i nuovi vicini?, e si risponde ich kenne ihn, mentre sarebbe assurdo usare wissen. Questo verbo, infatti, si utilizza quando si esprime un fatto di cui si sa 166
3 un fiore, un profumo, un suono, un essere vivente di cui abbiamo avuto esperienza, che serbiamo nel ricordo e possiamo così riconoscere e restituirne, parzialmente, conoscenza 3. Il secondo verbo, invece, concerne la conoscenza che può essere espressa in parole, ma che si riferisce a un oggetto di cui non abbiamo attualmente esperienza sensibile: il discorso su di esso produce sempre un immagine, non l originale 4. La filosofia di Platone si colloca in un orizzonte concettuale che tiene ferma la distinzione tra kennen e wissen, ma in modo assolutamente peculiare: vi è una conoscenza diretta, immediata, esperita e una conoscenza indiretta, proposizionale, descrittiva ma non puntuale 5, tuttavia nel caso delle forme i due tipi di conoscenza convivono. L anima incarnata sa che gli oggetti noetici si danno, avendoli visti, ma non sa in modo oggettivo cosa siano, avendoli dimenticati. In altri termini, l anima ha conosciuto le forme come si conoscono un fiore o una persona, direttamente, ma non ha più, una volta incarnata, la stessa disponibilità. L anima incarnata è la stessa anima che ha avuto familiarità con le forme, ma ha perso tale familiarità e ne conserva il ricordo. Ciò che permette la convivenza di entrambi gli aspetti è proprio la natura dell anima, che è immortale e si incarna, in successione, nei corpi. Ciò significa che noi abbiamo avuto familiarità con le idee, ma non l abbiamo più, sebbene esse non siano totalmente obliate: questo è il piano anamnestico su cui Platone risolve il paradosso eristico dell impossibilità della ricerca 6. Le forme sono diverse dagli alberi, dagli animali, dalle piante, dalle sedie, ma esistono come esistono gli alberi e le sedie. Le forme, detto altrimenti, non sono concetti umani o divini privi di uno statuto ontologico autonomo. Al contrario, non è affatto necessario che qualcuno le pensi perché esistano 7. In Phaed. 79a-b si legge che esistono due generi della realtà (δύν εἴδε ηῶλ ὄλησλ), le idee e i partecipanti: entrambi sono, rientrano cioè a pari titolo tra gli ὄληα. Sul piano dell esistenza, infatti, vi è equipollenza tra tutto ciò che esiste: non vi è nulla che esiste più o meno di altro. Le forme non sono più reali dei partecipanti: sono però più perfettamente quello che sono. Per Platone esistere è termine univoco: qualcosa o esiste o non esiste, non può esistere più o meno di altro 8. Nonostante la convinzione di Heidegger, secondo cui Platone avrebbe smarrito l essere ponendo un ente che esiste in maggior grado degli altri, l idea, nel filosofo ateniese non c è qualcosa, ad esempio l età di una persona: se qualcuno chiedesse weisst du, wie alt er ist?, la risposta sarebbe appunto ich weiss, dass er 45 Jahre alt ist. Questo è l uso grammaticale che von Helmholtz sfrutta per operare la distinzione circa la teoria della visione. 3 VON HELMHOLTZ, 1996, p Ibid. 5 Cfr. RYLE, 1952 e BLUCK, 1963, che hanno inaugurato il dibattito sulla knowledge by acquaintance nel Teeteto. 6 Cfr. Men. 82a-85d e BONAZZI, 2010, pp. xx-xxiv, e le note alle pp Cfr. FORCIGNANÒ, 2016a. 8 Cfr. PENNER, 2009, p. 169: For Plato the Parmenidean [ ] exists or be is not ambigous, meaning something different for different categories of things. Rather exists always stands for the same thing. Il dibattito sulla presunta ontoteologia platonica è ben trattato e criticato da TRABATTONI,
4 ontoteologia perché non c è gradualità dell essere 9. Dai dialoghi platonici, infatti, non si può evincere che un idea esista maggiormente o abbia più essere di un ente empirico. Una cosa può però esistere diversamente da un altra, come le forme non sono identiche agli enti concreti, pur esistendo allo stesso titolo. Ovvia conseguenza di ciò è che la realtà che si manifesta allo sguardo dell anima incarnata è meno ricca della totalità delle cose che esistono: infatti, oltre a ciò che l esperienza ci restituisce empiricamente, esistono (almeno) anche le idee e i loro rapporti, i numeri, le anime e gli dèi. È frequente imbattersi in ricostruzioni del pensiero platonico, per così dire, from up to down. Secondo queste letture, Platone avrebbe posto le forme convinto della loro esistenza e, sulla base di questa convinzione, avrebbe poi spiegato il mondo. La mia tesi è diametralmente opposta: le forme sono il risultato della riflessione di Platone sull impossibilità di comprendere i fenomeni mentali e fisici senza il riferimento a un quadro più ampio 10. Il cosmo delle idee non è la superfetazione di una fisica che si giustifica altrimenti, ma è, a tutti gli effetti, il complemento necessario del mondo in cui viviamo e dell esperienza che cerchiamo costantamente di giustificare. Platone non pone le forme per spiegare il mondo trascedendente, assunto a priori, ma per giustificare il nostro vivere in questo mondo attraverso una teoria economica, vale a dire capace di spiegare più aspetti del reale senza porre altri principi. Le forme, infatti, giustificano la vita morale e politica, non solo la conoscenza e il linguaggio. Ho proposto anche altrove di distinguere due tipologie di argomenti di Platone a favore delle forme, uno epistemologico, fondato cioè sulla possibilità della conoscenza, e uno fattuale, basato sull incapacità dell esperienza di autogiustificarsi 11. I due argomenti si implicano vicendevolmente, ma possono essere discussi in modo autonomo. Scopo del presente contributo è ricostruire il primo dei due argomenti a favore delle idee, quello epistemologico fondato sulla possibilità della conoscenza. Essere e divenire: Platone di fronte a Parmenide L opposizione tra essere e divenire è centrale nella metafisica platonica. Lo ha chiarito in una perspicua pagina Michael Frede: Plato only introduces his ideas, because he thinks of the ordinary objects of experience in a certain way. It is only because of a certain conception of the ordinary objects of experience that Plato does not rest content with the assumption of natures or essences, but thinks that he has to set them up as a 9 TRABATTONI, FORCIGNANÒ, FORCIGNANÒ, 2016b (Introduzione). 168
5 second set of objects, over and above the object of experience. Thus only if we understand how Plato conceives of the ordinary objects of experience will we understand why he sees a need to postulate ideas of the curious kind he does seem to postulate in the middle dialogues and as late as the Timaeus 12. Poiché Platone intende gli oggetti della conoscenza ordinaria in un certo modo, allora ha ritenuto necessario porre le idee. Ma come considera tali oggetti? Adottando uno schema eleatico, Platone qualifica il dominio empirico come il piano del divenire e dell instabilità, cui contrappone il piano dell essere e della stabilità. Chiarissimo, a riguardo, un passo del Timeo: Innanzitutto, secondo la mia opinione, vanno distinte queste cose: ciò che è sempre, non patisce divenire; e ciò che sempre diviene, mai è. L una cosa è colta dal pensiero attraverso il ragionamento, essendo sempre allo stesso modo; l altra cosa è oggetto d opinione attraverso la sensazione priva di ragionamento, dal momento che diviene e muore, non essendo mai realmente 13. Ciò che costringe a contemplare l essere, come afferma un passo della Repubblica, è conveniente, mentre ciò che costringe a riferirsi al divenire, non lo è 14. In entrambi i passi, cui altri potrebbero essere accostati 15, l essere, espresso dal verbo ει λαη, e il divenire, espresso dal verbo γι γλεζζαη (o γελε ζζαη), sono contrapposti. Tale contrapposizione non è solo fattuale, ma anche valoriale: nel passo della Repubblica si legge infatti che la geometria è conveniente, se conduce a contemplare l essere immobile, mentre non lo è, se porta a contemplare il divenire. Si tratta di una contrapposizione radicale: l essere si oppone al divenire, e viceversa: ciò che diviene non è, ciò che è, non diviene. La conoscenza, l ἐπηζηήκε, di ciò che diviene non si dà. Essa è, per definizione, stabile: di un oggetto instabile non può esserci conoscenza stabile. La distinzione tra essere e divenire, anzi la loro radicale opposizione, ha dunque conseguenze epistemologiche fortissime. Come John Palmer ha chiarito nel suo fondamentale volume sulla ricezione di Parmenide in Platone, la lettura dell eleatismo offerta dal filosofo ateniese è eminentemente epistemologica, non ontologica 16. Con ciò non si intende il modo in cui Sesto Empirico legge il 12 FREDE, 1988, p. 38 (enfasi mia). 13 Tim. 27d5-28a4: Ἔζηηλ νὖλ δὴ θαη' ἐκὴλ δόμαλ πξῶηνλ δηαηξεηε νλ ηάδε ηι ηὸ ὂλ ἀει, γε λεζηλ δὲ νὐθ ἔρνλ, θαὶ ηι ηὸ γηγλόκελνλ κὲλ ἀει, ὂλ δὲ νὐδε πνηε; ηὸ κὲλ δὴ λνήζεη κεηὰ ιόγνπ πεξηιεπηόλ, ἀεὶ θαηὰ ηαὐηὰ ὄλ, ηὸ δ' αὖ δόμῃ κεη' αἰζζήζεσο ἀιόγνπ δνμαζηόλ, γηγλόκελνλ θαὶ ἀπνιιύκελνλ, ὄλησο δὲ νὐδε πνηε ὄλ. 14 Resp. 526e6-7: νὐθνυ λ εἰ κὲλ νὐζι αλ ἀλαγθάδεη ζεάζαζζαη, πξνζήθεη, εἰ δὲ γε λεζηλ, νὐ πξνζήθεη. A 521d sgg. le matematiche erano state presentate proprio come i saperi che distolgono l attenzione da ciò che diviene (ηὸ γηγλόκελνλ) e la portano su ciò che è (ηὸ ὄλ). 15 Cfr. ad es. Resp. 518c, 519b, 521d, 523c-524a, 525b, 526e; Theaet. 152d-e; Soph. 248a; Tim. 37e-38b. 16 Non ci sono prove certe che Platone abbia letto il poema parmenideo e non solo ricevuto informazioni indirette ad esempio dal libro di Zenone sulla sua filosofia. PALMER, 1999, pp. 18 sgg. argomenta a favore di questa tesi alla luce del lessico del mito del Fedro, in modo assai interessante. Prima di lui, MORRISON, 1955 ha indicato nel mito di Er alcune allusioni al poema parmenideo (ma v. PALMER, 1999, pp ). 169
6 poema, ovvero come una grande allegoria epistemologica 17, ma come affermazione di due capisaldi del pensiero eleatico: (i) che solo dopo la morte è disponibile all uomo il contatto con la vera realtà 18 ; (ii) che ciò che è pienamente conoscibile deve essere pienamente 19. Il quinto libro della Repubblica contiene alcuni interessanti, ancorché impliciti, spunti eleatici 20. Un passo in particolare merita attenzione, perché in esso viene stretto un nesso decisivo tra la possibilità della conoscenza e l esistenza delle idee, che sarà al centro anche della ricostruzione aristotelica degli argomenti dalle scienze 21. Si tratta della sezione finale del libro, in cui si distingue la δόμα dall ἐπηζηήκε, con l obiettivo esplicito di marcare la differenza tra il filosofo e il filodosso. Se l amante degli spettacoli confonde il piano delle idee e il piano dei partecipanti, il filosofo non lo fa. Al primo, dunque, si attribuisce un sapere di tipo doxastico, mentre al secondo la γλώκε, un sapere epistemico 22. Poiché l amante degli spettacoli non accetterebbe tale distinzione e non sarebbe pronto a dialogare a partire da un simile presupposto, Glaucone veste i suoi panni e Socrate lo interroga al fine di legittimare la contrapposizione tra opinare e conoscere. Per farlo, è necessario mostrare al filodosso che quella che lui chiama conoscenza è in realtà δόμα. Ciò è argomentato alle pagine 476e4-477b11: (1) chi conosce, conosce qualcosa che è; (2) quello che non è, non può essere conosciuto; (3) ciò che pienamente è (παληειῶο ὄλ), pienamente è conoscibile (παληειῶο γλσζηόλ); ciò che non è in alcun modo (κὴ ὄλ κεδακη ), è del tutto inconoscibile (πάληῃ ἄγλσζηνλ) 23 ; (4) se qualcosa al tempo stesso è e non è (ηη νυ ησο ἔρεη ω ο ει λαι ηε θαὶ κὴ ει λαη), esso è intermedio tra ciò che è puramente e ciò che per nulla è (κεηαμὺ ἄλ θε νηην ηνυ εἰιηθξηλῶο ὄληνο θαὶ ηνυ αὖ κεδακη ὄληνο); (5) poiché la conoscenza si riferisce all essere (ἐπεὶ ἐπὶ ηῷ ὄληη γλῶζηο ἦλ), e l ignoranza di necessità a ciò che non è (ἀγλσζι α δ ἐμ ἀλάγθεο ἐπὶ κὴ ὄληη), per ciò che è intermedio tra essere e non essere si deve trovare qualcosa che sia intermedio tra conoscenza e ignoranza 17 Cfr. M Cfr. PALMER, 1999, p Cfr. ivi, in part. pp Con le eccellenti eccezioni di PALMER, 1999 e PENNER, 2009, cui qui mi rifarò costantemente. 21 Nel quinto della Repubblica, in realtà, le idee non sono espressamente menzionate, né discusse; tuttavia, come mostrato da FERRARI, 2000, Platone si serve qui dell apparato concettuale della teoria delle idee. 22 Cfr. Resp. V.476c1-d6. 23 È diffuso tra gli studiosi che, per poter dibattere dialetticamente con l amante degli spettacoli, Socrate cannot assume the theory of Forms, or any esoteric theory unacceptable to the sightlovers. Difficilmente, infatti, Socrate potrebbe convincere l amante degli spettacoli ad accettare le idee, dunque deve adottare una prospettiva più larga e, per questo, più facilmente condivisibile. La distinzione tra ἐπηζηήκε e δόμα, così come l affermazione che ciò che è pienamente, pienamente è conoscibile, soddisfarebbero tale dialectical requirement. Cfr. GOSLING, 1960, pp ; FINE, 1978, p. 123; ANNAS, 1981, pp , GONZALEZ, 1996, pp Esprime perplessità al riguardo PALMER, 1999, pp. 49 sgg. 170
7 (κεηαμύ ηη θαὶ δεηεηε νλ ἀγλνι αο ηε θαὶ ἐπηζηήκεο); (6) poiché l opinione è qualcosa (ιέγνκέλ ηη δόμαλ ει λαη), ed è altra (ἄιιελ) dalla conoscenza, l oggetto di essa sarà diverso sia da quello della conoscenza che da quello dell ignoranza; (7) se c è qualcosa di intermedio tra l essere e il non essere, tra la conoscenza e l ignoranza, esso è oggetto d opinione. L eco parmenidea è chiarissima. La domanda di 477a1 (πῶο γὰξ ἄλ κὴ ὄλ γε ηη γλσζζει ε;) è infatti una criptocitazione di Parm. 2.7, νυ ηε γὰξ ἄλ γλνι εο ηό γε κὴ ἐόλ ( perché non puoi conoscere ciò che non è ) 24 ; l espressione πάληῃ ἄγλσζηνλ richiama il παληαπεπζε α di B2.6 25, così come la caratterizzazione della δόμα come ζθνησδε ζηεξνλ della conoscenza ma θαλόηεξνλ dell ignoranza utilizza le note immagini parmenidee della notte e del giorno 26. L eredità parmenidea più rilevante, però, mi pare la caratterizzazione degli oggetti concreti come intermedi tra essere e non essere, dunque tra conoscenza e ignoranza. Come lo studio di Patrizia Pinotti sulle occorrenze di κεηαμύ nel corpus platonico ha mostrato, almeno la metà segnala la trasformazione di un opposizione binaria in uno schema ternario, funzionale sia alla costruzione di classificazioni scalari e strutture gerarchiche sia alla definizione di modelli simbolici di mediazione 27. Sfera dell opinione, dunque, è il mondo empirico, connotato come mescolanza di essere e divenire, stabilità e instabilità, proprietà contrarie e transeunti. La lezione che Platone trae dal poema parmenideo è che può darsi conoscenza, nel senso pregnante dell ἐπηζηήκε, se e solo se l oggetto di essa è in senso pieno. Questo perché lo statuto ontologico di un oggetto decide di quello epistemologico: per essere oggetto di conoscenza, nel senso dell ἐπηζηήκε, bisogna essere fatti in un certo modo. Se dunque la realtà empirica è soggetta al divenire e all opposizione e alla successione dei contrari, perché sia dia conoscenza è necessario si diano oggetti che sono pienamente (quello che sono). L argomento platonico a favore delle idee fondato sulla possibilità della conoscenza, dunque, ha la forma del modus ponens: se la conoscenza è possibile, esistono le idee; la conoscenza è possibile; allora le idee esistono 28. Aristotele ci fornisce una importante conferma nel libro M della Metafisica: L opinione riguardo le idee si formò in coloro che la sostennero per la convinzione della verità dei discorsi di Eraclito, che tutte le cose sensibili sempre scorrono, cosicché, se dev esserci conoscenza e intelligenza di qualche cosa, vi debbono 24 Questa è indubbiamente la più evidente ripresa parmenidea: cfr. KAHN, 1988, p. 255, CRYSTAL, 1996, pp , PALMER, 1999, p Cfr. PALMER, 1999, p Cfr. B1.9-11, , 9.1 e CRYSTAL, 1996, p PINOTTI, Cfr. MORAVCSIK, 1992, pp
8 essere certe realtà oltre quelle sensibili: infatti non c è conoscenza delle cose che cambiano (εἴπεξ ἐπηζηήκε ηηλὸο ἔζηαη θαὶ θξόλεζηο, ε ηε ξαο δει λ ηηλὰο θύζεηο ει λαη παξὰ ηὰο αἰζζεηὰο κελνύζαο νὐ γὰξ ει λαη ηῶλ ρ εόλησλ ἐπηζηήκε) 29. Il passo, come si nota facilmente, replica la struttura dell argomento sopra esposto: se vi è conoscenza, allora esistono realtà non materiali, non soggette al mutamento, insomma esistono le forme 30. Si potrebbe obiettare che il passo, che nomina Eraclito, tace però di Parmenide, dunque che l origine eleatica dell argomento non è comprovata da Aristotele. Va dunque considerato un importante passo del De caelo, III 1, 298b12-24, in cui l argomento fondato sulla conoscenza è ascritto da Aristotele direttamente a Parmenide: Quelli che prima di noi hanno speculato intorno alla realtà delle cose discordano sia dalle teorie che esponiamo noi ora, sia fra di loro medesimi. Alcuni di essi sopprimono del tutto generazione e corruzione: nulla di ciò che esiste è generato, dicono, e nulla si corrompe, ma è solo a noi che così pare, come Melisso e Parmenide e quelli della loro scuola. Costoro, anche se nel rimanente dicono bene, non è però da credere che parlino sul piano della scienza della natura. Perché, che alcuni enti siano ingenerati e sottratti in assoluto dal movimento, è cosa che appartiene piuttosto ad un altra scienza, che viene prima di quella naturale. Ma essi, poiché da una parte non concepivano l esistenza di un altra realtà al di fuori delle sostanze sensibili, e dall altra avevano per primi intuito degli enti di quella natura, enti senza dei quali non vi sarebbe stata né conoscenza né sapienza, così trasferirono alle sostanze sensibili le ragioni che venivano loro da quelli (trad. O. Longo) 31. Palmer ha ragione nel notare che, se Aristotele attribuisce questo argomento sia a Platone che a Parmenide e Platone stesso se ne serve espressamente nel quinto libro della Repubblica, bisogna supporre ragionevolmente che Platone per primo abbia interpretato il pensiero di Parmenide in questo modo 32. Quello che vorrei mostrare in questo contributo è che il passo della Repubblica viene confermato quasi letteralmente, e certamente nel suo significato, da altri due passi platonici molto chiari e di indubbio valore filosofico: Crat. 439b10-440c1 e Tim. 51d-52a 33. Il passo del Cratilo è inserito in una discussione sui nomi. Il problema che pone Socrate è il seguente: se è possibile apprendere le cose tramite i nomi, δη ὀλνκάησλ, ma anche tramite le cose 29 Metaph. Μ b Cfr. FINE, 1993, p. 44 sgg. 31 Οἱ κὲλ νὖλ πξόηεξνλ θηινζνθήζαληεο πεξὶ ηῆο ἀιεζει αο θαὶ πξὸο νὓο λυ λ ιε γνκελ ἡκει ο ιόγνπο θαὶ πξὸο ἀιιήινπο δηελε ρζεζαλ. Οἱ κὲλ γὰξ αὐηῶλ ὅισο ἀλει ινλ γε λεζηλ θαὶ θζνξάλ νὐζὲλ γὰξ νυ ηε γι γλεζζαι θαζηλ νυ ηε θζει ξεζζαη ηῶλ ὄλησλ, ἀιιὰ κόλνλ δνθει λ ἡκι λ, νἷνλ νἱ πεξὶ Με ιηζζόλ ηε θαὶ Παξκελι δελ, νυ ο, εἰ θαὶ ηἆιια ιε γνπζη θαιῶο, ἀιι' νὐ θπζηθῶο γε δει λνκι ζαη ιε γεηλ ηὸ γὰξ ει λαη ἄηηα ηῶλ ὄλησλ ἀγε λεηα θαὶ ὅισο ἀθι λεηα κᾶιιόλ ἐζηηλ ε ηε ξαο θαὶ πξνηε ξαο ἢ ηῆο θπζηθῆο ζθε ςεσο. θει λνη δὲ δηὰ ηὸ κεζὲλ κὲλ ἄιιν παξὰ ηὴλ ηῶλ αἰζζεηῶλ νὐζι αλ ὑπνιακβάλεηλ ει λαη, ηνηαύηαο δε ηηλαο λνῆζαη πξῶηνη θύζεηο, εἴπεξ ἔζηαη ηηο γλῶζηο ἢ θξόλεζηο, νυ ησ κεηήλεγθαλ ἐπὶ ηαυ ηα ηνὺο ἐθει ζελ ιόγνπο. 32 Cfr. PALMER, 1999, p Uno dei pochi a sottolineare in modo chiaro questo fatto è KAHN, 1996, pp
9 stesse, δη αὐηῶλ, quale modo sarà più bello e più chiaro, θαιιίσλ θαὶ ζαθεζηέξα? Essendo i nomi immagini delle cose, Socrate ritraduce significativamente questa domanda in una sua versione più esplicita: ἐθ ηῆο εἰθόλνο καλζάλεηλ αὐηήλ ηε αὐηὴλ εἰ θαιῶο εἴθαζηαη, θαὶ ηὴλ ἀιήζεηαλ ἧο ἦλ εἰθώλ, ἢ ἐθ ηῆο ἀιεζει αο αὐηήλ ηε αὐηὴλ θαὶ ηὴλ εἰθόλα αὐηῆο εἰ πξεπόλησο εἴξγαζηαη; Apprendere l immagine stessa dall immagine, se è rappresentata correttamente, e la verità della quale è immagine, oppure apprendere la verità stessa e la sua immagine dalla verità, se è fatta in modo adeguato? Cratilo non ha difficoltà a preferire il secondo corno della domanda: apprendere dalla verità stessa. Socrate si rallegra dell accordo raggiunto: non è dai nomi, ma è piuttosto dalle cose stesse che si deve partire per cercare e apprendere, θαὶ καζεηένλ θαὶ δεηεηένλ. Il modo in cui poi si debbano apprendere le cose in quanto tali, precisa Socrate, supera forse le mie e le tue capacità (κει δνλ ἴζσο ἐζηὶλ ε γλσθέλαη ἢ θαη ἐκὲ θαὶ ζέ). Socrate interroga allora Cratilo sull azione di coloro che posero i nomi: se lo hanno fatto pensando che le cose mutino e scorrano sempre, come pare pensassero, non sono caduti loro per primi in un vortice e, di conseguenza, noi? Viene così introdotta, attraverso una domanda di esistenza l ipotesi delle idee: ζθε ςαη γάξ, ὦ ζαπκάζηε Κξαηύιε, ὃ ἔγσγε πνιιάθηο ὀλεηξώηησ. πόηεξνλ θῶκε λ ηη ει λαη αὐηὸ θαιὸλ θαὶ ἀγαζὸλ θαὶ ἓλ ἕθαζηνλ ηῶλ ὄλησλ νυ ησ, ἢ κή; Indaga, dunque, meraviglioso Cratilo, ciò che sogno spesso. Dobbiamo dire che il bello in sé, il buono in sé e così ciascuna delle cose stesse sono qualcosa, oppure no? Si tratta di una domanda di esistenza, non di definizione. Socrate non chiede cosa siano il bello o il buono in sé, ma chiede se esistano. Non è, dunque, un occorrenza del ηί ἐζηη socratico, ma a tutti gli effetti una domanda circa l esistenza o meno di un oggetto 34. Quello che Socrate vuole sapere subito dopo la concessione da parte di Cratilo dell esistenza degli enti in sé è se questi, come tutte le altre cose, scorrano, oppure no. Se il bello in sé deve sempre e necessariamente essere uguale a se stesso, esso non può scorrere, perché il fluire implica il cambiamento, dunque la perdita dell auto-identità. Cratilo non può che assentire. Socrate pone allora la domanda decisiva: come può essere qualcosa che non è mai allo stesso modo (πῶο νὖλ ἂλ εἴε ηὶ ἐθει λν ὃ κεδε πνηε ω ζαύησο ἔρεη;)? Ma se il mutare implica il non essere uguale a se stesso, è chiaro che ciò che è sempre uguale a se stesso non muta mai. Esiste dunque una forte opposizione tra ciò che sempre permane com è e ciò che invece diviene. A 440a questa distinzione assume un netto connotato epistemologico: 34 Cfr. TRABATTONI, 1998, pp
10 Ἀιιὰ κὴλ νὐδ' ἂλ γλσζζει ε γε ὑπ' νὐδελόο. ἅκα γὰξ ἂλ ἐπηόληνο ηνυ γλσζνκε λνπ ἄιιν θαὶ ἀιινι νλ γι γλνηην, ὥζηε νὐθ ἂλ γλσζζει ε ἔηη ὁπνι όλ γε ηι ἐζηηλ ἢ πῶο ἔρνλ γλῶζηο δὲ δήπνπ νὐδεκι α γηγλώζθεη ὃ γηγλώζθεη κεδακῶο ἔρνλ. Ma [ciò che si muove sempre] nemmeno potrebbe essere conosciuto da qualcuno. Perché nello stesso momento in cui qualcuno gli si avvicinasse con lo scopo di conoscerlo, quello diventerà altro e di diverso aspetto, tanto che non potrà essere conosciuto quale è o come è: nessuna conoscenza conosce ciò che conosce, se ciò non è in alcun modo. Cratilo acconsente, dunque Socrate può trarre la propria conclusione (440a6-d6): Ma non sembra nemmeno verosimile affermare, Cratilo, che ci sia conoscenza, se tutte le cose mutano e nessuna permane. Se infatti questa stessa cosa dell essere conoscenza, dico la conoscenza, non muta, allora la conoscenza può sempre permanere ed essere conoscenza. Ma se anche la forma stessa della conoscenza muta, può insieme mutare in una forma diversa di conoscenza e non essere conoscenza. E se essa muta sempre, non sarà mai conoscenza e, secondo questo ragionamento, non ci sarà mai né chi conoscerà né ciò che sarà conosciuto. Se invece ciò che conosce è sempre, sempre esiste ciò che è conosciuto, vale a dire il bello, il giusto, e ciascuna singolarmente delle cose che sono, se è così, non mi pare proprio che queste stesse cose siano come stiamo dicendo ora, simili a una corrente e a un flusso. Temo non sia facile esaminare se le cose stiano così o nel modo in cui dicono quelli della cerchia di Eraclito e molti altri; né è da uomo assennato, prestando fiducia ai nomi e a coloro che li posero, affidandogli la cura di se stesso e della propria anima, insistere come sapesse qualcosa e condannare se stesso e le cose che sono del fatto che nulla di nulla è sano, ma tutte le cose scorrono come vasi di creta, e credere che, come uomini malati di catarro, così stiano le cose, tutte in preda al flusso e malate di catarro 35. Solo se esistono dei riferimenti stabili, vale a dire sottratti al divenire, si dà la conoscenza. Gregory Vlastos ha difeso la tesi per cui Platone riterrebbe reali le idee perché cognitevely reliable, ma in realtà Platone, come suggerisce il passo appena citato, segue il percorso inverso: proprio perché le idee sono in senso proprio, allora sono cognitivamente affidabili 36. Una conferma arriva dal passo del Timeo. Anche in questo caso si tratta di introdurre nel discorso l esistenza di realtà intelligibili (51b7-c5): 35 Ἀιι' νὐδὲ γλῶζηλ ει λαη θάλαη εἰθόο, ὦ Κξαηύιε, εἰ κεηαπι πηεη πάληα ρξήκαηα θαὶ κεδὲλ κε λεη. εἰ κὲλ γὰξ αὐηὸ ηνυ ην, ἡ γλῶζηο, ηνυ γλῶζηο ει λαη κὴ κεηαπι πηεη, κε λνη ηε ἂλ ἀεὶ ἡ γλῶζηο θαὶ εἴε γλῶζηο. εἰ δὲ θαὶ αὐηὸ ηὸ ει δνο κεηαπι πηεη ηῆο γλώζεσο, ἅκα η' ἂλ κεηαπι πηνη εἰο ἄιιν ει δνο γλώζεσο θαὶ νὐθ ἂλ εἴε γλῶζηο εἰ δὲ ἀεὶ κεηαπι πηεη, ἀεὶ νὐθ ἂλ εἴε γλῶζηο, θαὶ ἐθ ηνύηνπ ηνυ ιόγνπ νυ ηε ηὸ γλσζόκελνλ νυ ηε ηὸ γλσζζεζόκελνλ ἂλ εἴε. εἰ δὲ ἔζηη κὲλ ἀεὶ ηὸ γηγλῶζθνλ, ἔζηη δὲ ηὸ γηγλσζθόκελνλ, ἔζηη δὲ ηὸ θαιόλ, ἔζηη δὲ ηὸ ἀγαζόλ, ἔζηη δὲ ἓλ ἕθαζηνλ ηῶλ ὄλησλ, νυ κνη θαι λεηαη ηαυ ηα ὅκνηα ὄληα, ἃ λυ λ ἡκει ο ιε γνκελ, ρ νη νὐδὲλ νὐδὲ θνξᾷ. ηαυ η' νὖλ πόηεξόλ πνηε νυ ησο ἔρεη ἢ ἐθει λσο ω ο νἱ πεξὶ Ἡξάθιεηηόλ ηε ιε γνπζηλ θαὶ ἄιινη πνιινι, κὴ νὐ ρ ᾴδηνλ ᾖ ἐπηζθε ςαζζαη, νὐδὲ πάλπ λνυ λ ἔρνληνο ἀλζξώπνπ ἐπηηξε ςαληα ὀλόκαζηλ αὑηὸλ θαὶ ηὴλ αὑηνυ ςπρὴλ ζεξαπεύεηλ, πεπηζηεπθόηα ἐθει λνηο θαὶ ηνι ο ζεκε λνηο αὐηά, δηηζρπξι δεζζαη ὥο ηη εἰδόηα, θαὶ αὑηνυ ηε θαὶ ηῶλ ὄλησλ θαηαγηγλώζθεηλ ω ο νὐδὲλ ὑγηὲο νὐδελόο, ἀιιὰ πάληα ὥζπεξ θεξάκηα ρ ει, θαὶ ἀηερλῶο ὥζπεξ νἱ θαηάξξῳ λνζνυ ληεο ἄλζξσπνη νυ ησο νἴεζζαη θαὶ ηὰ πξάγκαηα δηαθει ζζαη, ὑπὸ ρ εύκαηόο ηε θαὶ θαηάξξνπ πάληα [ηὰ] ρξήκαηα ἔρεζζαη. 36 Cfr. VLASTOS, Contra TELOH, 1981, p
11 Il fuoco è qualcosa? e tutte le cose di cui sempre diciamo così, che sono ciascuna in sé e per sé? oppure le cose che anche vediamo e quelle altre che percepiamo attraverso il corpo sono le sole ad avere simile verità, anzi oltre queste non ve ne sono affatto in alcun luogo, ma ogni volta diciamo invano che c è una certa forma intelligibile di ciascuna cosa, e questo è un parlare a vuoto? 37 Si precisa poco oltre che il tema è estremamente rilevante, tuttavia, se si riuscisse a trovare una buona distinzione in poche parole, sarebbe decisamente opportuno (εἰ δε ηηο ὅξνο ὁξηζζεὶο κε γαο δηὰ βξαρε σλ θαλει ε, ηνυ ην κάιηζηα ἐγθαηξηώηαηνλ γε λνηη' ἄλ). Questa viene trovata ponendo la distinzione netta tra λνυ ο e δόμα ἀιεζήο in un modo che connette la possibilità della conoscenza all esistenza di un genere non sensibile di realtà (51d3-e4): Se l intelligenza e la retta opinione sono due generi diversi, esistono certamente queste cose in sé e per sé, che non possiamo cogliere con i sensi ma solo pensare; se invece, come alcuni credono, la retta opinione non differisce affatto dall intelligenza, bisogna porre come assolutamente stabili tutte le cose che percepiamo attraverso il corpo. Ma si deve dire che sono due [i generi della conoscenza], perché si formano separatamente e risultano dissimili. Infatti, l uno di essi attraverso l insegnamento, l altro invece si ingenera in noi attraverso la persuasione; l uno è sempre accompagnato da un ragionamento vero, l altro è invece privo di ragione; l uno non è alterato dalla persuasione, l altro invece cambia per essa 38. È facilmente riconoscibile il modus ponens dell argomento fondato sulla possibilità della conoscenza: se la conoscenza è possibile, esistono entità non fisiche; essa è possibile (i.e. due sono i generi di conoscenza e sono distinti); allora esistono entità non fisiche. Una petitio principii? L argomento platonico si espone a un obiezione. È senz altro corretto, infatti, che esistano le idee, se la conoscenza è possibile (i.e. un sapere stabile che si fonda su entità stabili non corporee), ma è una petitio principii affermare che la conoscenza è possibile. Uno scettico obietterebbe che la 37 ἆξα ἔζηηλ ηη πυ ξ αὐηὸ ἐθ' ε απηνυ θαὶ πάληα πεξὶ ὧλ ἀεὶ ιε γνκελ νυ ησο αὐηὰ θαζ' αὑηὰ ὄληα ἕθαζηα, ἢ ηαυ ηα ἅπεξ θαὶ βιε πνκελ, ὅζα ηε ἄιια δηὰ ηνυ ζώκαηνο αἰζζαλόκεζα, κόλα ἐζηὶλ ηνηαύηελ ἔρνληα ἀιήζεηαλ, ἄιια δὲ νὐθ ἔζηη παξὰ ηαυ ηα νὐδακη νὐδακῶο, ἀιιὰ κάηελ ε θάζηνηε ει λαι ηι θακελ ει δνο ε θάζηνπ λνεηόλ, ηὸ δ' νὐδὲλ ἄξ' ἦλ πιὴλ ιόγνο; 38 εἰ κὲλ λνυ ο θαὶ δόμα ἀιεζήο ἐζηνλ δύν γε λε, παληάπαζηλ ει λαη θαζ' αὑηὰ ηαυ ηα, ἀλαι ζζεηα ὑθ' ἡκῶλ εἴδε, λννύκελα κόλνλ εἰ δ', ὥο ηηζηλ θαι λεηαη, δόμα ἀιεζὴο λνυ δηαθε ξεη ηὸ κεδε λ, πάλζ' ὁπόζ' αὖ δηὰ ηνυ ζώκαηνο αἰζζαλόκεζα ζεηε νλ βεβαηόηαηα. δύν δὴ ιεθηε νλ ἐθει λσ, δηόηη ρσξὶο γεγόλαηνλ ἀλνκνι σο ηε ἔρεηνλ. ηὸ κὲλ γὰξ αὐηῶλ δηὰ δηδαρῆο, ηὸ δ' ὑπὸ πεηζνυ ο ἡκι λ ἐγγι γλεηαη θαὶ ηὸ κὲλ ἀεὶ κεη' ἀιεζνυ ο ιόγνπ, ηὸ δὲ ἄινγνλ θαὶ ηὸ κὲλ ἀθι λεηνλ πεηζνι, ηὸ δὲ κεηαπεηζηόλ 175
12 prima premessa è corretta, ma la seconda è errata, dunque è falso che esistono le idee. Anche questo è, in un certo senso, un problema parmenideo: cosa ne sarebbe, infatti, se si obiettasse alla Dea che non esiste nulla come l essere perfettamente rotondo di cui parla, dunque la coalescenza di pensiero ed essere non è giustificata 39? Come risponde Platone a questa obiezione? Curiosamente, il filosofo non sente l esigenza di giustificare sul piano teorico la possibilità della conoscenza quanto un filosofo moderno: la conoscenza, infatti, per lui si dà. Piuttosto, Platone insiste sul piano performativo: tutti gli uomini vivono come se la conoscenza si desse. Vi sono infatti opinioni che tutti ritengono migliori delle altre, e tali perché hanno successo, mentre le altre no: è la conoscenza, non l opinione, che garantisce questo successo. Illuminante, a riguardo, un passo del Teeteto, 170b, in cui si legge che in caso di guerra, di malattia e di tempesta, gli uomini non si affidano a un opinione come a un altra, ma si affidano come a un dio a chi, in ciascuna attività, è riconosciuto superiore per sapienza, aspettandosi da lui la salvezza (ὥζπεξ πξὸο ζενὺο ἔρεηλ ηνὺο ἐλ ε θάζηνηο ἄξρνληαο, ζσηῆξαο ζθῶλ πξνζδνθῶληαο, νὐθ ἄιιῳ ηῳ δηαθε ξνληαο ηῷ εἰδε λαη). Poco oltre, a 171e, il dialogo rincara la dose: riguardo la salute e la malattia, è falso che ogni donnetta, fanciullo o bestia sia in grado di curarsi adeguatamente, anzi vi è qualcuno ζνθώηεξνλ cui affidarsi. È la cura del medico, che conosce la malattia e la salute, che guarisce. Ciò trova una sintesi in un passo dell Eutidemo, 279e-280a, in cui si legge che ἡ ζνθι α δήπνπ εὐηπρι α ἐζηι λ: è il sapere che garantisce il successo. È lo stratego sapiente che sa condurre gli eserciti alla vittoria e il flautista che conosce l arte del flauto che produce una buona melodia, al contrario di chi non conosce l arte. Conclusioni Contrariamente a come viene spesso schematizzata la filosofia di Platone, il filosofo non ha prima assunto le idee e poi, di conseguenza, spiegato la realtà e la nostra esperienza, ma, al contrario, partendo dall evidenza che la conoscenza è possibile e che la ζνθία garantisce il successo, si è domandato quali tipo di entità devono esistere perché una simile condizione sia possibile. Ovviamente è lecito dissentire da Platone o da alcuni dei suoi presupposti, ad esempio l eleatismo, ma il punto in questione è un altro: possiamo giustificare la conoscenza diversamente? Platone ritiene che non sia possibile. Questo perché la conoscenza, in quanto ἐπηζηήκε, è per definizione stabile e nessuno degli oggetti concreti può vantare simile statuto ontologico: di una realtà instabile si dà solo opinione. Se dunque esiste la conoscenza, devono esistere entità stabili, sottratte al divenire e, pertanto, incorporee: tali entità sono le idee. L argomento che prova le idee discusso nel presente contributo è dunque un argomento epistemologico, privo, in quanto tale, di 39 Introduce questo punto PALMER, 1999, pp. 45 sgg. 176
13 aspetti morali o politici. Il fatto che le forme che esso prova (almeno nelle intenzioni di Platone) abbiano soprattutto valore morale e politico non riguarda direttamente l argomento, ma piuttosto le sue ricadute nella vita pratica. L argomento, insomma, non prova le idee perché devono esistere riferimenti oggettivi della morale, ma perché devono esistere riferimenti oggettivi della conoscenza: tali riferimenti, tuttavia, sono rilevanti soprattutto in sede morale. Bibliografia ANNAS, J., An Introduction to Plato s Republic, Oxford: Oxford University Press, 1981 BLUCK, R.S., Knowledge by Acquaintance in Plato s Theaetetus, in: Mind, 72, 1963, pp BONAZZI, M., Platone, Menone, Traduzione a cura di M.B., Torino: Einaudi, 2010 CRYSTAL, I., Parmenidean Allusions in Republic V, in: Ancient Philosophy, XVI, 1996, pp GONZALEZ, F., Propositions or Objects? A Critique of Gail Fine on Knowledge and Belief in Republic V, in: Phronesis, XLI, 1996, pp GONZALEZ, F., Perché non esiste una teoria platonica delle idee, in Platone e la tradizione platonica. Studi di filosofia antica, a cura di M. Bonazzi - F. Trabattoni, Milano: Cisalpino, 2003, pp von HELMHOLTZ, H., The Recent Progress of the Theory of Vision, in ID. Popular Lectures on Scientific Subjects, With a new Introduction by Andrew Pyle, Vol. I, London: Longmans, Green, 1996 KAHN. C.H., Being in Parmenides and Plato, in La Parola del Passato, 43, 1988,, pp FERRARI, F., Teoria delle idee e ontologia, in: Platone, La Repubblica, a cura di M. Vegetti, vol. IV, Napoli 2000, pp FINE, G., Knowledge and Belief in Republic V, in: Archiv für Geschichte der Philosophie, LX, 1978, pp FINE, G., On ideas. Aristotle s Criticism of Plato s Theory of Forms, Oxford: Oxford University Press, 1993 FORCIGNANÒ, F. (2016a), Idee e concetti. A proposito di un passo del Parmenide, Rivista di Filosofia Neo-Scolastica, 3, 2016, pp FORCIGNANÒ, F. (2016b), Forme, linguaggio, sostanze. Il dibattito sulle idee nell Academia antica, Milano: Mimesis, FORCIGNANÒ, F., Experience without Self-justification: the Sticks and Stones Argument in the Phaedo, in Phaedo. Brasilia International Society Proceedings, ed. by F. Bravo, G. Cornelli and T.M. Robinson, Sankt Augustin: Academia Verlag, in corso di stampa FREDE, M., Being and Becoming in Plato, in: Oxford Studies in Ancient Philosophy, S.V., 1988, pp GOSLING, J., Republic. Book V: ηὰ πνιιὰ θαιά etc., in: Phronesis, 5/2, 1960, pp KAHN, C.H., Plato and the socratic dialogue. The philosophical use of a literary form, Cambridge: Cambridge University Press, 1996 MORAVCSIK, J., Plato and Platonism: Plato s Conception of Appearance and Reality in Ontology, Epistemology, and Ethichs, and its Modern Echoes, Oxford-Cambridge (Mass.): Blackwell,
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