L ORTOTONESI E L ENCLISI DEL PRONOME GRECO

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1 L ORTOTONESI E L ENCLISI DEL PRONOME GRECO di Giovanni Costa 1. Sulle parole inclinate in generale. pg Sull accento del pronome. pg Bibliografia. pg. 16

2 1. Sulle parole inclinate in generale. Inclinata è una parola con accento acuto sulla finale (ossitona), che si volge in accento grave secondo la costruzione del discorso, Erodiano cita Omero, εἰ μὴ μητρυιὴ περικαλλὴς Ἠερίβοια (IL. V, 389) 1 (se la bellissima Eeribea matrigna non). Invece è enclitica una parola che mutando il proprio accento acuto trasforma in acuto l accento grave della parola precedente, alla quale parola spesso accade di avere un ulteriore accento, come δώματά μοι e Ἀρκεσίλαός τε. Enclitica insieme con altre è una costruzione di due o più parole enclitiche poste l una dopo l altra, ad esempio, ἤ νύ σέ που δέος ἴσχει (IL. V, 812) (o dunque per avventura lo spavento ti possiede). Infatti, l ἤ è ossitono a causa del νύ enclitico, il νύ lo è a causa del pronome σέ il quale lo è a causa della congiunzione parapleromatica ποῦ. La parola inclinata differisce dall enclitica in quanto essa è nome comune di ogni parola ossitona secondo la sillaba finale che muta l accento in grave, mentre la parola enclitica anche trasporta l accento sulla sillaba precedente se le proprietà del discorso lo richiedono. Dunque, ogni parola enclitica è monosillaba o bisillaba ed ogni parola enclitica di più di una sillaba è di due o tre tempi. Infatti, l accento di una parola non può risalire indietro per più di tre sillabe. Ogni parola inclinata o è ossitona o è perispomena (accento circonflesso sulla finale), ma non è mai baritona, cioè non ha mai l ultima sillaba inaccentuata come χρῆμα, χρήματα. Ogni parola enclitica si dispone dopo di quella che inclina il proprio accento, ἦλθέ τις, ἔδωκάς μοι, ἤκουσά σου. Sappiamo che le parti del discorso sono otto, cinque hanno parole enclitiche, nome, verbo, pronome, avverbio e congiunzione. Delle parole inclinate le une lo sono a motivo d ordinamento come i verbi e le congiunzioni, le altre a motivo di significato, come le restanti. Certamente, tra i nomi 2 il solo τίς è enclitico, come i suoi casi, questo quando esso è usato in maniera indefinita, come ἦλθέ τις, ἐλάλησέ τις, nelle quali espressioni esso è anche sempre posposto. Invero il τίς muta in acuto l accento grave precedente, nel εἰ μέν τις τὸν ὄνειρον (IL. II, 80) (se qualcuno il sogno), τινός lo muta nel μή τινος, τινί nel οὔ τινι κοιμηθεῖσα (Esiod. Teog. 213) (senza giacersi con nessuno), τινά lo muta nel καί τινα Τρϊάδων (IL. XVIII, 122) (e qualcuna delle Troiane), τινές lo muta nel οἵ τινες ἀνέρες εἶεν (OD. IX, 89) (quali mai uomini), τινάς lo muta nel Οὕς τινας αὖ μεθιέντας ἴδοι (IL. IV, 240) (Quelli che vedeva renitenti). Invero il τεῦ ha il medesimo significato di τινός, ἀλλ οὔ τευ οἶδα (ma non conosco nessuno). Poi il τῷ ha il medesimo significato di τινί, come οὔτε σοὶ οὔτε τῳ ἄλλῳ (IL. I, 299) (né con te né con alcun altro). Le parole di τίς aventi l accento di propria natura sono interrogative; τίς, τίνος, τίνι, τίνα. Tra i verbi sono enclitici il φημί ed il εἰμί; πεζὸς δ ἕνδεκά φημι (IL. IX, 329) (e undici combattenti a piedi io dico), τόσσον ἐγώ φημι (IL. II, 129) (Di tanto io dico). Ma la seconda persona di questo verbo, φῄς, non è enclitica, mentre la terza persona lo è, τί φησιν οὗτος (frase costruita da Erodiano) (cosa dice costui). Talvolta anche i plurali sono enclitici, ἐκεῖνό φαμεν ἤ φατε ἤ φασιν (esempio di Erodiano). Ancora il verbo εἰμί; Διὸς δέ τοι ἄγγελός εἰμι, (IL. II, 26). E da rilevare che la seconda persona singolare εἴς epica, invece, è enclitica, αἵματός εἰς ἀγαθοῖο (OD. IV, 611) (sei di nobile sangue). Anche la forma ἐσσί, seconda persona singolare, è enclitica, σχέτλιός ἐσσι, γεραιέ (IL X, 164) (sei instancabile o vecchio). La forma ἔστιν quando inizia il discorso o quando è posposta alla negazione οὔ o alle congiunzioni εἴ o ἀλλά o all avverbio ὡς o al τοῦτο, allora ha l accento acuto sulla ε, come; 1 Questo è il testo del Van Leeuwen Mendes da Costa, il testo del Monro Allen riporta una virgola dopo μητρυιή, con conseguente accento acuto su questa parola. 2 Gli antichi grammatici classificavano il τίς indefinito tra i nomi invece che tra i pronomi, come avviene oggi. 2

3 ἔστι πόλις Ἐφύρη μυχῷ Ἄργεος ἱπποβότοιο, (IL. VI, 152) (vi è una città Efira in un insenatura di Argo che nutre cavalli,), οὐκ ἔστ οὐδὲ ἔοικε τεὸν ἔπος ἀρνήσασθαι. (OD. VIII, 358) (non si può né conviene opporsi a quanto tu dici.), ὡς ἔστι κακὸν ἀμαθία, εἰ ἐστιν οὕτως, ἀλλ ἔστιν εἰπεῖν, τοῦτ ἐστιν ἁμάρτημα (esempio di Erodiano, Prosodia Catholica pg. 553,15) (come stoltezza è male, se è così, non è possibile dire, ciò è peccato). Qualora, invece, ἐστίν sia postposto ad una parola ossitona o perispomena 3, è enclitico, come καλός ἐστιν, Ἑρμῆς ἐστιν, o sia posposta ad un trocheo 4 non parossitono ma properispomeno, come οἶκός ἐστιν, δῆμός ἐστι. Si deve aggiungere, se il ttrocheo non ha l ultima sillaba lunga per posizione, come è il caso in φοῖνιξ ἐστί, κῆρυξ ἐστί. Infatti, a cagione dell aggiunta della ξ non avviene l enclisi. Ho detto un trocheo non parossitono a causa del φύλλα ἐστίν. Infatti, questo trocheo è parossitono, non properispomeno ed a causa di ciò l ἔστιν non ha l enclisi ma ha l accento acuto sulla ι. Dunque l enclisi avviene con una parola ossitona, κακός ἐστιν, con una proparossitona ἄκακός ἐστι, con una perispomena Ἑρμῆς ἐστι, con una properispomena, φαῦλός ἐστιν. Qualora le parole stiano come si è prima esposto, ἔστιν riceve l accento sulla ι e qualora esso sia preceduto da un trocheo parossitono come μάντις, πόρνος od un trocheo perispomeno avente l ultima sillaba lunga per posizione, come hanno le parole φοῖνιξ, κῆριξ, ovvero esso sia preceduto da uno spondeo 5 ugualmente parossitono come ἕρως, εἵλως o da uno giambo 6 nuovamente parossitono, come ἥρως, γέλως o esso sia preceduto da un pirrichio 7, come λόγος, πόνος, allora ἔστιν riceve l accento sulla ι, come μάντις ἐστίν, φοῖνιξ ἐστίν, ἥρως ἐστί, γέλως ἐστί, λόγος ἐστί. La voce duale ἐστόν (duale imperativo seconda persona presente) è enclitica, οἵ μοι σκυζομένῳ περ Ἀχαιῶν φίλτατοί ἐστον (IL. IX, 198) (voi che a me degli Achei siete i più cari a parte il mio sdegno). Anche le forme plurali del verbo εἰμί sono enclitiche, ἄνθρωποί ἐσμεν, ἄνθρωποί ἐστε, οὗτοί εἰσι. Non vi è parola enclitica dei participi, infatti essi si derivano sempre dal loro tema, sono mutazioni dei verbi. Neppure degli articoli nessuno è enclitico; infatti, la giustapposizione di essi si oppone a questa costruzione, in realtà essi sono prepositivi, mentre la parola enclitica si postpone sempre. Anche l articolo postpositivo, così gli antichi grammatici denominavano il pronome relativo, porta sempre il retto accento, ὃς μάλα πολλὰ πλάγχθη (OD. I, 1) (il quale andò errando a lungo); esso, infatti, è posto all inizio d una proposizione relativa e prima di esso vi è la virgola. Dei pronomi quelli possessivi non sono mai enclitici, quanto agli altri si vedrà al capitolo 2. Qui si vuole ricordare le forme ἥμων ed ὕμων, enclitiche di ἡμῶν ed ὑμῶν rispettivamente; infatti, l accento non può mai risalire per più di quattro tempi e così, in questo caso, esso rimane sulla parola enclitica. Esempio, ὃς δέ κεν ὕμεων (IL. XV, 494) (e colui che tra voi), il pronome ὕμεων è enclitico perché assoluto (vedasi cap. 2). 3 Le parole hanno la seguente denominazione secondo l accentuazione delle ultime tre sillabe; a) Ossitona, quando l ultima sillaba ha l accento acuto, come, βεβουλευκώς, καλός; b) Parossitona, quando la penultima sillaba ha l accento acuto, come, βουλεύω; c) Proparossitona, quando l antepenultima sillaba ha l accento acuto, come, ἄνθρωπος; d) Perispomena, quando l ultima sillaba ha l accento circonflesso, come, καλῶς; e) Properispomena, quando la penultima sillaba ha l accento circonflesso, come, χρῆμα, πρᾶγμα, αὖλαξ; f) Baritona, quando l ultima sillaba non è accentuata, come, χρῆμα, χρήματα. (Da Ausführliche Grammatik der Griechischen Sprache, I Teil, I Band, par. 79). 4 Trocheo, una sillaba lunga seguita da una breve. 5 Spondeo, due sillabe lunghe. 6 Giambo, una sillaba breve seguita da una lunga. 7 Pirrichio, due sillabe brevi. (Fonte Rocci). 3

4 Degli avverbi rialzano l accento sull ultima sillaba della parola precedente quelli che sono indeterminati e derivanti da avverbi interrogativi aventi il medesimo accordo grammaticale degli accenti e la medesima quantità delle sillabe. Certamente il ποῦ indefinito è enclitico, come nel verso εἴ που ἐσαθρήσειεν (IL. III, 450) (se in qualche parte scorgesse), mentre i corrispondenti avverbi interrogativi sono di retto accento, ma diventano enclitici una volta perso il significato interrogativo. Così, πότε, ποτέ τοι τρὶς τόσσα (IL. I, 213) (un giorno a te tre volte tanti), πόθι, πόθι τοι πόλις ἠδὲ τοκῆες; (OD. I, 170) (Dove hai la città, i genitori?), interrogativo, perdendo l interrogazione si ha, αἴ κέ ποθι Ζεύς (IL. I, 128) (se un giorno Zeus), così πῇ interrogativo, πῇ ἦλθες; (a quale luogo venisti?) e, avendo perduto l interrogazione, ἀλλά πῃ ἄλλῃ (OD. III, 251) (o per qualche altro luogo), così πόθεν, πόθεν ἦλθες; (donde venisti?) e, avendo perso l interrogazione, καί ποθεν ἐλθών (giunto da qualche parte), πῶς, interrogativo, πῶς ἦλθεν (come giunse), mentre, avendo perso l interrogazione, ἀλλ οὔ πως ἅμα πάντα (IL. IV, 320) (Ma non in qualche modo tutti insieme) anche senza la σ, μὴ δή πω ὑπ ὄχεσφι (IL. ΧΧΙΙΙ, 7) (non ancora in qualche modo dai carri). Le seguenti delle congiunzioni sollevano l accento acuto davanti a sé, delle copulative, τέ, καί τε θεοί ξείνοισιν (OD. XVII, 485) (E anche gli dei agli stranieri), κέν, καί κεν ἐλαφρότερος (IL. XXII, 287) (Poiché più lieve), κέ, καί κε τὸ βουλοίμην (IL. III, 41) (e questo preferirei); poi, delle congiunzioni parapleromatiche, τοί, τοιγὰρ ἐγώ τοι (OD. I, 214) (per conseguenza io a te), γέ, εἴ γε μὲν ἤδεις (se lo sapessi), τάρ, εἴ ταρ ὅγ εὐχωλῆς (IL. I, 65) 8 (se quello di un voto), νύ, μή νύ τοι οὐ χραίσμῃ σκῆπτρον καὶ στέμμα θεοῖο (IL. I, 28) (e ora non ti varranno lo scettro e la benda di un dio), νύν, δεῦρό νυν ἢ τρίποδος (IL. XXIII, 485) 9 (qui dunque o di un tripode), πέρ, μηδ οὓτως ἀγαθός περ ἑών (IL. I, 131) (neppure così essendo buono), θήν, οὔ θην Ἕκτορι πάντα (IL. X, 104) (non certamente tutti ad Ettore), ρά, ἄλλοι μέν ρα θεοί τε (IL. II,1) (Dunque gli altri dei). Invero non si prende l ἄρα come enclitico in quanto esso inizia per vocale. Infatti, come i pronomi diventano enclitici perdendo la ε iniziale, ἐμοῦ - μοῦ, ἐμοί - μοί, ἐμέ - μέ, così l ἄρα ha perduto la α e, diventando ρα, si è trasformato in congiunzione enclitica. Queste sono le parti del discorso enclitiche; ma esse non sono enclitiche casualmente, ma secondo una considerazione della parola che le precede. Invero le enclitiche di quattro tempi rimandano l enclisi sulla prima delle loro sillabe, poiché queste parti del discorso non necessitano nessuna osservazione della parola precedente, ἤκουσαν ἥμων, ἔδωκαν ἥμιν, questo giacchè l accento non risale giammai per più di quattro tempi e non cade mai, anche nelle parole con retto accento, più indietro di quattro tempi. Le restanti enclitiche rendono acuto l accento grave prima di loro, ma non possono fare ciò dopo qualunque sillaba; se avviene che la parola precedente sia spondaica e sia baritona, la baritonesi di questa eccita l accento acuto sull ultima sillaba, οὕτω που Διὶ μέλλει ὑπερμενέϊ φίλον εἶναι, (IL. II, 116) (Così in qualche modo deve essere caro a Zeus strapotente,), ἤδη τις εἶπεν (già qualcuno disse). Non poniamo l accento acuto né sulla sillaba τω dell οὕτω né sulla sillaba δη dell ἤδη. Ma neppure se avviene che la parola sia giambica e baritona si pone l accento acuto sull ultima sillaba, come λέβης τις (un lebete), ὅπως γε (come appunto). Neppure se la parola è pirrichiaca ed è baritona essa riceve l accento acuto sull ultima sillaba, come φίλος τις, ξένος τις. Infatti, su queste parole l enclisi è concepita col solo intelletto. Pertciò si osserva che il verso, ἔνθ ἔσάν οἱ πέπλοι παμποίκιλα ἔργα γυναικῶν (IL. VI, 289) (dove erano i suoi pepli dipinti a ricamo, opere di donne) 10. Infatti, il pronome οι è stato inclinato contro ragione, poiché la parola precedente è pirrichiaca; sappiamo dagli Scholia che ciò avviene per non confonderlo con l articolo. Si 8 Il testo del Monro Allen riporta εἴτ ἄρ ὅ γ εὐχολῆς. 9 Il testo del Monro Allen riporta δεῦρό νυν, ἢ τρίποδος. 10 Il testo del Monro Allen qui riporta ἔνθ ἔσαν οἱ πέπλοι, ma gli Scholia, Vol. I specificano che ἔσαν deve essere letto inclinato, così con due accenti, quantunque la parola precedente sia pirriachica, affinchè l οι non sia compreso come un articolo ma, bensì, come un pronome. 4

5 considerano ora i pronomi contenenti il gruppo di consonanti σφ; essi, infatti, rimandano l accento sulla parola precedente, come, Ἀτρείδής σφισι (a loro l Atride), ἔνθά σφεας ἐκίχανεν υἱὸς Δολίοιο Μελανθεὺς (OD. XVII, 212) 11 (qui si incontrò con loro il figlio di Dolio, Melanzio), ἵνά σφ ἀγορή τε θέμις τε (IL. XI, 807) 12 (dove essi (tenevano) i consigli e i processi), ἐπεί σφισι δῶκ ἐνοσίχθων (OD. VII, 35) (dunque l Enosigeo diede loro); ma ὅτις σφεας εἰσαφίκηται (OD. XII, 40) (chiunque sia che giunga da loro) Erodiano, nel ΠΕΡΙ ΟΔΥΣΣΕΕΙΑΚΗΣ ΠΡΟΣΩιΔΙΑΣ, dà la lezione ὅτί σφεας, che si ritiene più corretta di quella riportata dal testo del Monro Allen, perché σφεας, senza accento, quindi enclitico, deve pur ridestarlo sulla parola precedente. Gli Scholia Townleyana, come l opera citata, specificano che il pronome cominciante per σφ eccita davanti a sé l accento acuto, sia in caso di spondeo (due sillabe lunghe), che di pirrichio (due sillabe brevi), che di giambo (una sillaba breve seguita da una lunga). Essi specificano, inoltre, che questo verso deve essere opposto a, οὐ γὰρ οἶδ εἰ ἔτι σφιν ὑπότροπος ἵζομαι αὖτις, (IL. VI, 367) (Vero è che non so se farò ancora ritorno tra loro,), Qui, il ΠΕΡΙ ΙΛΙΑΚΗΣ ΠΡΟΣΩιΔΙΑΣ specifica cha sarebbe stato necessario che ἔτι avesse due accenti perché il pronome successivo inizia con σφ e non porta accento. Erodiano cita come esempi di retta accentuazione IL XXIII, 138 (ὅθί σφισι) ed IL. XIV, 134 (ἦρχε δ ἄρά σφιν ἄναξ ἀνδρῶν Ἀγαμέμνων.) (Qui il testo del Monro Allen riporta ἄρα σφιν.). Per cui Il. VI, 367 è un caso segnalato. Poi Erodiano presenta un esempio da lui coniato πολλάκίς σφεας (spesso loro) (ΠΡΟΣΩιΔΙΑΣ ΤΗΣ ΚΑΤΑ ΣΨΝΤΑΞΙΝ, Grammatici Graeci III I pg. 562,16). Certamente, se la parola che precede la parte enclitica è proparossitona, si solleva l accento sulla sua sillaba finale, come ἄνθρωπός τις, infatti, nella sillaba αν è posto anche l accento acuto sulla sillaba πος. Ἄρκεσίλαός τε, ἤκουσέ μου, Ὁμηρός ἐστι, ἄνθρωποί εἰσι, κάκιστοί εἰσιν. Infatti, solamente negli avverbi e nei desiderativi i dittonghi αι e οι sono lunghi, nelle restanti parole non lo sono più. Ugualmente se la parola precedente è properispomena, una volta avvicinata una parola enclitica, essa solleva l accento sulla sillaba finale seguente, come οἶκός τις, Σχοῖνόν τε Σκῶλόν τε (IL. II, 497) (Scheno, Scolo), γυναῖκές εἰσιν, eccetto che se è posto prima un trocheo (una sillaba lunga seguita da una breve) properispomeno avente l ultima sillaba lunga per posizione, come φοῖνιξ ἐστί, κῆρυξ ἐστίν. Qualora, invece, sia parossitona pur essendo trocaica, essa solleva l accento sulla finale, ἄλλός τις, ἔστί τις, Λάμπέ τε (IL. VIII, 185) 13 (e Lampo), φύλλά τε καὶ φλοιόν (IL. I, 237) 14 (e di foglie e di scorza). Inoltre, le parole ossitone, aventi accento grave a motivo dell essere dette insieme ad altre parole, come Ζεύς, Ζεὺς δέ, καλός, καλὸς ἄνθρωπος, qualora dopo di esse sia posta una parola enclitica, trasformano l accento grave in acuto, αὐτός, αὐτός μοι, Ζεύς, Ζεύς τε. Μα il τίς conserva l accento acuto, τίς πόθεν εἰς ἀνδρῶν (IL. XXI, 150) (Chi sei degli uomini.?). Inoltre un segno d interpunzione non muta l accento acuto in grave, ὠκὺς Ἀχιλλεύς (IL. I, 84) (veloce Achille;). Ma se la parola è perispomena, essa conserva, prima d un enclitica, l accento circonflesso, καλῶς μοι, σαφῶς γε, ποῖ ποτε, πῇ με φέρεις; 11 Il testo del Monro Allen qui riporta ἔνθα σφέας, ma si deve notare che σφέας ha, al massimo in caso di α lunga, tre tempi, per cui potendo l accento risalire sino al quarto tempo è più logica la versione riportata da Erodiano nel ΠΡΟΣΩιΔΙΑΣ ΤΗΣ ΚΑΤΑ ΣΨΝΤΑΞΙΝ ΤΩΝ ΛΕΞΕΩΝ in Grammatici Graeci III,I pg. 562, Il testo del Monro Allen riporta ἵνα σφ ; ma non è corretto perché σφ è enclitico. 13 Il testo del Monro Allen riporta Λάμπε τε, gli Scholia non dicono niente in proposito. 14 Il testo del Monro Allen riporta φύλλα τε καὶ φλοιόν, gli Scholia non ci vengono in aiuto. Si deve rilevare che IL. VIII, 185 ed IL. I, 237 sono riportati come esempi da Erodiano in Grammatici Graeci III,I pg. 563,3s. Ritengo che anche Erodiano abbia le sue buone ragioni. 5

6 Qualora accada che più enclitiche siano posizionate una di seguito all altra, vi saranno molti accenti acuti paralleli, come presso Omero, ἤ νύ σέ που δέος ἴσχει ἀκήριον (IL. V, 812) (o forse t ha preso avvilente paura) Anche, εἴ πού τίς τινα ἴδοι (Thuc. IV, 47, 3) (se qualcuno vedeva un suo nemico). Infatti, in ambedue i casi sono tre gli accenti acuti uno di seguito all altro. Ma è possibile pensarne anche di più. Ma se essendovi delle parole enclitiche parallele vi sia nel mezzo una parola perispomena come riguardo a ποῦ, πῇ, πῶς e dopo di questa venga posta un altra parola enclitica, questa perispomena né prende l accento acuto sulla finale, né quello circonflesso a causa del ritirare il proprio accento; poiché la parola perispomena non è nata secondo il costume comune, a mutarsi in acuta quando non è seguita da un espansione, come, οὔ πως ἐστ Ἀγέλαε (OD. XXII, 136) 15 (Non esiste proprio o Agelao). Si noti che qui l accento acuto è riportato sul solo dittongo ου. Erodiano riporta anche l esempio da lui creato, ἄνθρωπόν τινά που φησι μελωδεῖν (Grammatici Graeci ΙΙΙ I pg 563,27) (dice che in qualche luogo un uomo canta); qui l accento acuto è posto sulla sillaba πον e sulla να. L esempio omerico non è confermato dalle moderne edizioni, ma io direi che l autorità di Erodiano che lo riporta è tale che si dovrebbe accettare la sua versione. Si deve badare anche al fatto che se una parola spondaica (due sillabe lunghe) o pirriachica (due sillabe brevi) o giambica (una sillaba breve seguita da una lunga) precede l enclitica, se la parola posta dopo è un enclitica monosillaba come già visto, essa si inclina, Ἀτρεΐδης τε (IL. I, 7) o, anche, πολλάκις τις, né la parola enclitica riceve il proprio accento né si desta l accento grave della seconda sillaba della parola precedente, ma le proprietà dell enclisi sono comprese col solo pensiero. Se in ogni modo la parola enclitica è bisillaba, allora essa riceve il proprio accento non inclinato né in potenza né di fatto, come ἤδη φαμέν (ora diciamo) e poniamo l accento acuto sul φαμέν, così anche οὕτω ποτέ (così una volta) e poniamo l accento acuto sul ποτέ, così, infine, φίλοι εἰσίν (sono amici) ugualmente poniamo l accento acuto sull εἰσίν; infatti, né è possibile sollevare in acuto l accento grave sulla sillaba finale della parola precedente, né è possibile pensare l enclisi secondo la prima sillaba degli spondei o dei pirrichi o dei giambi. Neppure mai l accento acuto si pone come quarto dalla sillaba finale. 15 Qui il testo del Monro Allen riporta οὔ πως ἔστ, Ἀγέλαε, con l ἔστ accentuato; non se ne capisce la ragione, perché è parola enclitica. Ritengo che anche questa volta Erodiano abbia le sue buone ragioni. 6

7 2. SULL ACCENTO DEL PRONOME. Nella sua opera De Constructione, Apollonio Discolo spiega che la principale causa dell ortotonesi del pronome è l opposizione con un altra persona, ad esempio, ἡ δ ἐμὲ χειρὸς ἑλοῦσα (OD. XII, 33) (presomi ella per mano) qui il pronome ἐμέ (me, acc. sing) ha il retto accento perché è in opposizione con i compagni d Ulisse. Ne consegue che i seguenti pronomi personali di prima persona, ἐγώ, σύ, ἵ, ἡμεῖς, ὑμεῖς, σφεῖς hanno solamente il retto accento. In effetti dobbiamo considerare che spesso le parole contengono dei significati congiunti, entro Aiace vi è il significato di uno, dentro Κρονίδης vi è il significato di genitivo singolare del termine primario ed il significato di figlio, entro Αἴαντε (duale, N.A.V.) vi è il significato di due, entro ταχύτερος (veloce, comparativo) vi è il significato di μᾶλλον (più), ecc. Così, nei verbi vi sono molti significati congiunti. Entro il modo indicativo vi è la significazione, i verbi contengono il significato di risposta affermativa alle interrogazioni, si risponde ad esse con un ναί (sì) o con un οὔ (no), oppure con un verbo all indicativo, poiché i verbi contengono l affermazione; All interrogazione γράφεις; (scrivi?) si può rispondere γράφω (scrivo). Il verbo γράφω (scrivo) include pure il numero singolare ed è chiaro che include pure il caso diretto del pronome, dunque non è ellittico del pronome ἐγώ (io). Come conseguenza ne viene che l impiego dei pronomi al caso nominativo è limitato all espressione dell opposizione, ad esempio, ἐγὼ μὲν παρεγενόμεν οὗ ἔφην, σὺ δὲ φάσκων ἥξειν οὐκ ἦλθες. (Arist. Rhet. ad Alex. 1435a40) (Io certamente fui presente, al tempo che avevo detto, tu, invece, che avevi detto che saresti venuto, non giungesti.). Qui l ἐγώ è opposto al σύ, pertanto sono impiegati i pronomi al nominativo, entrambi con retto accento. In maniera generale ogni pronome al caso diretto rifiuta la costruzione enclitica. Questo fatto ce lo mostra anche la morfologia che ne corrobora l uso. Infatti, nei pronomi che iniziano per ε l enclisi si accompagna all eliminazione di questa (ἐμοῦ, μοῦ; ἐμοί, μοί; ἐμέ, μέ). In cambio, alla terza persona dei verbi è necessario aggiungere un pronome o le parole che lo rimpiazzano, un nome. Questo perché le terze persone dei verbi sono indeterminate; scrive, chi? Antonio, Andrea e così via all infinito. In quanto i pronomi indicano delle persone determinate, in questo caso è necessario apporli ai verbi, perché con la loro presenza essi levano l indeterminazione semantica di questi, infatti, γράφει ὅδε o οὗτος o ἐκεῖνος o αὐτός. Quindi i pronomi al caso nominativo hanno necessariamente il retto accento. Ora si passerà a mostrare che negli altri casi essi sono soggetti ad una doppia accentuazione in relazione alla costruzione della frase di cui essi fanno parte. Apollonio Discolo presenta il seguente esempio omerico 1, παῖδα δ ἐμοὶ λύσαιτε (Il. I, 20) (ma liberate mia figlia) ἐμοί ha il retto accento perché è in relazione con, ὑμῖν μὲν θεοὶ δοῖεν (IL. I, 18) (a voi concedano i numi) quest ultimo verso annuncia la persona che sarà in relazione con esso. Poi Apollonio spiega che ogni pronome ha il retto accento quando è coordinato, ad esempio, Διονυσίῳ ἐλάλησεν καὶ ἐμοί (ha parlato a Dionisio ed a me), Διονύσιον τιμᾷ καὶ ἐμέ (onora Dionisio e me). Però se il pronome è fuori di campo della congiunzione esso non riceverà il retto accento, ad esempio. ἐχαρίσατό σοι καὶ Διονυσίῳ (ha fatto piacere a te ed a Dionisio). Così nei seguenti esempi; καὶ μ ἐφίλησε (IL. IX, 481) (e mi volle bene), καί μοι ὑποστήτω (IL. IX, 160) (e ubbidisca a me), καὶ μοι οἱ Θεοὶ οὕτως ἐν τοῖς ἱεροῖς ἐσήμηναν ((Sen. Anab. VI, I, 31) (e gli dei così mi hanno dato segno nelle vittime) 1 Apollonio Discolo, De Constructione, pg. 170,1ss 7

8 qui la coordinazione non è connessa al pronome. Le congiunzioni denominate copulative mettono in fattore comune un verbo o un nome, questa è la ragione per cui esse escludono il segno d interpunzione, perché vi è continuità tra la frase che è già presente e quella che ad essa si va ad aggiungere. Apollonio dà il seguente esempio καὶ Διονύσιος περιπατεῖ καὶ Ἀπολλώνιος (Dionisio cammina ed Apollonio), ove il verbo περιπατεῖ (cammina) è comune. Come esempio omerico di verbo comune Apollonio cita, Βοιωτῶν μὲν Πηνέλεως καὶ Λήϊτον ἦρχον Ἀρκεσίλαός τε Προθοήνωρ τε Κλονίος τε, (IL. II, 494s) (Peneleo, Leito, Arcesilao, Protoenore e Clonio erano a capo dei Beoti,) essendo preso in comune l ἦρχον. Quando una parola che ammette declinazione è coordinata non può essere messa in fattore comune nella frase seguente, ma è il verbo che lo può. Diamo degli esempi, καὶ Τρύφων διελέξατο καὶ Ἀπολλώνιος (Trifone ha parlato ed Apollonio), dove διελέξατο è messo a fattore comune; invece nella frase καὶ διελέξατο Τρύφων καὶ ἀνέγνω (Trifone ha parlato ed ha letto), è Τρύφων che è in fattore comune. Questa è la ragione per cui in IL. IX, 160 ed IL. IX, 481 di cui sopra, il pronome non è accentuato, la coordinazione non si connette al pronome stesso, bensì al verbo. I pronomi, non dovendo più esprimere l opposizione con un altra persona perdono il proprio accento mentre essi sfuggono al campo della congiunzione. Il medesimo ragionamento vale anche per le congiunzioni con valore disgiuntivo e, in generale, per tutte quelle che si possono costruire con parole declinabili. Qui (De Constructione, pg. 174,7), Apollonio precisa che la congiunzione ὅτι porta esclusivamente sui verbi e non impone il retto accento dei pronomi. Inversamente ἕνεκα, intesa come congiunzione da Apollonio 2, che si rapporta sempre ad un genitivo, vuole il pronome con retto accento. Abrone afferma che l enclisi del primo pronome nel verso, ἤ μ ἀνάειρ, ἢ ἐγὼ σέ (IL. XXIII, 724) (o tu sollevi me o io te) non è corretta perché questo pronome è in disgiunzione. Apollonio risponde che il pronome è solo apparentemente monosillabo, infatti, si deve vedere in esso un bisillabo, avendo stabilito che abbiamo a che fare con una contrazione tipo crasi, come, τὠμῷ κεχαρισμένε θυμῷ (OD. IV, 71) 3 (al mio cuore caro) τῃμῇ κλισίῃ (IL. IX, 654) 4 (alla mia tenda). Però, come si riporta nelle note, queste due crasi non risultano dal testo del Monro Allen ed il testo del Van Leeuwen Mendes da Costa lo conferma. Si può pensare, pertanto, che qui abbia ragione Abrone e che il verso di IL. XXIII, 724 non sia corretto. Le preposizioni preposte al pronome fanno sì che questo abbia il retto accento. L ordine normale del pronome ortotonico è davanti al verbo, quando esso è postposto vi è anastrofe, esempio di posizione normale, σοὶ μὲν δή, Μενέλαε, κατηφείη καὶ ὄνειδος ἔσσεται, (IL. XVII, 556) (A te certamente, o Menelao, saranno vergogna e ignominia,). In effetti, la persona assoluta, cioè il pronome enclitico non può occupare il posto del pronome ortotonico, infatti, il pronome enclitico non è mai prepositivo. Quando il postpositivo passa in testa esso perde la sua forma propria per ricevere l ortotonesi, infatti, ἔγνω δὲ ψυχή με ποδώκεος Αἰκίδαο (OD. XI, 471) (L ombra del piè veloce Eacide mi riconobbe,), contro, ἐμὲ δ ἔγνω καὶ προσέειπε (OD. XI, 91) (mi riconobbe e mi disse;) 2 Per i grammatici moderni ἕνεκα è una preposizione che regge il genitivo, come tutte le preposizioni, essa vuole l ortotonesi del pronome. 3 Qui il testo del Monro Allen riporta τῷ ἐμῷ κεχαρισμένε Θυμῷ, in contrasto con quanto affermato da Apollonio. 4 Qui il testo del Monro Allen riporta τῇ ἐμῇ κλισίῃ, in contrasto con quanto affermato da Apollonio. 8

9 e l ortotonesi non è dovuta al senso ma all inversione. Certamente i pronomi ortotonici sono pre e post-positivi, ἐμοὶ ἔδωκεν ed ἔδωκεν ἐμοί, mentre i pronomi inclinati sono solamente postpositivi. A causa della libertà di disposizione delle parole propria della lingua greca, non c è da meraviglirsi che le enclitiche spesso non si collegano direttamente alle parole cui appartengono ma ad un altra a cui esse non appartengono, ad esempio, Ἔχε δή μοι τόδε εἰπέ, (PL. Ione, 535b) (Orsù, dimmi questo,) e νεωστί μοι δοκεῖν καταπεπλευκότι (PL. Eutidemo, 297c) (approdato da poco, mi sembra). Certi pronomi enclitici non si possono mettere in testa alla frase, diventerebbero ortotonici e perderebbero la loro particolarità. Erodiano dà l elenco di questi pronomi; μεῦ - dativo sing. I persona, omerico neoionico. μοῦ - genitivo sing. I persona, dorico μοί - dativo sing. I persona, omerico dorico. τοί - dativo sing. II persona, dorico. μέ - accusativo sing. I persona,neoionico. μίν accusativo sing. III persona, neoionico. σφίν dativo plur. III persona, dorico. σφέ - accusativo plur. III persona, omerico σφωέ - accusativo duale III persona, omerico. 5 Apollonio Discolo aggiunge 6 ; τύ - accusativo sing. II persona, dorico. Si ricorre ancora all ortototonesi del pronome indicante delle persone, quando chi ha precedentemente compiuto qualcosa di buono dichiara di subire un trattamento opposto, ἐμοὶ ἐτόλμησεν ταῦτα ποιῆσαι (a me hai osato fare queste cose), ἐμὲ ὑπέμεινεν ὑβρίσαι (non hai esitato ad insultarmi). Anche qui c è il rimando ad un altra persona, si vuol dire, è un altro che avresti dovuto insultare, non me. 5 Da Erodiano, ΠΡΟΣΩιΔΙΑΣ ΤΗΣ ΚΑΤΑ ΣΨΝΨΑΞΙΝ, pg. 555,4s e Ausführliche Grammatik I Teil I Band, pg Si riporta anche l elenco, dato da Erodiano, dei pronomi che talvolta sono enclitici, talvolta no; σεῦ - dativo sing. II persona, omerico. -genitivo sing. II persona, neoionico. σέο genitivo sing. II persona, Omerico neoionico. σοῦ - dativo sing. II persona, attico. σοί - dativo sing. II persona, attico. σέ - accusativo sing. II persona, attico. εὗ - genitivo sing. III persona, neoionico. -dativo sing. III persona, omerico. οἷ - dativo sing. III persona, attico, neoionico, dorico. ἕθεν genitivo sing. III persona, asiatico o lesbico e dorico. -dativo sing. III persona, omerico. σφί - dativo plur. III persona, omerico. σφώ - accusativo duale III persona, omerico. σφίσι dativo plur. III persona, attico, neoionico, omerico. σφέας accusativo plur. IIIpersona, omerico, neoionico. Da Erodiano, ΠΡΟΣΩιΔΙΑΣ ΤΗΣ ΚΑΤΑ ΣΨΝΤΑΞΙΝ, pg 555,11s ed Ausführliche Grammatik I Teil I Band, pg Inoltre si scrivono sempre col retto accento i pronomi che si congiungono coll αὐτός impositivo; esso non si oppone per rendere evidente il genere poiché i pronomi personali non hanno necessità della terminazione col genere, infatti, contemporaneamente col dimostrare si manifesta il genere; inoltre αὐτός si aggiunge anche ai pronomi che dimostrano il genere (ἐκεῖνος ed οὗτος). Ne consegue che esso non si oppone ai pronomi personali di terza persona a motivo di discernimento del genere. Ma in Omero αὐτός si applica anche ai pronomi enclitici. In questi casi, però, αὐτός è ridondante. Sono, inoltre, di retto accento, tutti i duali della prima e della seconda persona. La causa è che ogni vocabolo enclitico o è perispomeno o è ossitono, il baritono non può inclinare. I pronomi duali della prima e della seconda persona sono baritoni; i duali della terza persona sono sempre inclinati. 9

10 Sono ugualmente ortotoniche le forme pleonastiche dei pronomi, intendo l ἐμεῖο (di me, genitivo epico) e le similari. Infatti, sia questi pronomi comportano il valore oppositivo, sia hanno la ε iniziale che nel pronome (senza la ι pleonastica ἐμέο, gen. sing. I pers. omerico) indica l ortotonesi. Sarebbe assurdo che un pronome derivato per pleonasmo da uno con retto accento fosse enclitico. Pertanto, le forme pleonastiche ε + ι possono solamente avere il retto accento. Alla terza persona i pronomi duali σφωέ (nom. acc.) e σφωΐν conoscono solamente l enclisi; impedisce loro di essere baritoni la medesima ragione che εἰμί e φημί, dove l accento acuto finale si spiega con l enclisi. Gli altri verbi, non enclitici, hanno una tendenza ad essere baritoni. I pronomi interrogativi non sono enclitici a causa del ricevere l accento grave; però gli indefiniti la conoscono (τίς, τί ecc. e τις, τι ecc.). Apollonio non dice che gli indefiniti sono solamente enclitici, ma che se una di queste parole è enclitica, allora essa è indefinita. Così ἦλθέν τις (qualcuno è venuto), ἦλθέν ποτε (un giorno è venuto). Il τίς indefinito è ossitono ma prende l accento sull iniziale quando ha lo stato interrogativo. Ἐκεῖνος ed οὗτος non ammettono l enclisi, sono baritoni ed a ciò si aggiunge che sono deittici. L accentuazione ossitona di αὐτός è regolare, poiché la deissi è estranea ad un pronome che trasponde nomi di terza persona loro stessi soggetti all enclisi. Perché allora esso non ammette l enclisi al nominativo; è il caso stesso che spiega questa restrizione (i pronomi al nominativo non possono essere enclitici). Poi al genitivo ed al dativo le sue forme hanno quattro tempi e ciò impedisce che l accento risalga più in là. E vero che esiste, ad esempio, la forma ἥμων enclitica da ἡμῶν, esempio, ἄκουσον ἥμων (ascolta noi), la spiegazione è che per evitare un eolismo si rinuncia allo spostamento dell accento, evitando così l omografia con le forme normalmente baritone dell eolismo. Rimane l accusativo αὐτόν, esso potrebbe, in teoria, ammettere l enclisi, però nei testi ciò non è attestato. Gli articoli quando sono impiegati come pronomi non ammettono l enclisi perché la loro natura glielo impedisce, essi, infatti, occupano uno spazio che si oppone all enclisi (ὁ, ἡ, τὸ - οἱ, αἱ, τὰ ecc.) e precisamente la proclisi, si appoggiano cioè alla parola seguente, ad esempio, ὁ γὰρ ἦλθε θοὰς ἐπὶ νῆας Ἀχαιῶν ((IL. I,12) (questi era venuto alle celeri navi dei Greci). I pronomi relativi, quelli che gli antichi denominavano articoli pospositivi, non contraddicono alla regola. In effetti, sono essi stessi prepositivi perché se l anafora che essi esprimono è rivolta verso quanto precede, essi sono impiegati in testa di frase per entrare in una costruzione verbale. La punteggiatura che si pone di fronte ad essi testimonia in favore della loro posizione in testa di costruzione. Ugualmente hanno il retto accento tutti i pronomi costruiti con l appositivo αὐτός; σοὶ δ αὐτῷ μελέτω, (IL. XV, 231) (a te stesso stia a cuore) οὐδὲ σεῦ αὐτῆς, (IL. XIV, 327) (e neppure mai per te stessa). Però si ha anche; ἀλλά οἱ αὐτῷ Ζεὺς ὀλέσειε βίην, πρὶν ἥβης μέτρον ἱκέσθαι. (OD. IV, 667) (ma Zeus gli fiacchi il vigore prima che arrivi alla giovinezza) e Εὐρύαλος δέ ἑ αὐτὸν ἀρεσσάσθω ἐπέεσσι (OD. VIII, 396) (Eurialo si riconcili con lui con le scuse), mentre il pronome è ortotonico nel verso; ἀμφὶ ἓ παπτήνας (IL. IV, 497) (girato lo sguardo intorno a sé;). Vi è chi ha visto un anomalia nel verso, οἷ τ αὐτῷ, (IL. V, 64) (e per lui stesso). In effetti, la costruzione del pronome accentuato con αὐτός si impiega per sottolineare un opposizione; ἐμὲ αὐτὸν ἐτίμησεν (ha onorato proprio me), σὲ αὐτὸν ἐμέμψατο (ha rampognato proprio te). 10

11 Quando sono accentuati questi pronomi si prepongono sempre ad αὐτός, ma, se la costruzione subisce un inversione, il pronome può diventare enclitico, αὐτῷ τοι μετόπισθ ἄχος ἔσσεται, (IL. IX, 249) (In seguito per te stesso ci sarà una pena,), αὐτόν σε φράζεσθαι ἐν Ἀργείοισιν ἄνωγεν (IL. IX, 680) (Ordina tu stesso a deliberare tra gli Argivi). Apollonio Discolo non dice che qui l ortotonesi è impossibile ma che questa costruzione è all origine dell enclisi. I pronomi della medesima persona del verbo sono ugualmente ortotonici, σὲ γὰρ αὐτὴν παντὶ ἐΐσκεις. (OD. XIII, 313) (poiché ti rendi simile in tutto) dove rendi simile (ἐΐσκεις) e ti (σὲ) sono della stessa persona. E possibile avere l enclisi del pronome quando ciò non avviene, ad esempio, ἅζομαί σε (io ti rispetto), ma non mai nel caso di OD. XIII, 313. L enclisi è impossibile per dei pronomi che vanno insieme con dei verbi aventi la medesima persona che loro. Anche questa è la ragione per la quale i pronomi al caso diretto hanno solamente la forma con retto accento, essi vanno sempre insieme con verbi aventi la loro medesima persona. Di contro, l enclisi è possibile quando il pronome è in posizione di transizione. E invece normale che, ai casi obliqui, i pronomi che si rapportano ai verbi della medesima persona che loro abbiano il retto accento; οὐδὲ γὰρ οὐδ ἐμέ φημι λελασμένον ἔμμεναι ἀλκῆς, (ΙL. ΧΙΙΙ, 269) (neppure io dico che io ho passato sotto silenzio la gagliardia,), ζωγρεῖτ, αὐτὰρ ἐγὼν ἐμὲ λύσομαι (IL. X, 378) (prendetemi vivo, io poi mi riscatterò;). Questo è l uso omerico, successivamente i pronomi semplici sono stati trasposti in composti; la poesia non ha a che fare con l uso dei pronomi composti (ἑαυτοῦ - ἑαυτῆς). Ne consegue che nel verso, νεφέλῃ πυκάσασα ἓ αὐτὴν (IL. XVII, 551) (ella, avvoltasi intorno d una nube) ἓ αὐτὴν sono due parti distinte della frase, non un pronome unico. Il Poeta ha, qualche volta, l abitudine di fare l ellissi dei pronomi, rimettendosi alla costruzione della frase per manifestare quanto manca; ad esempio, αὐτὸς νῦν ἴδε πῶμα, (OD. VIII, 443) (Ora guarda tu stesso il coperchio), αὐτὸς ἴδε è fortemente ellittico di σύ (tu); se si aggiunge αὐτός alla prima ed alla seconda persona ciò avviene precisamente per conferire l ortotonesi al pronome che l accompagna. Il medesimo caso avviene nel verso, αὐτῶν γὰρ ἀπωλόμεθ ἀφραδίῃσιν. (OD. X, 27) (siamo periti per le nostre follie verso noi stessi.), la costruzione richiede ἡμῶν αὐτῶν, così, infatti, sarebbe chiaro che si tratta di noi. Parallelamente nel verso, τὴν αὐτοῦ φιλέει καὶ κήδεται, (IL. IX, 342) (ama la propria e le usa attenzioni,) la forma piena è τὴν ἓο αὐτοῦ (la sua (donna)). In alcuni passaggi si trova l αὐτὸν ridondante, κὰδ δέ μιν αὐτὸν εἰλύσω ψαμάθοισιν (IL. XXI, 318s) (e lo ravvolgerò nelle sabbie), ἠέ μιν αὐτὸν πατρὸς ἐάσειε μνησθῆναι, (OD. IV, 118) (o lasciare lui menzionare suo padre,). In cambio, scrive Apollonio, non è necessario vedere un ellissi del pronome nel verso, μέγα μὲν κλέος αὐτῇ ποιεῖτ, (OD. II, 125s) (avviene per lei una grande gloria). Apollonio interpreta ποιεῖται da ποιέω, come un passivo avente per soggetto κλέος, il che esclude un interpretazione riflessiva del pronome αὐτῇ, fatto che richiederebbe un ulteriore pronome a cui opporre αὐτῇ. Questo è dimostrato dal fatto che Apollonio scrive che ποιεῖται è preso come equivalente di γίνεται da γίγνομαι deponente. 11

12 I pronomi composti hanno la loro forma completa quando iniziano con una ε, ἑαυτός; ma queste forme complete non si trovano mai in Omero, così pure le forme non contratte, infatti, la forma piena preesiste sempre alla forma derivata. Non c è niente d incongruo che vi sia l ellissi dei pronomi nelle frasi di cui sopra; la considerazione del contesto permette, infatti, di supplire alla loro mancanza, Se si guarda l uso dei grammatici di epoca ellenistica di parafrasare Omero nella loro prosa, si dirà, per significare che un pronome omerico ha valore riflessivo che esso si trasporta in composto ed, inversamente, che esso si trasporta in semplice se non ha valore riflessivo. Detto questo vediamo che, in Omero, i pronomi della prima e della seconda persona si trasportano in composti quando il verbo copresente è al medesimo numero ed alla medesima persona che loro, essi sono pronomi semplici quando il verbo è ad un altra persona, ad esempio, ἐμεῦ δ ἀπὸ μούνου Ἀχαιῶν εἴλετ, (IL. IX, 335s) (ma solo a me tra gli Achei (mi tolse la mia parte di bottino)) e σεῦ δ ἐπεὶ ἐξέλετο ψυχήν (IL. XXIV, 754) (dopo che t ebbe tolto la vita). Si deve necessariamente verificare la medesima cosa alla terza persona e l uso omerico lo conferma; μνηστήρεσσι μάχεσθαι, ἀμυνέμεναι δὲ οἷ αὐτῷ. (OD. XXII, 214) ((non ti trascini con le sue ciance Odisseo) a combattere i pretendenti ed a difendere lui stesso.) dove ἀμυνέμεναι (difendere) si interpreta come rapportato ad Atena che ha assunto le sembianze di Mentore e non ad Ulisse; μὴ πεισάτω σε Ὀδυσσεὺς ἡμῖν μάχεσθαι, αὐτῷ γε μὴν ἀμύνειν (Ulisse non ha persuaso te a combattere contro di noi, ma a difendere lui); qui il pronome οἷ (lui) è a buon diritto ortotonico in quanto si oppone ad ἡμῖν (a noi). Invece, nel verso, ἦ ὀλίγον οἷ παῖδα ἐοικότα γείνατο Τυδεύς. (IL. V, 800) (Certamente Tideo generò un figlio poco simile a lui.) il pronome si trasponde in composto (riflessivo), poiché generò è della medesima persona del pronome; Tideo ha generato un infante che è veramente poco simile a lui (ἑαυτῷ). La trasposizione in pronome semplice verrebbe a riferirsi ad una persona diversa da Tideo. All inverso, nel verso, πτωχὸν δ οὐκ ἄν τις καλέοι τρύξοντα ἕ αὐτόν (OD. XVII, 387) (una persona non inviterebbe un mendicante che rovini lui stesso;) qui si può rinviare solamente ad un pronome semplice; se non è espediente invitare un mendicante è per evitare che egli penalizzi non sé stesso ma chi lo ha invitato. Il medesimo fatto nei versi, ἀλλὰ τόδ ἠμὲν ἐμοὶ πολὺ κέρδιον ἠδὲ οἷ αὐτῷ 7 ἔπλετο, (IL. XV, 226s) (Ma così è stato molto meglio per me che per lui,). E perfettamente corretto, come qui dice Apollonio, che i pronomi qui abbiano ricevuto l accento che si impone a ragione dell opposizione tra di loro, a cui si aggiunge ancora la coordinazione (si notino le congiunzioni ἠμέν.. ἠδέ) Il verbo ἔπλετο è impiegato in fattore comune con i due pronomi senza potersi decidere per uno dei due, fatto che determinerebbe la trasposizione di questo pronome in composto (riflessivo), ciò che impone di mantenere la forma 7 Qui sia il testo del Monro Allen sia quello del Van Leeuwen Mendes da Costa riportano.ἠδέ οἱ αὐτῷ Qui ci vengono in aiuto gli Scholia (Vol. II) ἄμεινον δὲ πείθεσθαι τοῖς περισπῶσι διὰ τὸ ἤδη διαστολὴν γεγενῆσθαι διὰ τῆς ἐμοί τὸ γὰρ ἑξῆς τοιοῦτον ἐστιν ἐμοί καὶ αὐτῷ ἔπλετο, ὥστε ἀπὸ κοινοῦ λαμβάνεσθαι το ἔπλετο ρῆμα. (In IL. XV, 226, Vol. II) (Meglio prestare fede a coloro che pongono l accento circonflesso a causa del fatto che subito vi è distinzione per mezzo dell ἐμοί (a me); infatti, quanto segue è siffatto per me e per lui è stato, cosicché il verbo è stato si prende in comune.). Anche gli Scholia in Homeri Iliadem Townleyana, Vol. II, in XV, 226 riportano οἷ e scrivono che in generale deve avere il retto accento. Si conclude che Apollonio Discolo è nel giusto. 12

13 semplice dei due pronomi. Un verbo costruito con un pronome composto non può conoscere altra persona che quella del pronome, ἔπλετο, come si è detto, è preso in fattore comune con i due pronomi, il processo che esso esprime ha la sua origine al di fuori di questi due, come quando si dice, ἐγένετο Τρύφωνι καλῶς (è andata bene a Trifone). Ma il pronome composto (riflessivo) non è concepibile se il processo non ha origine dalle persone stesse alle quali i pronomi si riferiscono; ὁ δ Ἀχαιῶν ἄλλον ἑλέσθω, ὅς τις οἷ τ ἐπέοικε καὶ ὃς βασιλεύτερός ἐστιν. (IL. IX, 391s) (egli (Agamennone) si scelga un altro degli Achei che si convenga a lui e sia re di più pregio.) il discorso non significa che Agamennone conviene a sé stesso (ἑαυτῷ), ma ὅστις (che) è indeterminato e οἷ è la persona determinata di Agamennone. Altro esempio, ἔνθ ἡμέων πολλοὺς μὲν ἀπέκτανον ὀξέϊ χαλκῷ, τοὺς δ ἄναγον ζωούς, σφίσιν ἐργάζεσθαι ἀνάγκῃ. (OD. XIV, 271s) (In quel luogo uccisero molti col bronzo aguzzo, altri trassero vivi a lavorare a forza per loro.) i prigionieri di guerra non sono certamente tratti a forza a lavorare per sé stessi, ma per i loro vincitori. Il medesimo fatto nel verso, ἦ εἰπέμεναι δμῳῇσιν Ὀδυσσῆος θείοιο ἔργων παύσασθαι, σφίσι δ αὐτοῖς δαῖτα πενέσθαι; (OD. IV, 682s) (Forse a dire alle ancelle del divino Odisseo che interrompano i lavori e che preparino ad essi il pranzo?) non sono i pretendenti che si occupano di preparare il pranzo per sé (ἑαυτοῖς), bensì le ancelle che lo preparano per loro. Un esempio d un caso diverso, ὃς καὶ Ἀλεξάνδρῳ τεκτήνατο νῆας ἐΐσας ἀρχεκάκους, αἳ πᾶσι κακὸν Τρώεσσι γένοντο οἷ τ αὐτῷ, ἐπεὶ οὔ τι θεῶν ἐκ θέσφατα ᾔδη. (IL. V, 62ss) (il quale anche fece per Alessandro navi ben equilibrate, principio di mali, che furono sciagura per tutti i Troiani ed a lui stesso, poichè ignorava i decreti dei numi.). Qui il pronome lui (οἷ) è accentuato perché è in inizio di verso, inoltre, perché esso è in opposizione a tutti i Troiani 8. Analogamente, ταῦθ ὑπερηφανέοντες Ἐπειοὶ χαλκοχίτωνες, ἡμέας ὑβρίζοντες, ἀτάσθαλα μηχανόωντο. (IL. XI, 694s) (Gli Epei dalle bronzee corazze, imbaldanziti per questo, trattandoci con insolenza, tramavano azioni malvagie.) qui ἡμέας (ci a noi) ha il retto accento perché è posto in testa al verso; analogamente, χρύσεον σκῆπτρον ἔχων, ἐμὲ δ ἔγνω καὶ προσέειπε (OD. XI, 91) (avendo lo scettro d oro, mi riconobbe e mi disse;), qui mi (ἐμέ) è accentuato perché è preceduto da una virgola, cioè inizia una frase. E una lezione dubbia il passo, ἀλλά οἱ αὐτῷ Ζεὺς ὀλέσειε βίην, πρὶν ἡμιν πῆμα γενέσθαι. 9 (OD. IV, 667s) (ma Zeus gli fiacchi il vigore prima che sia sventura per noi.), infatti, era necessario porre l accento su οἷ (gli) perché precede l αὐτός ed è in contrapposizione col per noi (ἡμῖν). 8 Vedasi Scholia, Vol. I 9 Così scrive Apollonio Discolo; gli Scholia Vol. I specificano che questa è la lezione dei copisti più generali, mentre la versione dei seguaci di Aristarco è πρὶν ἥβης μέτρον ἱκέσθαι. (prima che arrivi alla sua giovinezza.). Questa lezione è riportata sul testo del Monro Allen sia su quello del Van Leeuwen Mendes da Costa. 13

14 Vi è, dunque, una certa regola per cui il pronome con retto accento passa al riflessivo e quello che non lo è passa in semplice. In costruzioni alla prima ed alla seconda persona è perfettamente chiaro se vi è o meno transitività da una persona ad un altra, ad esempio; σὲ γὰρ αὐτὴν παντὶ ἐΐσκεις. (OD. ΧΙΙΙ, 313) (tu prendi tutti gli aspetti), infatti, il verbo ἐΐσκεις è alla seconda persona come il pronome σέ (te, acc. sing.), per cui c è corrispondenza. Ed anche, ἀλλ ἐμὲ μὲν σὺ σάωσον (IL. XI, 828) (Ma tu salvami ora), qui c è corrispondenza tra chi dà l ordine di salvare (σάωσον aor. imp. II pers. sing.) e il mi (ἐμέ). Pure, ἐμὲ λύσομαι (IL. X, 378) (mi riscatterò), qui c è corrispondenza tra iil soggetto del verbo mi riscatterò (λύσομαι I pers. sing. ind. futuro medio) e l oggetto mi (ἐμέ acc. I pers. sing.). Il medesimo fatto vale anche per i casi similari. Di contro, in una costruzione con delle terze persone è ben difficile orientarsi, questo poiché sono moltissime le terze persone significate da una sola parola, sia verbale che pronominale; di fatto, per la esistente coincidenza in Omero, è la medesima persona che significa la costruzione transitiva e quella in cui la persona agente subisce lei stessa l azione. Il pronome ἕο (gen. sing. III persona, omerico) e gli altri della sua serie sono chiaramente della terza persona. Però κήδεται (prende cura) e tutti i verbi analoghi sono ugualmente della terza persona e, se costruiti con i pronomi della terza persona, si avranno due terze persone, quella del pronome e quella del verbo. Si avrà ἕο κήδεται (prende cura di lui, non riflessivo), con due persone diverse, equivalente ad αὐτοῦ κήδεται, il che vuol dire che qualcuno prende cura di qualcun altro. Però si può anche voler dire che qualcuno prende cura di sé stesso; ora è evidente che è la medesima costruzione che servirà a dire ciò, si avrà ancora ἕο κήδεται. Così è difficile distinguere se uno prende cura di qualcun altro o di sé medesimo. Apollonio scrive, supponiamo che Eumeo prenda cura di lui stesso; l espressione sarà, ἐπεὶ ἓο κήδετο λίην (OD. XIV, 461) 10 (giacché si prendeva grandemente cura di sé). Supponiamo, invece, che egli si prenda cura di Telemaco, vedremo ancora apparire, ἐπεὶ ἓο κήδετο λίην. In un caso simile sarebbe ben utile che i pronomi con retto accento s applicccassero alla persona intransitiva, cioè si trasformassero in composti e che i pronomi enclitici si traspondessero in semplici cioè in pronomi esprimenti la transitività verso un altra persona. Questa è la plausibilità teorica, ma è necessario fare uno sforzo di pensiero e prendere l informazione non dall accentuazione, ma dal contesto. Qui e come in molti altri casi d ambiguità, la decisione risulta dalla logica e non dall enclisi o dall ortotonesi. Se si concede che la trasposizione in pronomi semplici o composti (riflessivi) dipende dall accentuazione, allora si deve notare che i pronomi possessivi non distinguono il loro accento tra le due possibilità di trasposizione; οὕνεκ ἄρ οὐχ ᾧ πατρὶ χαριζόμενος θεράπευον (OD. XIII, 265) (perché non avevo gradito di far piacere a suo padre), πάρ τε κασιγνήτῳ Θρασυμήδεϊ καὶ πατέρι ᾧ (OD. III, 39) (accanto al fratello Trasimede e a suo padre;). Da quest ultimo esempio è chiaro che si tratta del suo proprio padre, che richiederebbe la forma ἑαυτοῦ composta e che non è mai un cambiamento d accento che marca la differenza di significato, bensì la logica del discorso. E a questa che bisogna fare attenzione per comprendere la differenza di significato dei pronomi. I pronomi per lo più assumono l accento retto a ragione del significato, ma vi sono casi in cui causa di ciò è la costruzione, o il luogo che essi occupano nell enunziato o la licenza 10 Qui il testo del Monro Allen riporta ἐπεί ἑο, ma si ritiene che vada riportato l accento, ἕο. 14

15 poetica. Per gli altri casi si è già visto, si vuole portare un esempio di pronome accentuato per licenza poetica (Apollonio Discolo De Pronomine 39,26) οὐκ ἐάσουσιν ἐμοὶ δόμεναι (OD. XXI, 233) (non permetteranno che a me siano dati), qui non c è opposizione con nessun altra persona, dunque il significato non richiede l accento. Se il pronome è accentuato, lo è, appunto, per licenza poetica. 15

16 3. Bibliografia. Giovanni Costa AA.VV., Scholia Graeca in Homeri Iliadem Vol I-II e III-IV a cura di Gulielmus Dindorfius, Oxonii e Typographeo Clarendoniano, AA.VV., Scholia Graeca in Homeri Iliadem Townleyana, a cura di Ernestus Maas, ed Typographeo Clarendoniano, Oxonii, AA.VV., Scholia Graeca in Homeri Odysseam Vol I-II, a cura di Gulielmus Dindorfius, ed Typographeo Academico, Oxonii, Aristotele, Rhetorica ad Alexandrum, ed. Ambrosio Firmin Didot, Paris, Esiodo, Teogonia, a cura di Eleonora Vasta, ed. Arnoldo Mondadori Editore, Milano, Eustathii, Commentarii ad Homeri Odysseam Vol. I e II, ed. Ioann. Aug. Gottl. Weigel, Lipsiae, Eustathii, Commentarii ad Homeri Iliadem, ed. Ioann. Aug. Gottl. Weigel, Lipsiae, GRAMMATICI GRAECI, ed. Teubner, Leipzig, , ristampato ed. Georg Olms Verlag, Hildesheim New York, 1979 I I, Dionysii Thracis Ars Grammatica a cura di Gustav Uhlig, I III, Scholia in Dionysii Thracis Artem Grammaticam, a cura di Alfred Hilgard. II I,1, Apollonii Dyscoli Scripta Minora, continens De Pronomine, De Adverbiis, De Conjuctione, a cura di Richard Schneider, II I,2 Commentarius Criticus et Exegeticus in Apollonii Dyscoli Scripta Minora, a cura di Richard Schneider, II II Apollonii Dyscoli De Constructione libri quattuor, a cura di Gustav Uhlig, III I et II Herodiani Technici reliquiae, a cura di Augustus Lentz, In particolare; Trattato generale sull accentuazione. Sull enclisi. Sulle modificazioni. Trattato d ortografia. Sulla prosodia dell Iliade. Sulla prodia dell Odissea. GRAMMATICI LATINI, a cura di H. Keil, ed. Teubner, Leipzig, Kühner, Raphael e Blass Friedrich, Ausführliche Grammatik der Griechischen Sprache, Teil I Band I, ed. Verlag Hahnsche Buchhandlung, Hannover, Lehrs, K., Quaestiones Epicae, ed. Fratrum Bornträger, Regimonti Prussorum, Lenchantin de Gubernatis M., Manuale di Prosodia e Metrica Greca, ed. Giuseppe Principato, Milano,

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